We can do better, Matt Simon

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And nothing lasts forever 
We can do better

Deborah Pjaca
"Li stanno cacciando. - notò Federico - Quelli del ristorante, li stanno mandando via."
Vidi infatti che un paio di camerieri uscirono e fecero segno ai giornalisti di allontanarsi dal locale, anche se questi non ne volevano sapere.
Sembrava che i proprietari fossero obbligati a chiamare la polizia per cacciarli, quando i giornalisti si arresero e finalmente se ne andarono.
Feci un sospiro di sollievo. I miei battiti diventarono probabilmente la metà di quelli che avevo avuto in quei minuti di pura tensione.
"Grazie al cielo." borbottai.
Federico mi guardò perplesso, poi sorrise.
"È inutile che mi guardi così. - lo avvisai - Ho appena avuto per sbaglio una mezza idea di dire ai ragazzi la verità sulla mia relazione con te e mi piombano tra i piedi i giornalisti grazie ai quali saremmo sicuramente finiti in prima pagina e perciò mi sarei solo rovinata davanti ai ragazzi per aver tenuto loro nascosto tutto quanto? No, grazie."
Federico, viste le mie complicate motivazioni, sembrava essere ancora più confuso di prima. Probabilmente non aveva capito un cazzo, cosa che in realtà gli è parecchio frequente.
"Embè, che dici, i giornalisti se ne sono andati, perché non ce ne andiamo anche noi?" chiese Federico, quindi andammo alla cassa a pagare e salimmo in macchina per tornare a casa di Federico.
"E una volta a casa, tutti a dormire. - riprese durante la guida, osservando attentamente la strada - Domani ci aspetta una lunga giornata. Dobbiamo essere carichi."
Mi voltai a guardarlo interrogativa.
"Perchè?"
Come se si aspettasse quella domanda, Federico sorrise senza distogliere lo sguardo dalla carreggiata.
"Quando siamo a casa vedrai." disse, lasciandomi sulle spine.

Una volta arrivati a casa salii in camera per andare a prendere il pigiama dalla mia valigia e, una volta indossato, scesi al piano di sotto per prendere una camomilla - tutte le sere Federico la preparava sia per lui che per me.
"Fede. - dissi appena ebbe versato la camomilla nei due bicchieri - Sono ancora in attesa di motivazioni."
Lui mi scoccò uno sguardo, senza capire.
"In macchina. Hai detto che qui a casa mi avresti spiegato, riguardo a qualcosa per domani." spiegai.
Lui si battè una mano sulla fronte.
"Quanto sono idiota!" esclamò, non capacitandosi di come avesse fatto a dimenticare una cosa apparentemente così importante.
Si alzò dalla sedia, lasciando ancora la camomilla fumante sul tavolo e corse verso il borsone, abbandonato vicino alla porta d'ingresso.
Trafficò un attimo con la cerniera e cercò qualcosa, quindi richiuse il borsone e corse al tavolo.
Si sedette e appoggiò due tagliandi sul piano del tavolo.
Aggrottai la fronte e ne presi uno per capire cosa fosse: sopra di esso vi era scritto giorno ed ora dell'evento e appena sotto, in caratteri più grandi, la dicitura 'Juventus-Napoli'. Sotto ancora, c'erano le scritte con i posti riservati in tribuna VIP e altri dati.
Alzai lo sguardo e guardai Federico incredula.
"No, tu stai scherzando." affermai, anche se sapevo che era tutto vero. Sarei andata allo Stadium per sostenere dal vivo i ragazzi. Come ai vecchi tempi.
Federico sorrise, fiero di essere la ragione della mia felicità.
"Invece è tutto vero, piccola." sussurrò finendo la camomilla. Mi pietrificai sentendo quel piccola, che da tempo non udivo e che ormai mi ero quasi dimenticata.
"Come mi hai chiamata?" chiesi accennando un sorriso.
Lui prese i bicchieri vuoti e li mise nel lavandino per lavarli velocemente.
"Piccola, come sempre. - rispose voltandosi verso di me - E non mi stancherò mai di chiamarti così. Sarai sempre piccola per me..."
Sentivo che, in seguito a ciò, avrebbe tanto voluto dire 'la mia piccola'.
"Su, andiamo a letto adesso."
Salimmo al piano superiore e Federico aprì la porta di camera sua. Da lì Wendy e Spike uscirono fuori.
"Ehi, vi ho lasciati chiusi qui? - domandò ai due cani - Scusate, scusate! Mi perdonate però, vero?"
Io sorrisi, vedendo l'amore verso quei due bulldog tanto adorabili.
"Ciao Spike!" esclamai accarezzando la schiena di un cane.
I due cani rientrarono e si misero sul tappeto, ai piedi del letto.
"Poverini, mi spiace." si rammaricò il ragazzo riferito ai cani, sbadigliando visibilmente stanco.
"Fede, posso dormire nella camera qui accanto?" domandai.
In casa, Federico aveva due camere: quella in cui dormiva lui, e una in cui stavano gli ospiti.
Io avevo sempre dormito nella sua, quando stavo da lui, e quella sarebbe stata la prima volta che avrei dormito nella camera degli ospiti.
Vidi, nei suoi occhi, quanto quella domanda gli avesse fatto male; sapevo che lui avrebbe voluto stringermi in un abbraccio durante il sonno e, in fondo, io avrei voluto ancora addormentarmi appoggiata a lui, cullata dal suo dolce battito.
Mi dispiaceva vederlo così, ma ormai... bè, ormai non eravamo più ufficialmente fidanzati.
"Tu... Sì, vai pure." rispose assente, a pezzi per i pensieri che gli frullavano nella testa.
"Fede..."
Mi avvicinai e lo abbracciai forte. Anche lui mi strinse e sentii il suo respiro irregolare.
"Quanto vorrei che fossimo ancora quello che eravamo prima." sussurrò per mascherare la voce tremante, che io però colsi, perché lo conoscevo troppo bene.
"Lo so Fede. So che è difficile ma dobbiamo conviverci. Almeno siamo ancora amici, non ci siamo lasciati perché non andavamo d'accordo." gli ricordai.
Era dura, certamente, ma inutile piangersi addosso.
Avremmo dovuto proseguire e vivere la nostra vita, senza rimpianti.
"Ti prego stai con me stanotte. - mi supplicò - Solo stanotte. Non ce la faccio a sapere che sei qui a Torino ma non con me."
Sciolsi l'abbracccio che era durato per tutto questo tempo e lo guardai negli occhi.
"Solo stanotte." lo avvertii.
Lui sorrise, incredibilmente più tranquillo.
"Sì, solo stanotte."
Si avvicinò e mi lasciò un bacio sulla guancia, e mi coricai nel letto, con lui accanto.
"Buonanotte Deb." mi disse lui.
Io mi avvicinai e poggiai la testa alla sua spalla, quindi ricambiai la buonanotte.

Il giorno successivo ci svegliammo piuttosto tardi rispetto al previsto, verso le dieci circa, e dopo una colazione veloce, Federico mi chiese di portare Spike e Wendy a fare una passeggiata.
"Se esco io a piedi mi travolgono i tifosi." si giustificò.
Misi il guinzaglio ai due bulldog e calai il cappuccio della felpa sulla testa, per evitare che paparazzi vari in giro per inutili motivi potessero avvisarmi e riconoscermi per la sorella di Pjaca.
Feci un giro attorno al vicinato della villetta di Fede e, al mio ritorno, pranzammo e poi passammo il pomeriggio a casa. Verso le cinque partimmo per arrivare, dopo circa un quarto d'ora, allo stadio e entrare dall'ingresso riservato.
Un flusso di emozioni e ricordi si fece spazio in me; entrare in quello stadio riportava alla mente quella stagione passata a Torino, in cui durante tutte le partite in casa ero sempre lì, allo stesso seggiolino, a tifare Juve.
Ed era inevitabile: solo per quella partita, avrei abbandonato la fede viola per tifare ancora la grande Juventus.

Ecco qua il capitolo, spero vi piaccia!! 💖

𝐒𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐒𝐎𝐅𝐅𝐑𝐈𝐑𝐄 || Federico ChiesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora