Tappeto di fragole, Modà

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Eccoci qua
A guardare le nuvole
Su un tappeto di fragole

Deborah Pjaca
Quando scesi dalla macchina di Federico e appoggiai i piedi sul pavimento da esterno che aveva sotto il grande portico della villa sentii un profumo di casa, ero stata un sacco di volte a casa sua e ormai la conoscevo a memoria.
Una volta entrata, mi guardai intorno: tutto era allo stesso posto, tutto era uguale, nulla era cambiato.
"Deborah?"
Mi voltai. Federico mi guardava sorridendo.
"Siediti, parliamo. Abbiamo un sacco di cose da dirci." mi invitò, quindi tolsi il giubbotto e lo porsi a Federico, che si era offerto di portarlo all'attaccapanni.
Ci sedemmo sul divano e ci guardammo.
"Mi sei mancato. - esordii - Davvero, Fede. Ho passato un primo periodo, a Firenze, durante il quale mi sentivo malissimo. Poi un po' si è calmata la nostalgia, ma mai cancellata. Sempre tu c'eri nei miei ricordi più belli."
Lui si spostò più vicino a me e mi abbracciò.
"Per me... per me vale lo stesso. Mi sono sentito inutile per un lungo periodo, e sono stato anche scartato per un paio di partite, ero in panchina ma non sono entrato, perché il mister aveva capito quanto stessi male.
Ora mi sto riprendendo, ma Max non ha esitato a concedermi una pausa quando due giorni fa gli ho detto che, siccome saresti tornata per il fine settimana, volevo stare con te. 'Ne hai bisogno, Fede', mi ha risposto. Ha ragione, in effetti. Avevo bisogno di pausa, ma soprattutto avevo bisogno di te."
Quando parlava, era impossibile pensare ad altro, perché le sue parole ti penetravano nella testa e vi restavano, ed era forse stata questa sua caratteristica, oltre ai suoi altri numerosissimi pregi, ad avermi fatta innamorare di lui.
"Abbiamo bisogno tutti e due di tempo per pensare. - dissi - Pensare a ciò che proviamo. Non voglio dirlo, nemmeno pensarlo, ma è inevitabile: non so cosa provo, forse non ti amo più, ma ciò non toglie che tu mi abbia fatto sentire la ragazza più felice della Terra. Ricorderò sempre il primo ragazzo che mi abbia mai amato veramente."
Lui sorrise.
"Devo essere sincero? - domandò retoricamente - Non credo di provare più neanch'io amore, ma è comunque un sentimento strano... Quando sei lontana, Deb, sento quella sensazione dentro... Sono nervoso quasi, ho il respiro irregolare se ti penso, e immagino di toccarti ma non posso, ti vedo ma non ci sei, mi si aggroviglia lo stomaco e sento male al cuore... Non so cosa sia, so che è un sentimento orribile."
"Lo so io cos'è. - risposi senza guardarlo negli occhi - Lo provo pure io tutto quel malessere. È voler credere di amare ancora e non rassegnarsi al pensiero che invece non si prova più lo stesso."
Lui mi guardò, e negli occhi vi lessi chiaramente che anche lui pensava lo stesso, ma sperava che in effetti non fosse così.
"La distanza ha vinto. - decretò sorridendo nervosamente - Se non fossi andata via, ci ameremmo ancora. Ma stavolta la distanza ci ha divisi."
Sbuffai.
"Ti prego Fede, non rinfacciarmi di nuovo di essere andata via, è stato il mio errore più grande..."
Lui alzò una mano come per dirmi 'alt'.
"Non frainterdermi, non intendevo dirti quello, intendevo dire che comunque... bè, che se mai dovessi innamorarti di qualcuno, assicurati di non doverlo lasciare lontano da te. La distanza può dividere."
"Io ho chiuso con l'amore." sussurrai con gli occhi lucidi. Troppo difficile esporsi così tanto, anche se con Federico.
"Al cuor non si comanda." ripetè il famoso proverbio.
Gli sorrisi.
"Basta parlare di questo. - borbottai - Non voglio toccare altre ferite ancora aperte. Perché non mangiamo?"
Federico annuì e quindi inziammo a preparare qualcosa per pranzo. Siccome conoscevo le sue ridotte capacità culinarie, come mi ripeteva sempre quando eravamo insieme, mi offrii di preparare io il pranzo, mentre lui avrebbe apparecchiato il tavolo.
"Ma allora a Firenze, come va? - cominciò - Li hai conosciuti i ragazzi?"
"Oh, certamente. Sono molto simpatici."
"In effetti sono un buon gruppo. Ti trovi bene sicuramente." commentò sorridendomi.
Quando venne pronta la pasta al ragù, la versai nei due piatti.
"Ah, a proposito. Cerchiamo di... insomma, di non finire sui giornali in questi giorni, o sui social." lo raccomandai eloquente.
Lui però non capì.
"Perché?"
"Come, perché? - ripetei, non credendo alle mie orecchie - I ragazzi della Viola non devono sapere che sono da te, ok?"
"In che senso? No aspetta... Non gli hai detto niente? " chiese, nemmeno credendoci. Bè, che c'era di male?
"No. Non sanno che a Torino ero la tua fidanzata, non sanno che, se sono stata così male, era perché mi mancavi, non sanno che se sono venuta a Torino era solo per rivederti. Non sanno nulla."
Lui mi guardò, con la forchetta a mezz'aria, e la bocca spalancata per lo stupore.
"Perché no, Deb?"
"Avevo paura. Paura che non mi accettassero, perchè la dolce ragazzina arrivata non era altro che la fidanzata del  giocatore che ha tradito Firenze per la Juventus."
E scusa per averti dato del traditore, comunque.
"Ma Deborah, pensi davvero che siano queste le cose di cui aver paura? Loro non ti rifiuteranno per questo anzi, non sono queste le cose che contano, il calcio è un gioco, si cambia squadra ma fuori dal campo si è tutti amici. Non credere anche solo per un attimo che i fantastici ragazzi di Firenze possano rifiutarti tra loro per questo."
Lo guardai.
"Sicuro?"
"Più sicuro di così muoio." commentò.
"Grazie. Io... Non ci ho pensato."
"Promettimi che, quando tornerai a Firenze, dirai loro la verità." mi disse, quindi fui in dovere di promettere.
"Lo prometto." sussurrai, ma dentro di me sentii che le cose non sarebbero andate propriamente così.

Ammetto che è un po' più corto del solito, però è "breve ma intenso"
Spero vi piaccia

𝐒𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐒𝐎𝐅𝐅𝐑𝐈𝐑𝐄 || Federico ChiesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora