Chapter 8

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Non è stata una buon'idea accettare l'invito per quella maledetta festa. Non ho trovato nulla da indossare per l'occasione e sono, quasi, certa che ci sarà anche Harry e la cosa non è che sia molto a mio favore, dato che contavo di passare una serata tranquilla. Scendo di sotto, nel mio vestitino oro, lungo fin sopra le ginocchia, non ho mai trovato l'occasione giusta per indossarlo, fortunatamente, perché è così fastidioso che se non ne avessi un urgente bisogno, non lo avrei mai indossato.

Sento il clacson rumoroso dell'auto di Cameron, che mi avverte del suo arrivo. Raggiungo il vialetto, entro in macchina e lo saluto con un timido sorriso. Come sempre non mi sento a mio agio e inizio a pensare che non è una buon'idea neanche il fatto che Cameron è passato a prendermi. Oltre al fatto di essere in macchina con lui, si mette anche questo vestito a farmi sentire estremamente a disagio, dal momento che non ha perso tempo per posare il suo sguardo su di me e rivolgermi un sorrisetto malizioso. Imbarazzata gli sgancio un pugno sul braccio, che tiene fermo sul volante, lo vedo sogghignare divertito dall'idea di avermi messa in imbarazzo. Alzo gli occhi al cielo, spostando lo sguardo sul finestrino accanto a me.

In poco tempo, arriviamo davanti ad una villetta non molto grande e, una volta parcheggiato, ci avviciniamo all'entrata, da cui si sente già il rimbombare della musica alta.
Odio questi suoni forti e tutti questi odori pungenti, provocati da alcuni ragazzi che fumano indisturbati sul vialetto, mi stordiscono e il battito del mio cuore accelera vertiginosamente. Ci addentriamo nella villetta e una centinaia di adolescenti ballano su una pista improvvisata al centro di un enorme salotto. Intercetto subito mio fratello ubriaco fradicio steso su un divanetto mentre è impegnato a sbaciucchiare una biondina seduta sulle sue gambe, Kira e Gimmy ballare uno appiccicato all'altra, Adam e Luke parlare con alcuni ragazzi accanto ad un tavolo colmo di bibite. Cameron mi prende per mano, cercando di esortarmi a camminare, ma mi gira la testa a causa di tutto questo frastuono e, improvvisamente, non riesco nemmeno più a muovermi. Mi sento come paralizzata e il panico mi assale. Non me la sento di restare qui, mi tremano le mani al solo pensiero e, inoltre, mio fratello mi ha lanciato un'occhiata gelida facendomi capire che non sono la benvenuta. Lascio la mano di Cameron e corro verso la porta sotto il suo sguardo preoccupato.

Ho la vista appannata e un nodo che mi stringe la gola impedendomi di respirare, mi avvicino all'auto di Cameron cercando di aprire con mani tremanti la portiera, che, però, è chiusa. "Ehi! Stai bene?" Cameron mi affianca, cercando di afferrare la mia mano, ma sfuggo dalla sua presa, tirando un pugno al finestrino. La mano mi trema ancora di più, a causa dell'impatto con il finestrino.
"Voglio tornare a casa, ora" urlo in preda al panico, lui mi rivolge uno sguardo colmo di confusione e non accenna a muoversi, ciò mi fa infuriare ancor di più dei flashback che prendono vita nella mia mente.
"Ti ho detto di riaccompagnarmi a casa!" urlo fuori di me, facendo voltare alcuni ragazzi all'esterno della casa.

"Ok! Entra in macchina" apre la macchina e mi fiondo sul sedile in pelle, prendendo un respiro profondo nel vano tentativo di mettere un freno ai pensieri. Restiamo in silenzio, fino a quando non si ferma a metà strada e io presa dalle mie paranoie spalanco gli occhi terrorizzata.
"Perché ci siamo fermati?" mormoro perplessa, guardandomi freneticamente attorno.
"Posso portarti in un posto?" mi chiede intimidito. Non credo che abbia cattive intenzioni e tornare già a casa non mi va, dato che dovrei dare troppe spiegazioni.
"Ok, ti dispiace andare in un posto dove possiamo mangiare qualcosa? Il mio stomaco ne ha bisogno" chiedo timidamente, cercando di essere il più gentile possibile. Fa ripartire la macchina e io sono sempre più curiosa di sapere dove mi stia portando, ma non voglio fare troppe domande dal momento che non mi sono rivolta a lui nel migliore dei modi pochi minuti fa. Non so se definire tutto questo un appuntamento, ho sempre sognato un appuntamento con il mio principe azzurro e di certo non con un ragazzo che conosco da poco più di un mese, andando in un posto a me sconosciuto. Le sorprese non mi piacciono per niente.

Arriviamo nel parcheggio di un piccolo pub, non molto lontano dal luogo della festa a cui avremmo dovuto partecipare. Scendiamo dalla macchina e io, finalmente, sento l'aria fresca riempirmi i polmoni. Entriamo nel piccolo pub in stile vintage decorato con piccole lucine, tutto fatto in legno e un pianoforte nero lucido al centro della piccola sala. Un cameriere ci fa accomodare in un tavolino che affaccia su una terrazza, oltre la quale il cielo si scontra con l'oceano e, dove, il rumore delle onde, che si infrangono sulla riva, si alterna al suono dolce di una canzone romantica suonata poco lontano dal giovane pianista dai capelli neri.

"Ti piace?" mi chiede Cameron, notando il mio sguardo fisso su quel meraviglioso panorama. Mi sento così stupida, pensavo avesse cattive intenzioni, che magari non sarei tornata a casa tutta intera, ma, invece, mi ha portata in un posto fantastico. Inizio a pensare che, forse, Harry ha ragione, ho seri problemi di fiducia.
È bellissimo. Come conosci questo posto?" chiedo curiosa, dato che lui si trova da poco qui non mi aspettavo che ne conoscesse l'esistenza. Rivolgo ancora una volta la mia attenzione all'oceano, abbagliata da tanta bellezza che, però, mi è nascosta, a causa della poca illuminazione.
"Una mattina stavo correndo e sono arrivato fino a qui, ero tutto sudato e avevo bisogno di una rinfrescata così ho preso qualcosa da bere e sono andato in spiaggia per riposarmi. Poi, sono venuto qualche sera dopo e mi sono innamorato di questo posto" confessa, seguendo il mio sguardo.
Lo stesso cameriere, che ci ha fatto accomodare, arriva portando le ordinazioni ordinate da noi poco prima.

"Senti Cam, mi dispiace di averti rovinato la serata. . ." affermo pronta a continuare le mie scuse, ma lui mi interrompe rassicurandomi. "Non hai rovinato nulla Ale, neanche a me andava tanto di restare" mormora semplicemente. Credo che sia sincero e che non lo dica tanto per non farmi sentire in colpa. Sorrido, pensando che mi ha chiamata 'Ale', nessuno mi ha mai chiamata così, ma mi piace. "Ti va se ci conosciamo un po'?" mi chiede titubante e, contro ogni sua aspettativa, accetto volentieri, nonostante il mio odio più profondo per le domande e la mia paura che riguardino qualcosa di troppo personale che non sono pronta a condividere con altri.
"Hai mai fatto il bagno di notte?" chiede, lasciandomi perplessa.
"No, mai" rispondo subito, non ho fatto molte cose che di solito fanno gli adolescenti e me ne pento, anche se so che non è mai troppo tardi per disubbidire a quelle regole che io stessa mi sono imposta.
"Tu hai mai provato un dolore così forte da autodistruggerti?" lo vedo sussultare, credo che quella che ha fatto una domanda un po' azzardata sono io, mi risponde solo quando entrambi abbiamo portato alla bocca l'ultimo boccone della nostra cena, ovvero qualche minuto dopo. L'ho osservato attentamente mentre è intento a riflettere su come rispondere e, credo, di aver intuito già la risposta dal suo sguardo perso.

"Credo di sì, ma non mi sono poi così tanto autodistrutto, non sarei qui altrimenti" afferma, accennando un sorriso sincero. Sono veramente stupita dalla sua risposta ottimista e dal sorriso che si è esteso sulle sue labbra, credo che abbia ragione lui e che sia più forte di prima nonostante qualsiasi cosa gli sia successa. Mi alzo in piedi e, per la prima volta, gli afferro la mano, stringendola con la mia.
"Ti va di fare un giro in spiaggia?" annuisce e si alza, seguendomi giù per i piccoli scalini, che portano a quella meravigliosa spiaggia.

Take me away with you! | In revisioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora