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Ho capito che mi sarei dovuta vestire in maniera diversa più o meno nello stesso istante in cui ho aperto la porta del pub e sono stata investita da una gelida ventata di aria.

Indosso una canottiera azzurra di seta che, infilata con poco garbo nella gonna di jeans, mi fa apparire più magra. Il bottone della gonna, all'altezza del mio ombelico, non fa notare la mia pancia e la canottiera, che scende leggera e morbida sul mio corpo, fa sembrare notevolmente più piccolo il mio seno.

La mia schiena è parzialmente nuda, a causa del modo in cui la canottiera avvolge con casualità e leggerezza ogni mio movimento, e le mie spalle sono coperte soltanto dalle spalline sottili della canottiera.

Così mi appoggio pesantemente alla parete esterna del pub, spostandomi per la milionesima volta i capelli corti dietro le orecchie e maledicendomi per il vento freddo che mi entra nel petto.

Riesco a percepirlo mentre si insinua nelle mie ossa.

Sposto il mio sguardo per terra, sulle mie converse bianche distrutte che non sono più bianche da una vita.

Mia madre le avrebbe buttate anni fa, se fosse dipeso da lei.

-Stai di nuovo gridando al lupo?- chiede Luke, chiudendo alle sue spalle la grande porta d'ingresso del pub e avvicinandosi a me.

-Non grido al lupo- sbuffo, asciugandomi una lacrima con il dorso della mano.

Eppure, non sono il tipo di persona che piange.

Sono più il tipo di persona che si tiene tutto dentro e, sì, esplodo anch'io, ma non piango.

Odio piangere, odio sentire le mie guance diventare calde e bagnate, odio la compassione degli altri, odio sentirmi debole. Lo odio.

Ho pianto da piccola, ma poco e, crescendo, in rarissimi casi, evitando sempre di farmi notare dalle persone a me care, in special modo dai miei genitori, pronti a evidenziare la mia più piccola debolezza.

Motivo per cui, in primo luogo, mi ero sfogata con Luke, ritenendolo uno sconosciuto non importante, senza pensare che un semplice pianto potesse essere reiterato per un mese intero.

Ebbene, non pensavo di essere così sensibile finché non ho conosciuto Luke Hemmings, e non sono ancora sicura sia una cosa così positiva.

Forse mi preferivo fredda e apatica e non questo cumulo di emozioni represse che devono in tutti i modi uscire allo scoperto.

-Vuoi che ti ricordi quella volta al lago? O il 22 agosto? Sei il prototipo perfetto di ragazza depressa- dice, appoggiandosi al muro, accanto a me.

-Hai poco tatto, te lo hanno mai detto?

-Giusto un paio di volte- risponde, con un sorriso per cui non riesco a trovare un aggettivo adatto.

-Non volevo che scappassi, non avevo pensato potesse essere questa la tua reazione- dice, dopo aver sbuffato- mi spiace non ti sia piaciuta.

-Mi è piaciuta, è solo che..- provo a spiegare, maledicendomi per non essere capace di spiegare bene ciò che c'è dentro di me e chiedendomi subito dopo se sia possibile farlo.

-E' che ad un certo punto mi sono sentita una persona orribile, hai presente? Mi sono resa conto, anche se onestamente non per la prima volta, che sto facendo della mia vita una tragedia del tutto non necessaria. Voglio dire, ci sono tantissime persone vicino a me che hanno bisogno di me ed io non ci sono per loro solo ed esclusivamente perché continuo a struggermi per qualcosa che non posso in nessun modo cambiare, per qualcosa che è nel passato- spiego, capendo sempre di più quanto io sia egoista.

Drowned in the lake // Luke HemmingsWhere stories live. Discover now