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Claire

Non ho mai vissuto nessun tipo di trauma, di dramma.

Nessuno, mai.

Non ho mai preso brutti voti, non mi sono mai fatta troppi problemi sul mio aspetto fisico, non ho mai avuto problemi nel rapporto con i miei genitori o con i miei fratelli, non ho mai affrontato un lutto vero e proprio e non ho mai avuto nessun incidente. Nessun trauma, nessun dramma.

Una vita, semplicemente, normale.

Seconda mia nonna è per questo che studio scrittura creativa: tutti abbiamo bisogno del dramma; io non lo vivo, lo scrivo.

Che culo, ha detto mio fratello quando nonna ha spiegato la sua teoria.

Che palle, ho pensato io.

Ad otto anni ho conosciuto El, un dramma vivente.

Dopo due esatte settimane mi ha presentato il suo migliore amico, il suo alter ego, Calum.

I due, pur conoscendosi da sempre, diventarono amici proprio in quel periodo, quando la vita di El si trasformò in un buco nero.

Calum all'epoca non era un gran figo, era un bambino normale con due grandi amici ed una nuova migliore amica.

Io invece, pur essendo assolutamente priva di drammi, avevo sempre avuto delle grandi difficoltà nel socializzare.

Ahimè, la sfiga mi perseguita ed ancora oggi faccio fatica a parlare liberamente con persone che non conosco o con cui non ho la massima ed assoluta confidenza.

Un casino, lo so. Brutta sfiga, lo so. Ma nessun dramma, ancora.

Mi presentò Calum nel giardino di scuola, all'ora di pranzo.

Lui era insieme a Michael e Ashton, che già avevano fatto amicizia con El, ed io, in quel gruppo, mi sentivo maledettamente a disagio.

Non sapevo con chi di loro parlare, cosa dire, cosa fare, come muovermi. Un pesce fuor d'acqua, come sempre.

Rimasi in silenzio, imbarazzata, mentre gli altri quattro parlavano.

Poi Calum mi chiese di andare a giocare con lui, mentre gli altri continuavano a parlare di una lezione che entrambi non seguivamo con loro. Ringraziai mentalmente chiunque gli avesse fatto venire quell'idea e mi avesse così permesso di smuovermi da quello stato di imbarazzo.

Ci sedemmo sulle altalene ed iniziammo a parlare.

Lui mi parlò dei suoi genitori e di sua sorella, io dei miei e dei miei quattro fratelli. Parlammo fino al suono della campanella, senza nessun tipo di silenzio imbarazzante – escludendo quel momento, dopo che gli altri ci hanno raggiunto, in cui Ashton ha perso la calma per un motivo sconosciuto e ha finto di svenire.

Ashton, già allora, doveva fare i conti con il suo trauma, poco ma sicuro.

Quello stesso giorno ci incontrammo fuori scuola, dovevamo fare più o meno la stessa strada per tornare a casa.

Da quel giorno iniziammo ad andare a scuola a piedi insieme, a sederci tutti e cinque allo stesso tavolo a mensa, a studiare insieme nel pomeriggio e a condividere qualsiasi tipo di ricordo.

Riconobbi i sintomi dell'infatuazione nel giro di tre anni, più o meno.

Quando ne fui pienamente convinta, all'età di dodici anni, gli dissi che dopo scuola gli dovevo parlare, ignorando il fatto che Ashton si fosse sentito male per un brutto voto in scienze.

Puntuale, mi aspettò davanti al cancello della scuola e, mentre io mi ripetevo mentalmente 'puoi farcela, devi solo dirgli che ti piace', lui mi sorrideva come un bambino.

Drowned in the lake // Luke HemmingsWhere stories live. Discover now