• Due •

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A casa pranzai e feci gli esercizi di fisica, o almeno cercai di farli, perchè non avevo capito nulla e non mi venivano. Alle quattro ero a scuola a prendere Edoardo e riuscimmo a passare da casa per lasciare lo zaino e prendere il borsone per l'allenamento, che avrebbe avuto alle cinque.
Gli feci un panino e prosciutto e nel frattempo gli chiesi della scuola.
"Tutto bene, tu?"
"Sorvoliamo." risposi in un sorriso.
Lui annuì, capiva che era successo qualcosa, ma non indagò.
Con il bus arrivammo alla fermata dello stadio e fecimo due minuti a piedi di strada dritta per raggiungere il Centro Sportivo Continassa, dove si allenava mio fratello, nei Pulcini Under 9, e tutte le giovanili, la Primavera e anche la Prima Squadra.
Feci vedere allo stuart il tesserino di mio fratello e lui ci fece entrare.
Arrivammo nel parcheggio dove lasciavano le auto i giocatori della Prima Squadra e gli occhi di mio fratello si illuminarono quando vide delle macchine parcheggiate, perlopiù Jeep, ma anche Ferrari, Mercedes, Porsche e altre ancora, naturalmente tutte costosissime.
Sì, i giocatori avevano allenamento ora.
"Magari li vedo... - borbottò - Magari eh."
Lo accompagnai al campetto dove il mister attendeva i bambini; una volta lì lo salutai e mi ricordò che l'allenamento sarebbe terminato alle sette, come di consueto.
Annuii e feci per andarmene, ma mi richiamò.
"Dobbiamo parlare un secondo di Edoardo, ma per ora senza di lui, con il dirigente. Hai tempo ora?"
"Certamente. - dissi - Andiamo dentro?"
"Sì, se ne occupa il mio secondo. Quando avete finito voi, vi mando il bambino."
Io annuii e il secondo allenatore quindi mi portò nel centro sportivo. Passai nella hall e arrivammo nella stanzetta d'attesa, con tanto di giornali e macchinette.
Mi fece entrare in un ufficio, chiamato 'Ufficio Colloqui' e mi fece accomodare. Subito dopo entrò un uomo, che riconobbi come Andrea Agnelli, e si sedette dall'altra parte del tavolo. Agnelli è il dirigente della Juventus, quindi si occupa di tutte le rose, dai Pulcini alla Prima Squadra.
"Buonasera, signorina Santoro. Io sono il dirigente Agnelli."
"Buonasera."
"Siamo qui per parlare del giovane Edoardo. - spiegò - So la sua condizione famigliare, e so che è lei ad occuparsi di lui di solito."
"Sì, è esatto." affermai.
"Il bambino ha otto anni, giusto? È molto bravo, il suo talento è ben visibile, ha molta intesa anche con il piccolo Ronaldo, ma il problema è che abbiamo degli osservatori che lo hanno individuato, lo hanno sott'occhio e lo vogliono in squadra. In poche parole, - fece breve - stiamo per perdere un talento nella nostra squadra."
Sospirai.
"Che squadra è?"
"Barcellona."
"No. - replicai fermamente alzando un po' la voce senza rendermene conto - No, no, no e ancora no. Mio fratello di otto anni in Spagna non ci va. In primo luogo dobbiamo pagare per andare, e ci sono parecchie cose da valutare che noi non possiamo permetterci. In secondo luogo, mio fratello è juventino. Il suo sogno si è già avverato, è già dove desiderava stare e non saranno quelli del Barcellona a infrangere la sua felicità."
Guardai il dirigente e poi il secondo allenatore, in piedi a seguire il colloquio, poi tornai a guardare di nuovo Agnelli.
"Mio fratello è già in una situazione delicata ed è felice per quel poco che possiede, non potete negargli l'unico appiglio che ha." sostenni, più calma.
Il dirigente scosse il capo.
"Non dipende da noi, ma dalla volontà vostra e del bambino. Ora faremo un colloquio con lui, gli esporremo come stanno i fatti e gli diciamo quello che offrirebbe la nuova squadra, se fosse titolare o meno, i giorni degli allenamenti e tutto quanto.
Faremo un colloquio successivo, sia con lei che con il  bambino, e se ha deciso di sì, tratteremo oppure cercheremo di far capire al bambino perchè non si può andare, se lei non vuole lasciarlo andare; se invece vuole restare, tratteremo il rinnovo con questa squadra, definiremo il numero di maglia, se lo vuole cambiare, e tutto il resto. Può andare?"
"Va benissimo. Grazie per la disponibilità, signore."
Ci alzammo entrambi dalla sedia e ci scambiammo una stretta di mano.
Uscii dalla stanza, mentre il secondo allenatore mi salutò e andò a chiamare Edo.
Mi sedetti su una delle poltroncine contro il muro dell'ufficio.
Passò Edo che mi sorrise ed entrò nell'ufficio, seguito dal secondo allenatore, che mi sorrise anch'egli. Chiusero la porta e regnò il silenzio. Cercai di appoggiare l'orecchio al muro per sentire cosa si dicesse dentro, ma non si udì nessuna parola, nessun rumore.
Mannaggia ai muri insonorizzati. Hanno proprio i soldi da buttare, qui.
Ero nervosa, avevo il respiro irregolare, mi giravo i pollici perché non ero in grado di stare ferma.
Ad un certo punto mi alzai dalla poltroncina e iniziai a camminare avanti e indietro per far scappare la tensione, che evidentemente però non voleva andare via. Sospirai, cercando di far diventare regolare il mio respiro pesante.
Notai solo più tardi le macchinette contro il muro opposto della stanza, accanto ad un altro corridoio. Mi avvicinai ad esso: le luci erano spente e non c'era nessuno. Decisi di prendere una bottiglietta d'acqua per calmarmi. Misi un euro nella macchinetta e pigiai il pulsante.
La bottiglietta si bloccò prima di scendere. Aspettai, ma non successe nulla.
"Vaffanculo!" imprecai disperata dando un calcio alla macchinetta. Mi voltai a guardare fuori sulla finestra, ma vidi una persona riflessa sul vetro oltre a me.
Okay, ho anche le allucinazioni.
Nello stesso momento una voce con un forte accento sudamericano mi parlò:
"C'è qualche problema?"
Mi voltai di scatto e la mia faccia piena di rancore si riempì di sorpresa. Potei sentire le mie pupille dilatarsi.
Rodrigo Bentancur, in jeans e felpa, mi guardava accigliato.
"Scusa, c'è qualche problema?"
"Oh... io, ehm... Ci sono parecchi problemi, a dir la verità. - farfugliai - Uno dei tanti è la bottiglia dell'acqua."
Indicai la macchinetta. Lui si voltò e scorse la bottiglietta bloccata.
"Oh, succede spesso. - disse, come se occorresse tranquillizzarmi - Sarebbero da cambiare."
Prese dalla tasca un euro e lo inserì. Selezionò il tasto della bottiglietta d'acqua e la macchinetta si azionò, facendo cadere prima la bottiglietta che avevo ordinato io, poi la sua.
Le raccolse entrambe e me ne diede una.
"Ecco a te."
La afferrai e lo guardai con gli occhi ancora traboccanti di stupore.
"G-grazie."
Ancora non credevo che fosse seriamente Bentancur, ma poi lui mi rivolse di nuovo la parola:
"Puoi ben immaginare che io sono Rodrigo... Tu invece come ti chiami?"
"I-Io sono Giulia."
Si accomodò su una delle poltroncine.
"Come mai qui?"
"Mio fratello è nell'Under 9... - balbettai, mannaggia alla timidezza - E ora... dovevo... fare un colloquio."
"Under 9? Dev'essere quel ragazzino... Santoro? Può darsi?"
Allargai gli occhi.
"Come fai...?"
"Si parla di lui in tutti i campi di questo centro da circa quattro giorni. Dicono che lo cercano dalla Spagna. Caspita, dev'essere bravo." commentò.
"Sì, è parecchio talentuoso in effetti. Ma io non voglio che vada in Spagna." spiegai restando vaga.
"Bè, mica va da solo, puoi andarci te e anche la tua famiglia." osservò corrugando le sopracciglia.
La fai facile tu, eh?
"È più complicato di quello che sembra. Molto più complicato." sussurrai.
"E perchè?"
"Non mi va di parlarne. Non ora."
Sospirai e lui distolse lo sguardo da me, alzandosi dalla poltrona.
"Piuttosto tu, come mai sei qui e non ad allenarti?" chiesi.
"Abbiamo finito allenamento, e il DS aveva detto che dovevo passare dal suo ufficio per delle carte che non avevo ancora compilato..."
La porta dell'ufficio si spalancò e ne uscì Edoardo sorridente. Si bloccò sulla porta quando vide Rodrigo, e assunse un'espressione simile alla mia quando lo avevo visto.
"Bentancur!" esclamò correndo dal giocatore e abbracciandolo. Il ragazzo sorrise e accarezzò la testa al bambino.
"Giulia! Giulia! Mi fai una foto con lui? Poi vado ad allenarmi!"
Estrassi il telefono e scattai una foto ai due.
"Edo! - lo richiamai - Cosa hai deciso?"
Lui mi guardò.
"Resto."
"Oh, grazie al cielo." sospirai quando lui se ne fu andato, abbandonando il colore paonazzo del volto e sprofondando in una delle poltroncine.
Rodrigo sorrise.
"Quando ha la prossima partita?" domandò interessato.
"Domenica alle 16.00, qui al campetto."
Lui annuì.
"Ottimo. Io gioco con il Cagliari..."
"Sabato alle 20.30." lo interruppi.
"Ti interessi al calcio?"
"Tifo Juve da quando ero nella pancia di mia madre." risposi.
Lui sorrise e mi chiese:
"Allora non ti dispiace se vengo a vedere la partita?"
"Certo che no! Sia io che mio fratello saremmo felicissimi."
"Perfetto. Il mio Instagram lo sai. Dammi il tuo."
Si infilò in un ufficio vuoto e prese carta e penna, che mi porse. Allora scrissi il nome del mio profilo e glielo diedi.
"Se non riuscissi a venire ti mando un direct."
"Grazie. Di tutto."
Lui se ne andò e io sorrisi, dopo tempo: un sorriso vero, di felicità.

𝐆𝐔𝐄𝐑𝐑𝐈𝐄𝐑𝐎 || Rodrigo Bentancur Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora