Chapter 20

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L'aria fresca di Miami mi colpisce in pieno volto, sorrido alla vista dell'ennesima casa decorata con lucine ovunque. Adoro l'aria natalizia che si impossessa di questa città in questo periodo.

È la Vigilia di Natale, di solito la passavamo con la famiglia di Maya, ma sono tre anni che le cose sono cambiate, le nostre vite sono cambiate. Io, papà e la nonna abbiamo deciso di recarci a casa loro per porgere i nostri auguri di buon Natale. Inutile dire che Mike e Harry non hanno voluto accompagnarci e si sono inventati milioni di scuse per declinare l'invito.
Non so se sono pronta a entrare di nuovo in quella casa, non posso sopportare, però, il senso di colpa, nel caso non andassi da loro, anche solo per baciare le guance paffute di Kate o di stringere la mano di Andrew e sentirlo ridere della mia fragile stretta.

Varchiamo il cancelletto in ferro nero e papà mi esorta a premere il campanello, posando una mano sulla mia schiena.

"Lex la porta è aperta, fai in fretta che la cioccolata si raffredda." Adoravo la cioccolata calda che solo lei sapeva preparare, nonostante facesse caldo.

Suono il campanello con una mano tremante. Ed eccoli i ricordi che riaffiorano nella mia mente, sono in tanti e sono dolorosi. Osservo ogni piccolo e insignificante dettaglio di questa casa che ho visto così tante volte. Osservo anche la porta della cantina e, al ricordo di quel sogno, rabbrividisco.

La signora Lowson apre la porta regalandoci uno dei suoi più calorosi sorrisi.
"Oh! Cari, entrate pure" mormora e, per mascherare la sorpresa, sfoggia un sorriso tirato. Bella la maschera che indossa, sembra quasi vera, però, io lo vedo quello sguardo colmo di tristezza, rancore e solitudine. Sai Kate, anche io mi sento sola, Maya è gioia, purezza, spontaneità. Maya era il sole che illuminava le mie giornate, le stesse giornate che adesso sono solo colorate da un velo grigio, un velo che non riusciamo a lasciar cadere.

Ci accomodiamo in soggiorno, lo stesso dove io e Maya guardavamo tutti quei film strappalacrime senza mai annoiarci.
"E' un piacere vedervi dopo tutto questo tempo" sospira Andrew, rivolgendomi uno sguardo indecifrabile. Mi rimprovero anche io di non essere venuta prima, ma anche adesso sento il cuore battere all'impazzata per l'enorme passo avanti.
"Restate per cena? Mi farebbe tanto piacere" chiede speranzoso. Se lei fosse qui, mi avrebbe pregato di restare e io non sarei riuscita a dire di no a quegli occhi da cerbiatto che utilizzava quando voleva ottenere qualcosa.
"No, scusa Kate, farebbe molto piacere anche a noi, ma partecipiamo alla cena dei White." Guardo mio padre di sottecchi e sembra dispiaciuto di aver declinato l'invito. Ecco perché ha insistito tanto per farmi indossare questo vestito rosso, non ne sapevo nulla, ma ora è tardi per piantarlo in asso.

"Alex, come va a scuola? Hai ricevuto già qualche proposta dai college?" continua interessato Andrew. Speravo vivamente di evitare quest'argomento, ma, dopotutto, non vedo questa famiglia da anni, loro erano i primi a sognare insieme a me e Maya il nostro futuro alla Harvard.
"Sono stata ammessa ad Harvard" mormoro flebilmente, abbassando lo sguardo sulle mie mani, che sembrano più interessanti di questa conversazione.
"Oh! Sono felicissima per te" afferma sorpresa sua moglie che, senza perdere tempo, mi stringe in un abbraccio. Non uno di quegli abbracci veri, uno di quelli che dai per cortesia. Non mi ha mai abbracciata così, un tempo i suoi abbracci erano calorosi, materni, questo sembra quasi l'abbraccio della signora White quando papà la informerà a cena e se dico che quella donna è la falsità fatta persona, non scherzo.

"Come va con il caso, Andrew?" chiede mio padre cautamente. Kate si alza dicendo di aver dimenticato di prendere il dolce e la nonna la segue in cucina. La stessa dove io e Maya preparavamo i dolci e dove finivamo per pulire il casino che combinavamo in una lotta con tanto di uova schiacciate in testa. Andrew mi invita gentilmente ad andare di sopra e di fare come se fosse casa mia. Una volta non c'era bisogno di dirlo perché era davvero casa mia, la mia seconda casa. Mi alzo e mi avvio verso il corridoio, mi avvicino alle scale e cerco di sentire almeno la risposta di Andrew alla domanda, fuori luogo, che minuti prima, gli ha posto mio padre.

"È chiuso, ormai. Non ci sono più prove e, secondo l'FBI, si tratta di allontanamento volontario. Non importa più quanti avvocati io paghi, secondo loro, se è davvero come io sostengo, cioè che lei non l'avrebbe mai fatto, tornerà" mormora rassegnato. Salgo le scale velocemente e mi fermo dinanzi alla porta della sua camera. Non possono pensare davvero che Maya se ne sia andata così da un giorno all'altro, senza di me, a soli 15 anni. Mi avvicino lentamente e busso, quasi spero che lei mi apra e mi dica che è stato tutto uno scherzo, uno scherzo di cattivo gusto, ma che con la sua leggerezza si porta via tutto il dolore che ho addosso. Poggio una mano sulla maniglia e mi accorgo che sto ancora tremando, ricordo ogni particolare di questa stanza, sono come impressi nella mia mente. Ricordo le infinite mappe concettuali sulla lavagnetta appesa al muro, i salti sul letto ricoperto dai buffi cuscini e le nostre urla quando succedeva qualcosa di emozionante, ricordo la finestra dove mi osservava andare via mettendo un finto broncio, ricordo i sacchi a pelo che usavamo per dormire nonostante avessimo un letto a disposizione, ricordo la mia ultima sera in questa stanza. La allontano subito, quasi scottasse, e scendo velocemente le scale, raggiungendo la porta d'ingresso con due falcate.

"Alex, dove vai?" chiede mio padre allarmato, mi osservano tutti preoccupati dalla soglia della porta. Io non ce la faccio, non posso restare in questa casa un minuto di più, sento l'aria mancarmi, il cuore perdere un battito ogni volta che faccio un passo avanti su quel dannato viale dei ricordi. Sembra i primi mesi che lei non c'era, non riuscivo a stare nemmeno a casa mia perché tutto mi ricordava lei. In qualsiasi posto io vada tutto mi ricorda lei, anche quando metterò piede ad Harvard mi ricorderò di lei. Era anche il suo sogno, è il suo sogno.

Non riesco a trattenermi che un grido agghiacciante mi fa cadere in ginocchio. Grido con tutte le forze che ho in corpo, come mi consigliò di fare Cam quel giorno al molo, lo stesso molo, dove io e lei ci tuffavamo nei periodi più caldi. Sento il caldo abbraccio di mia nonna attorno al mio corpo e le sue lacrime bagnarmi la spalla. Vorrei piangere con lei, ma c'è qualcosa che non mi permette di farlo, qualcosa di profondo che me lo impedisce.

Take me away with you! | In revisioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora