• Prologo •

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'Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai
Ti difenderò da tutto, non temere mai...'

Le parole della mia canzone preferita, Guerriero, di Marco Mengoni, mi risuonavano nelle orecchie tramite gli auricolari, che mi aiutavano a estraniarmi dal mondo orrendo che mi circondava.
Ascoltavo la canzone fino alla nausea, la sapevo a memoria, mi aiutava a dimenticarmi di tutto.
Quel mercoledì era l'ultimo giorno del mese di ottobre ed ero seduta sul sedile del bus che passava per la città di Torino e che mi avrebbe portato a casa dopo scuola. La mattinata non poteva essere andata peggio ma tralasciamo.
Osservavo fuori dal finestrino, guardando i viavai di gente fuori dai negozi, vicino ai ristoranti e nei pressi dei parchi, immaginando una vita diversa dalla mia.
Non mi piaceva nulla di quello che avevo.
Non mi piaceva il mio aspetto. Non piacevo a nessuno anche perchè le mie abitudini era tutte diverse da quelle degli altri: non andavo mai in discoteca, preferivo una sera passata sul divano a guardare serie TV su Netflix.
La mia settimana era sempre uguale e noiosa.
Dal lunedì al venerdì c'era la tortura della scuola, o meglio dei compagni. Dalle otto del mattino alle due del pomeriggio, sei fantastiche ore in cui c'è lezione ma i miei compagni mi continuano a prendere in giro o lanciare frecciatine fino a che non scoppio. E sono quasi sempre io a beccarmi i rimproveri dei professori, che però conoscono la mia situazione e solitamente non danno peso ai rimproveri ma ai giudizi in verifiche e interrogazioni. Non ho ottimi voti, ma me la cavo. Sto sul sei solitamente: le insufficienze sono rare e i sette sporadici. Non mi lamento e sfrutto le mie capacità fregandomene delle cazzate che dicono quegli ipocriti dei miei compagni. D'altronde sono in terza liceo, quindi i voti non sono mai troppo alti.
Quando sono a casa, dopo pranzo, faccio i compiti per il giorno dopo e alle quattro vado a prendere mio fratello a scuola, e lo porto ad allenamento di calcio (il lunedì e il giovedì), altrimenti per mezz'oretta lo aiuto a fare i compiti.
In seguito vado a fare la spesa in bicicletta e quando torno a casa preparo la cena, mentre aspetto che mia madre finisca il lavoro, e poi è lei che va a prendere mio fratello quando ha allenamento.
Quando arrivano mangiamo e sono circa le nove quando finiamo. A turni mia madre e io laviamo i piatti e la sera guardo la TV con mio fratello fino a circa le dieci, quindi andiamo tutti a letto.
Io mi chiudo in camera mia e di solito non dormo. Sto al telefono e poi o leggo un libro o guardo serie TV.
Il sabato sera vado a servire in un ristorante per guadagnare qualcosa e aiutare mia madre, perchè lavora solo lei e mio padre manca da tempo.
È un ristorante di lusso, poiché lì non ci andrebbe nessuno dei miei compagni di classe e quindi non potrebbero mai vedermi.
Il sabato quando torno è mezzanotte e di solito guardo la replica della partita della Juventus, mia squadra del cuore, che non sono riuscita a vedere perchè ero al lavoro.
La domenica mattina dormo, dopo una settimana passata insonne, e il pomeriggio vado a vedere la partita di mio fratello.
Alla sera devo ancora studiare, ma non ne ho voglia e solitamente finisco per studiare di notte, dormendo pochissimo.
Non so come faccia a vivere questa vita, so solo che non ce la faccio più e voglio qualcosa che non ho, qualcosa che tutti hanno e non so perché io no: voglio un padre.
Sarebbe tutto più semplice, non dovrei badare a mio fratello e mia madre. Nessuno bada a me, tranne Sofia, la mia migliore amica, l'unica che ho e che mi apprezza per come sono, che mi chiama tutti i giorni e che tutti i venerdì pomeriggio dopo scuola mi invita a casa sua 'così, per staccare dalla tua vita', mi dice lei.
So che lei vuole solo il meglio per me, e a me va benissimo così.
Mi piacerebbe essere come gli altri vogliono che io sia, così da piacere agli altri, e non venire presa in giro da tutti.
Non piango quasi mai, nonostante il mondo mi fosse cascato addosso, ma quando succede, mi chiudo a chiave in camera per non far vedere a mio fratello la mia debolezza, perchè lui non deve essere come me, ma deve essere, nella sua spensieratezza, ingenuo e forte.
Staccai lo sguardo dal finestrino del pullman e schiacciai il pulsante per prenotare la fermata.
Il pullman si fermò poco dopo, quindi presi lo zaino e scesi insieme ad un altro paio di ragazzi.
Quindi mi incamminai verso casa, che distava pochi minuti a piedi.
Percorsi a piedi le vie del centro di Torino, fino a giungere in periferia.
Arrivai davanti a casa, scavalcai il cancellino e aprii la porta, quindi entrai.
A casa non c'era nessuno, mia madre era già a lavoro, e quindi dovevo arrangiarmi a prepararmi il pranzo.
Lasciai lo zaino sul divano e andai in cucina, dove trovai un bigliettino lasciato presumibilmente da mia madre.
'Manca il latte... se riesci vai a fare la spesa. Il pranzo è nel forno. Ci vediamo stasera'
Ringraziai mentalmente mia madre per essere riuscita a preparare il pranzo almeno oggi.
Presi dal forno una fetta di carne e la mangiai, insieme a un tozzo di pane, mentre lasciai il resto della carne in una vaschetta sul piano della cucina.
Sono abbastanza magra per una della mia età, dato che mangio poco, e so che dovrei mangiare di più, ma il mio corpo rifiuta qualsiasi cosa più del normale.
Lavai le stoviglie e poi portai lo zaino in camera mia, dove estrassi i libri e li lasciai sulla scrivania, mentre misi nello zaino quelli per il giorno dopo.
Erano quasi le tre quando presi portafoglio e telefono e salii sulla bicicletta per raggiungere il supermercato.
Misi gli auricolari e mi calai il cappuccio sulla testa per evitare di essere riconosciuta da qualche eventuale mio compagno di classe in giro.
Presi il necessario e pagai, ma venne l'ora di andare a prendere mio fratello a scuola.
Passai da casa a lasciare la bici e la spesa, poi presi il bus che portava nei pressi delle scuole.
Percorsi 250 metri a piedi e raggiunsi la scuola in orario. Aspettai che uscisse mio fratello e, quando lo vidi, lo salutai e mi feci dare lo zaino.
Lo misi su una spalla e presi mio fratello per mano, mentre percorremmo a ritroso i metri che ci separavano dalla fermata del bus di linea.
"Com'è andata oggi?" mi informai.
"Bene. - rispose Edoardo, la sua piccola mano attorno alla mia si strinse - Mi hanno dato un testo da leggere e fare gli esercizi. Dopo mi aiuti?"
Io annuii.
"Certo, prima però facciamo merenda, va bene?" dissi mentre feci cenno di fermarsi al bus che stava sopraggiungendo.
"Sì, mi prepari pane e Nutella?"
"Va bene piccola peste."
Ci sedemmo su due posti liberi e nel frattempo tenni la mano a Edoardo. Mi considera come se fossi sua madre, perchè mamma torna tardi e solitamente sono io che lo aiuto quando gli serve qualsiasi cosa.
È difficile per me non avere un padre, mi chiedo come sia per lui, che ancora non capisce cosa significhi tutto questo.
Sempre mi prometto che quando sarà più grande gli racconterò, ma lui sta crescendo e io sto continuando a tacere.

𝐆𝐔𝐄𝐑𝐑𝐈𝐄𝐑𝐎 || Rodrigo Bentancur Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora