• Ventuno •

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La notte non dormii molto. Le cause erano soprattutto l'adrenalina che ancora avevo nelle vene per la partita a cui avevo assistito, ma a questo faceva capolino l'incomprensione dei sentimenti che provavo per Rodrigo.
La storia era non capivo cosa provavo, non capivo se provassi davvero qualcosa e anche se fosse non capivo perchè lo provassi.
Ero sempre stata una ragazza con poca autostima e questo mi faceva sempre vedere i lati più brutti del mio aspetto, cosa che aveva compromesso le relazioni con altre persone.
Cercavo di mostrarmi amabile agli occhi degli altri, come ero realmente sotto lo strato di debolezza che possedevo, ma immancabilmente finivo per parlare dei miei numerosi difetti e con il dire che non mi piacevo com'ero, volevo essere come gli altri e non sentirmi diversa. E di solito, di fronte a queste confessioni, la gente iniziava a starmi alla larga, cercando di evitare i miei problemi e senza aiutarmi a risolverli, ignari del dolore che provavo io per il loro allontanamento.
Era per questi motivi che avevo come amici solo Sofia e Niccolò. La prima era solo riuscita a capirmi ed era troppo determinata per abbandonarmi ai miei problemi e alla mia disperazione, e ha deciso di essermi affianco per sempre; il secondo invece si è trovato in una circostanza differente, perchè era lui ad essere nuovo e aver necessità di essere capito da altri, e perciò ho provato a rendermi utile per lui, e così si e rivelato: lui era privo di pregiudizi nei miei confronti e abbiamo iniziato ad andare d'accordo, per poi finire compagni di banco e compagni di studio fissi.
E poi è arrivato Rodrigo, quel ragazzo tanto normale che mi ha sconvolto la vita senza neppure saperlo.
E tutto per una stupida bottiglietta d'acqua. Ricordo ancora la fantastica prima impressione che ho fatto al ragazzo, con quel 'vaffanculo' di frustrazione rivolto a quella cazzo di bottiglia bloccata.
E Rodrigo è riuscito a trasformare la mia frustrazione in felicità, un tipo di felicità che provo solamente quando lui è con me, una felicità diversa rispetto a quella che provo quando rido con Sofia, Niccolò o mio fratello.
Una felicità che non so veramente a che cosa sia dovuta, per non parlare di quel brivido dietro la schiena e quel piacevole senso di vuoto allo stomaco dell'ultimo periodo.
Oltre ad avere poca autostima, ho sempre avuto una certa confusione nella testa relativa ai sentimenti. Non ho mai provato dei sentimenti abbastanza forti per qualcuno, forse per il fatto che mio padre non c'è, mia madre è quasi sempre al lavoro e mio fratello a scuola.
Vivo questa vita sola, per quanto riguarda la famiglia, perchè i pochi cari che mi sono rimasti li vedo per poco tempo, e il mio problema è una mancanza di insegnamento relativa a ciò che si prova.
È per questo che sono piuttosto perplessa in questo ultimo periodo, perché non sono capace ad amare e appena cerco di fare qualcosa di buono ho l'impressione invece di far soffrire la gente, di far tutto sbagliato. È chiamata atelofobia, ed è un disturbo d'ansia, principalmente, che causa tutto quel che provo io: relazioni influenzate, imperfezione, utilizzo di parole improprie, senso di inadeguatezza.
Non so se si possa curare, ma anche se non si potesse penso che l'unico modo per affievolire tutta quell'ansia e quei disturbi che mi porto dentro sia iniziare ad amare veramente.
Con quel buon proposito in testa, la mattina seguente mi alzai dal letto verso le nove, tanto era domenica, e scesi al piano di sotto, non trovando nessuno.
Presunsi che Edoardo fosse ancora a letto, mentre non era lo stesso per mia madre. Di solito la domenica si svegliava presto e iniziava a svolgere faccende domestiche impensabili.
Solo dopo, avvicinandomi al piano della cucina, vidi il bigliettino lasciato proprio da lei.
Scusatemi ancora per la mia assenza, ma è una questione urgente a casa della nonna. Ci vediamo dopo.
Sospirai afflitta.
Ora pure la nonna, mi dissi sempre più sconfitta.
La madre di mia madre aveva ottant'anni passati, ed era sempre stata in ottima salute. Dal biglietto di mia madre, capii che ora non era così. Non volli nemmeno immaginare cosa fosse successo, non ci riuscivo e mi sentivo impotente di fronte a tutti gli avventimenti che la vita aveva lasciato in serbo per me e la mia famiglia.
Sentii gli occhi pizzicare, ma non cedetti.
Piangere mi faceva sentire più debole di quanto già non fossi. Ricacciai indietro le lacrime e composi il numero di Sofia, mentre mi avvicinai alla porta e la aprii, lasciandola socchiusa.
"Pronto?" la voce impastata della mia migliore amica, che probabilmente avevo appena risvegliato dal mondo dei sogni, mi rispose dopo appena uno squillo.
Cercai in salotto un oggetto che mi rassicurasse su cui posare gli occhi per tranquillizzarmi, ma il mio sguardo incontrò solamente la cornice contenente la fotografia di mio padre al secondo compleanno di mio fratello, circa una settimana prima che morisse.
Sospirai con il battito del cuore che accelerava sempre di più.
"Sofi? - sussurrai al telefono, abbandonandomi sul divano, in preda all'ansia e penso ad un attacco di panico - Vieni a casa mia, ti scongiuro."
"Sì. - rispose determinata - Cinque minuti e sono da te."
Staccai il telefono dall'orecchio e lo lasciai sul divano accanto a me, mentre cercavo di tranquillizzarmi in qualche modo, in attesa di Sofia.
Continuavo a scuotere il capo, con le lacrime che mi bagnavano gli occhi, che ormai non potevo più reprimere e che allo stesso tempo mi facevano sentire così stupida.
Puntuale come mi aveva promesso, dopo appena cinque minuti sentii la voce di Sofia chiamarmi dalla finestra accanto alla porta.
"È aperto." risposi a mia volta, e per i singhiozzi la voce mi morì in gola.
La porta si aprì e velocemente si richiuse. Sofia corse verso di me e mi si inginocchiò davanti.
Indossava ancora la maglia del pigiama e i capelli erano ancora racconti nella consueta treccia che usa quando va a dormire. Era segno che l'avevo disturbata ma, soprattutto, che aveva mandato a puttane tutto, pure il suo aspetto, per venire da me. Era questo che io consideravo amicizia.
"Giuls, stai bene?" domandò allarmata, guardando con stupore le lacrime che mi rigavano il volto. Lei non mi aveva mai vista piangere.
"No. Per niente. Mi sento uno schifo." sillabai, con i gomiti sulle ginocchia e le mani nei capelli.
"Che ne dici se parliamo un po'?" disse lei.
Io annuii.
"Penso che ne avrai per un po' stamattina, allora." commentai per smorzare il clima teso che si era creato.
"Non mi importa. Starò qui anche tutto il giorno, ma non voglio vederti così, perchè fa stare da schifo anche me."

Ho scritto questo capitolo di getto, cercando di analizzare il senso di ansia e di nervosismo che a volte provo. Spero che il capitolo piaccia, io lo trovo estremamente interessante 🧡

𝐆𝐔𝐄𝐑𝐑𝐈𝐄𝐑𝐎 || Rodrigo Bentancur Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora