Capitolo 29.

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«Fede, so che l'orario non è dei migliori ma...» Arya si morsicchiò un labbro, sperava che anche se si fossero lasciati con astio lui l'avrebbe messo da parte.

«Dimmi Arya, parla però non stare zitta come se dovessi cavare sempre qualcosa dal tuo discorso.»

Lei sussultò alla durezza di quelle parole e così si guardò intorno, sfortunatamente la gente non era in giro sicuramente per il freddo, sospirò e prese tutto il coraggio, «...Mattia mi ha lasciata sotto casa sua, non può allungare, o almeno così ha detto, puoi...puoi venirmi a prendere?»

«Sei sola? Non ti ha fatto neanche salire? Dove sei Arya?» Federico parlava a raffica, prese le chiavi di casa e della sua auto e senza neanche indossare il giubbotto scese continuando a tenere il telefono fra la spalla e l'orecchio senza curarsi neanche di indossare la cintura.
Il bip insistente dell'avviso di mancante cintura lo faceva innervosire ancora più.

«Sono sola, gli ho detto io che non mi andava di salire, ha avuto un problema urgente con la mamma e non ci sta gente in giro.» Arya si guardò intorno, avrebbe voluto evitare di parlare con Federico per questo motivo, ma per forza di cose lo aveva dovuto chiamare.

Sentì il ragazzo inspirare a pieni polmoni, quando Federico faceva in quel modo era perché la sua rabbia era destinata a crescere a dismisura; nonostante fosse lei il motivo di tale ira Arya non poteva far a meno di pensare a quanto volesse stare in quell'auto a poterlo guardare: le mani sul volante strette quasi bianche, il collo rosso e le vene in evidenza, le labbra premute e il silenzio.

«Dove abita sto coglione?» Sbottò Federico passandosi una mano sul viso picchiettando un dito sul volante come a voler scandire il tempo.

«lo piazza della Repubblica.» Che non era esattamente la zona più bella della città, si era fermata ad un bar piccolino e si era poggiata al muro.

«Fa tutto il figlio del papi del cazzo e ti lascia sola lì sotto? Stai in linea ma non parlare perché ti giuro spacco ogni cosa.»

Arya attese con la mano a reggere il telefono attaccato all'orecchio, il cuore le batteva all'impazzata perché anche lei sapeva alla perfezione che quel posto non era fra i più consigliati di Torino.
Chiuse gli occhi e sospirò, non vedeva l'ora di riabbracciare Federico e magari baciargli le labbra ancora.

«Non far così, sto arrivando e che sta cazzo di città è piena di semafori.» Non aveva addolcito la voce, Arya ne era quasi grata perché dovevano ancora parlare di quella strana situazione e non avrebbe voluto accantonare il tutto ad una misera pace fatta per una paura.

Non rispose ma aveva la testa inclinata per cercare di scorgere almeno in lontananza il Range Rover.

«Fede sono a quel bar con il venditore di kebab accanto.» Aveva rotto il silenzio, si era stretta nel cappotto nero ed era avanzata su suoi tacchi a spillo di cui ignorava il dolore.

«Ti sento tremare dal telefono.» Sbottò lui alzando gli occhi al cielo, l'aveva vista mentre scendeva da casa, con una gonna aderente rossa e un maglioncino corto nero, l'avrebbe voluta fermare per levarle quel rossetto rosso fuoco con le sue labbra, in un bacio come quello a Carrara sul terrazzo di casa dei suoi genitori.

Federico pregava solamente di trovarglielo ancora nelle più perfette condizioni.

«Puoi parlare per favore?» Arya si morse un labbro chiudendo gli occhi duramente, un uomo era uscito dal locale accanto a dove era poggiata lei, una sigaretta nella bocca e una sedia nelle mani.

La sbatté per terra e ci si sedette, aspirò del fumo dalla sigaretta e Arya non poté fare a meno di notargli le unghie nere.
Sulla strada opposta dei furgoncini bianchi e rovinati facevano da protagonisti all'immenso spazio vuoto.

Starlight - Federico Bernardeschi Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora