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Avete presente quando, dopo aver fatto qualcosa di cui vi siete pentiti o di cui adesso vi vergognate, rimanete in apnea?

È come trattenere il respiro, ma non per alcuni attimi, bensì per giorni o settimane. Certo, qualche volta si riesce anche a distrarsi, a pensare a qualcosa altro, a respirare, ma, in generale, si rimane in apnea. Sospesi.

È come essere a casa, seduti davanti alla scrivania a leggere il libro su cui domani dovete presentare in classe un'importantissima relazione, ma non riuscire a smettere di immaginarsi quel guaio di cui adesso vi state pentendo, per cui adesso vi mettereste ad urlare per rompere il silenzio tombale che regna in casa vostra, per cui dareste un pugno così forte alla scrivania da rompervi la mano; invece rimanete fermi, immobili, incapaci di leggere.

Voglio dire, vi è mai capitato di fare una cazzata e di rimanere per giorni come fermi a quella cazzata lì, incapaci di andare avanti e ricominciare a respirare? Vi è mai capitato?

Io, personalmente, sono sospesa in questo vuoto che è la mia esistenza da giorni, contemplando la poco razionale scelta di rivedere casa mia.

Sono in apnea anche quando, davanti a questo maledetto specchio, continuo ad accarezzare il tessuto morbido della gonna del mio vestito bianco e per questo motivo neanche mi accorgo di Luke, nella sua camicia bianca stirata male e nei suoi pantaloni neri eleganti, presi in prestito da Calum e un po' stretti, che probabilmente non avrebbe mai messo se Ashton non lo avesse minacciato con il suo inalatore.

-Sono pronta- sussurro, senza distogliere lo sguardo dal mio riflesso, cercando di reprimere quel maledetto pensiero che mi urla nella testa che non è vero, non sono affatto pronta.

Chiudo l'anta dell'armadio e faccio strada verso l'esterna di questa villa.

Odio questo vestito, troppo bianco per la commemorazione di un defunto; odio questa borsa, troppo elegante per una come me; odio queste scarpe, che sono le mie amate converse, le odio, le odio talmente tanto, le odio da morire; odio le mie mani, che non dovrebbero portare questo anello sull'anulare destro.

Mi odio, non mi sono mai odiata così tanto.

Quasi non la sento la mano di Luke che mi stringe la vita per farmi salire in auto.

Non sento nulla.

Sono in apnea.

Maledizione.

***

-Stai bene?- mi chiede, guardandomi con la coda nell'occhio.

-Alla prossima svolta a destra- rispondo, dopo aver fatto un respiro che non mi ha affatto riempito i polmoni.

Siamo quasi a casa.

Ma cos'è una casa?

Luke non replica e continua a seguire le mie indicazioni per altri cinque minuti, poi parcheggia vicino ad una macchina esageratamente costosa e spegne il motore.

Non ho detto nulla durante tutto il viaggio, ignorando deliberatamente ogni tentativo di instaurare una conversazione da parte di Luke.

Se riesco a non dire nulla per il resto della giornata e a non ascoltare qualsiasi cosa mi venga detta, forse riuscirò a sopravvivere.

Luke mi apre la portiera, più perché io sono quasi incapace di muovermi che per un atto di gentilezza, ed io lo prendo per mano.

Lo so che nelle storie d'amore questo gesto avrebbe dovuto incutere alla protagonista almeno un po' di sicurezza, ma non è questo il caso.

È invece come se non riuscissi a sentire la sua pelle sotto alla mia. Non la sento, sento solo i miei pensieri ed i miei ricordi. Nulla di più.

Camminiamo con lentezza a causa dei miei passi strascicati, ma, purtroppo, raggiungiamo lo stesso l'immenso giardino, decorato sui toni del bianco, che ospita questo odiosamente sfarzoso banchetto.

Drowned in the lake // Luke HemmingsWhere stories live. Discover now