Chapter 44

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"Sei sicura?" mi chiede Mike preoccupato mentre rivolgo titubante lo sguardo verso la struttura vecchia e grigia dall'altra parte della strada. No, vorrei rispondergli, ma devo farlo per me stessa, devo almeno provarci, poi se non c'è la farò andrà bene comunque, ma potrò dire di averci provato. Annuisco cercando di sembrare il più convincente possibile, ma so che lui mi capisce perfettamente e che io sono una pessima bugiarda.

"Vengo con te?" sorrido lievemente di fronte alla sua preoccupazione, ma io gli avevo semplicemente chiesto un passaggio non un interrogatorio. Quando ho pensato di venire ero più che sicura che fosse la cosa giusta però ora che sono qui la sicurezza che avevo sembra essersi dissolta nel nulla lasciando spazio alla paura. Credo di essere una delle persone con più paure al mondo, spesso la maggior parte di esse mi rendono anche codarda perché mi spingono a nascondermi senza affrontare la realtà, quindi ho deciso che devo smetterla di fuggire e di nascondermi da tutto e devo affrontare la realtà, i miei sentimenti o, semplicemente, le persone.
"No Mike, vado da sola" mormoro, prendendo un respiro profondo e, dopo avergli lasciato un bacio sulla guancia, apro la portiera. 
"Alex- mi richiama prima che possa chiuderla- ti aspetto qui. Non metterci troppo" dal suo tono di voce capisco perfettamente che pensa sia una pessima idea, ma si limita ad appoggiarmi, lo fa sempre e io non lo ringrazio mai abbastanza. 

Mi incammino verso la struttura dall'aria fredda e triste. Cerco di non pensare ai brividi che mi riscuotono. Non è nemmeno una bella giornata oggi e ciò non può fare altro che peggiorare l'atmosfera che mi si è creata intorno. Ho paura di cosa dire o fare quando lo vedrò, ho paura di lasciarmi sopraffare dalle emozioni negative o semplicemente di avere una reazione eccessiva vedendolo lì, proprio di fronte a me. Ma nonostante questo continuo a ripetere che devo farcela, che sono forte e tutti meritano una seconda possibilità.
Osservo le mura spoglie e bianche del carcere mentre mi incammino verso la donna in divisa al di là della scrivania. Mi tornano in mente tutti le cose macabre che ho letto in qualche libro o visto in qualche film e penso solo che queste mura così bianche trasmettono solo tristezza e, forse, speranza, la speranza di diventare una persona migliore e di non commettere gli stessi e fatali errori.

Dopo aver chiesto gentilmente alla donna di vederlo e aver ricevuto una risposta positiva, consegno i miei oggetti personali e vengo accompagnata nella stanza dei colloqui, da una guardia. Mordo nervosamente il labbro inferiore e mi siedo ad una scrivania, di fronte a me c'è un vetro dietro il quale, fra qualche minuto, siederà Austin, al mio fianco, invece, c'è un telefono bianco. "Avete 5 minuti" mi avvisa in tono duro la guardia, annuisco e sposto la mia attenzione verso la stanza. Donne, uomini, ragazze e bambini parlano con i loro cari o si limitano a guardarli oltre quel vetro, a tratti crepato, che li separa. Osservo donne versare lacrime o donare speranze a uomini spenti e vuoti, bambini guardare pensierosi i loro papà e chiedersi perché mai non possono abbracciarli come fanno tutti i bambini, ragazze sorridere o alzare gli occhi al cielo alle battutine dei fidanzati o dei fratelli, forse condannati a scontare una pena ingiustamente.

Il rumore delle catene mi distoglie dai miei pensieri e mi porta ad alzare lo sguardo di fronte a me. E' seduto lì che mi guarda come se avesse visto un fantasma, ha i capelli rasati, gli occhi marroni lasciano intravedere un velo di tristezza, le sopracciglia folte spettinate e la mascella perfettamente squadrata priva di quella accenno di barbetta che, di solito, portava sempre. Indossa la stessa divisa arancione che indossava in tribunale e ha i polsi e le caviglie chiusi nel ferro freddo delle manette. Ha l'aria di chi è pentito e sta pagando con la solitudine rinchiuso nelle quattro mura di una cella, ciò mi fa stringere il cuore in una morsa, anche se è sbagliato. Non ho detto a nessuno, oltre a Mike, che sarei venuta a trovarlo, avevo paura di essere giudicata e non ci pensavo nemmeno di dirlo a Maya, si sarebbe sentita tradita anche da me e non voglio che accada. 

Mi fa un cenno con la testa al telefono così afferro la cornetta e la porto all'orecchio. 
"Mi dispiace" mormora con voce roca, e io sono già stanca di sopportare il suo sguardo dispiaciuto.
"Lo hai già detto Austin. Smettila di scusarti con me, un' altra persona merita le tue scuse" dico con voce dura, forse troppo per una persona fragile come lui, riferendomi a Maya che ancora non ha ricevuto direttamente le sue scuse e la quale non credo lo perdonerà su due piedi come sto facendo io. Non è affatto facile, ma comunque è passato troppo tempo per me, per lei troppo poco e le ferite sono ancora fresche anche solo per guardarlo in faccia. 
"Che ci fai qui?" mi chiede mettendosi sulla difensiva e sviando l'argomento, che nemmeno io ero intenzionata ad aprire, ma è stato involontario. 

"Anche se è difficile da credere sono qui per perdonarti, per darti una seconda possibilità" cerco di sorridergli e impercettibilmente noto anche gli angoli delle sue labbra carnose curvarsi verso l'alto. Non nego che ancora non riesco a credere di essere nella sala colloqui di un carcere mentre parlo dalla cornetta di un telefono ad Austin cercando di sorridergli, quando fino a pochi anni fa eravamo nel cortile di casa sua a ridere come pazzi per i miei tentativi di centrare il canestro con la palla da basket. Una lacrima solitaria mi solca la guancia e lui abbassa lo sguardo accorgendosene. 

"Grazie so che non è facile dare una seconda possibilità ad una persona come me, ad un traditore, ma tu sei una persona buona Lex e non ti merito. Non vi merito" mormora rassegnato. Mi fa male vederlo così e nonostante tutto vorrei abbracciarlo o semplicemente tirargli uno schiaffo, vorrei sussurrargli all'orecchio che gli voglio bene o gridargli che lo odio, ma vorrei averlo vicino perché so che è pentito e che si sente solo e vuoto, rinchiuso in una cella e nella sua testa tra quei pensieri e quei ricordi dolorosi. 

Mi dispiace tanto Austin, ma non posso dirti che non te lo sei meritato, perché mentirei.

"Già! non mi meritavi e non mi meriti neanche adesso, ma sono qui" mormoro, spostando lo sguardo sull'orologio appeso alla parete alle sue spalle. Il tempo è quasi finito. 
"Grazie, ho davvero bisogno di un'amica" lascia andare un sospiro di sollievo e un sorriso sincero.
"Ci sarò, ma non necessariamente come amica, non credo di riuscirci per ora" sono sincera per non illuderlo o dargli false speranze, ma ci voglio essere comunque. 

La guardia si avvicina a lui e lo prende per un braccio, ma prima di scortarlo verso la porta lui si gira verso di me e mima con le labbra un "ci vediamo presto". Mi appoggio allo schienale della sedia e chiudo gli occhi qualche secondo. Credo di aver sopportato troppe emozioni per oggi, è come se avessi fatto un grande sforzo sia fisico che mentale. Perciò quando sono finalmente fuori dalla struttura tetra prendo un respiro profondo e mi incammino velocemente verso la macchina, verso mio fratello che non vedo l'ora di abbracciare. Mi sono sentita un po' come Austin lì dentro. Rinchiusa, e non è stata una bella sensazione. 
Salgo in macchina e cerco subito lo sguardo di Mike che mi capisce e si affretta a rinchiudermi fra le sue calde braccia, poggio la testa sul suo petto e scoppio in un pianto liberatorio.

Take me away with you! | In revisioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora