• Uno •

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Il bus si fermò alla fermata che avevo prenotato. Presi per mano mio fratello e, una volta scesi, percorsi la strada che ci separava da casa.
Aprii la porta ed entrai, poi andai a mettere lo zaino di Edoardo in camera sua e poi mi recai in cucina a preparare pane e Nutella.
"Siediti al tavolo, ora arrivo." dissi a mio fratello.
Lui fece come detto e io gli diedi il pane in un piattino.
"Tu non fai merenda?" domandò dopo due bocconi, con la Nutella sparsa su mezza faccia.
Presi il tovagliolo e mi avvicinai per pulirgli la bocca.
"Ho già fatto, non preoccuparti." mentii evitando il suo sguardo.
Lui non sembrò convinto e ricominciò a mangiare il panino, quindi mi alzai per mettere via il sacchetto del pane e la Nutella nella credenza.
"Posso chiederti una cosa?" mi sussurrò.
"Dimmi Edo."
Tacque un attimo, come se si fosse pentito di aver parlato. Solo dopo si espresse.
"Da quanto tempo non sorridi?"
La domanda mi colse sul vivo, tant'è che il sacchetto del pane mi cadde dalle mani. Lo raccolsi velocemente e lo misi via, ma non fiatai.
"Giulia?"
Il richiamo di mio fratello mi fece ancora più male.
"Da tanto, Edoardo. Da tantissimo."
"Perchè?"
La sua seconda domanda fu ancora più complicata della prima.
"È un periodo difficile. Non riesci a capire." mi limitai a dire.
Sentii la sedia su cui era seduto mio fratello andare indietro bruscamente.
"Perchè mi dici così?" mi domandò alzando la voce.
"Non rivolgerti mai più così a me!" lo sgridai voltandomi verso di lui, senza incrociare i suoi occhi.
"Mi tratti come se fossi un bambino. Certo, ho solo otto anni, ma certe cose le capisco anche io! Non sono stupido!" protestò.
"Smettila. Fila in camera e vai a fare i compiti, non è il momento di discutere." sentenziai voltandogli le spalle. Pensandoci bene, però, aveva ragione. Non ridevo da parecchio ed ero sempre sulle mie.
Lui non si mosse.
"Perchè non mi guardi negli occhi?" urlò.
Avevo già represso le lacrime prima, la seconda volta non ce la feci e lasciai che scendessero a bagnarmi le guance.
"Stai piangendo, vero?" insistette mio fratello.
"Non sono affari tuoi. Vai a fare i compiti." tagliai corto con voce tremante.
"Perchè non ammetti che stai piangendo?"
"Perché non voglio che tu mi veda debole... Non voglio che tu prenda questo esempio." singhiozzai.
Stavolta lui fece silenzio, non trovò nulla da dire. Mi asciugai gli occhi e mi voltai verso di lui.
"Edoardo, vai in camera a leggere il brano di italiano. Dammi un attimo e ti raggiungo."
Lui annuì e fece come gli dissi. Io presi il telefono e mandai un vocale alla mia amica Sofia.
"Sofi ciao... Venerdì posso passare da te a fare un giro? Sai, ho bisogno di qualcuno che mi ascolti e so che tu sai farlo... Ho bisogno di te, in breve. E niente, un bacio."
Inviai e mi presi un attimo per lavarmi il viso e calmarmi, e dopo poco salii al piano superiore per andare da mio fratello.
"A che punto sei?" chiesi entrando.
"Ho finito di leggere. Devo fare le domande."
Annuii e mi sedetti sulla panca accanto a lui. Lui scriveva e io gli davo qualche consiglio su come mettere le frasi, nulla di più. Erano quasi le cinque e mezza quando finì il compito.
"Ora arriva anche mamma. - dissi io mentre scendevamo al piano di sotto - Tu fatti la doccia, io cerco di fare qualche pulizia utile."
Scesi dalle scale e ascoltai la risposta di Sofia.
"Tranquilla amo, conosco la tua posizione quindi sì, passa quando vuoi, io ci sono sempre per te e lo sai. Un bacio."
Preparai la tavola e feci le pulizie in salotto e, quando mio fratello arrivò di sotto, con il pigiama addosso, arrivò a casa anche mia madre.
Andai io a farmi la doccia mentre lei, dopo averci salutati entrambi, iniziò a preparare qualcosa per cena.
Mangiammo e poi io e mio fratello guardammo la televisione fino alle dieci, quando misi mio fratello a dormire.
"Buonanotte." dissi.
"Notte."
Gli rimboccai le coperte e spensi la luce, poi feci per uscire e chiudere la porta, ma Edoardo mi richiamò.
"Giulia?"
Appoggiai la mano allo stipite e mi fermai senza voltarmi.
"Dimmi."
"Scusa per oggi. Davvero." mormorò.
"Non fa niente. Non pensarci ora, e dormi."
Uscii e chiusi la porta.
Andai in camera mia con i buoni propositi di leggere, ma essi svanirono quando, chissà come, mi addormentai, dopo un sacco di mercoledì insonni.

Quando mi svegliai albeggiava. Non sapevo come avessi fatto, ma avevo dormito tutta notte ininterrottamente. Erano le cinque e mezza forse, e strizzando gli occhi verso la porta socchiusa, vidi una luce accesa.
A tentoni afferrai gli occhiali neri e li indossai. Uscii dal letto e andai in bagno, mentre realizzai che la luce era in camera di mia madre, presumibilmente si era già svegliata anche lei.
Mi lavai il viso e cercai di realizzare dove fossi, cosa fossi, che giorno fosse e iniziai a fare le solite teorie complottistiche del mattino riguardo lo svolgimento della mia giornata, sicuramente orribile.
Sentii la porta aprirsi.
"Giulia? Ah sei tu, tesoro. Come mai sei già sveglia?" domandò mia madre.
Feci spallucce.
"Non avevo sonno."
Suonava talmente strano dire che non avevo sonno, quando in realtà ieri sera sono riuscita ad addormentarmi come un ghiro come non mai, ma mia madre non sa che passo notti insonni. L'unica persona a saperlo è Sofia. Lei sa tutto.
Tornai poi in camera a vestirmi, abbandonando purtroppo il mio amato pigiama.
In seguito presi lo zaino con i libri e scesi al piano di sotto lentamente, per evitare di svegliare mio fratello, mentre mia madre si accingeva a scaldare due scodelle di latte ai fornelli.
Lasciai lo zaino a terra e feci mente locale.
I compiti, cazzo.
Avevo dimenticato di fare gli esercizi di matematica, gli unici compiti che mi avevano dato ieri.
Presi una penna e aprii il libro, quindi cerchiai i sette esercizi assegnati e cercai, con i neuroni che una persona potesse avere accesi alle cinque e quarantacinque del mattino, di risolvere qualche esercizio.
Me ne uscirono quattro, ma per gli altri tre non sapevo nemmeno da che parte voltarmi, quindi chiusi in fretta il libro e misi tutto nello zaino, mentre il latte divenne pronto e feci colazione.
Alle sette, prima di andare via, andai a svegliare mio fratello.
Verso le sette e venti salutai mia madre e mio fratello e presi il bus di linea che mi avrebbe lasciata giù davanti a scuola.
Ovviamente le sei ore scolastiche furono come sempre uno schifo, e il primo segno lo ebbi appena scesa dal pullman, quando Andrea e Filippo, due dei miei peggiori compagni di classe, mi sorrisero in modo meschino e il primo disse:
"Eccola la stracciona."
Tenni lo sguardo fisso nei loro occhi e furono loro i primi a distoglierlo dai miei, quindi mi vennero incontro per andare nella direzione opposta alla mia. Di proposito Filippo mi spintonò quando mi passò accanto.
"Ci vediamo in classe." sussurrò, in modo a malapena udibile, con un tono che voleva sembrare minaccioso.
Mi voltai e li guardai allontanarsi, udendo ancora le loro ridicole risate.
Già da quel momento potei capire in che modo osceno si sarebbe sviluppata la giornata.

Alle due del pomeriggio uscii finalmente da scuola.
"Ma ti senti quando parli, Santoro? Dovresti tapparti la bocca piuttosto che dire cazzate"
"Nessuno sarebbe mai fiero di te."
"Io chiederei a suo padre... O vuoi chiedergli tu, Santoro?"
"Ma cosa dici? Ti sei dimenticato che questa sfigata non ce l'ha un padre?"
"Certo, è ovvio, vedendo quanto era strana si è ucciso, chi vorrebbe come figlia una come lei? "
Fuggii da tutti questi insulti in poco tempo, anche perchè il pullman arrivò in fretta. Vi salii e misi gli auricolari nelle orecchie.
Stavolta a farmi compagnia era Ultimo, con il Ballo delle Incertezze, una delle mie canzoni preferite, l'unica che in quel momento mi avrebbe potuto far dimenticare le frasi sprezzanti dei miei presuntuosi compagni di classe.

𝐆𝐔𝐄𝐑𝐑𝐈𝐄𝐑𝐎 || Rodrigo Bentancur Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora