• Ventidue •

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"Sono confusa. Fottutamente confusa." borbottai.
"Quando uno è confuso non piange. Quando è disperato piange." ribatté Sofia.
"Be', allora sono disperata."
Le raccontai tutto, senza tralasciare nulla: il foglietto di mia madre, segno che mia nonna stava male, il dolore per non avere un padre, l'incapacità di accettare di portare il fardello di mio fratello, farlo crescere e aiutarlo, al posto di mia mamma che ora aveva altro a cui pensare, il mio essere costantemente stressata e sentirmi diversa, imperfetta e inadeguata, l'intolleranza alle prese in giro della classe, i pensieri contorti che mi giravano per la testa, e per ultimo ma non meno importante tutti i sentimenti che non conoscevo ma che provavo per Rodrigo.
Tutte quelle cose represse troppo a lungo nella mia testa e che ormai avevano bisogno di sfogo.
"Mi sento così... così incapace di fronte a questa vita, Sofi." sussurrai, sembrando molto più tragica di quanto fossi, ma non mi era mai capitato di crollare così.
Sofia accennò un sorriso per tranquillizzarmi, ma vedevo i suoi occhi, quasi velati di lacrime: erano tristi, per me forse, per vedere la sua migliore amica in questo stato.
Scosse il capo, cercando parole impossibili da trovare, come si cerca un ago in un pagliaio.
"Giulia tu... tu sei forte. Tuo padre lo sapeva, lo sanno tutti quanto tu sia forte. Se n'è andato perchè... voleva mettere alla prova questa tua forza... perché sei... - fece una pausa mettendo insieme le parole giuste - sei talmente forte da poter superare tutto questo. Tuo fratello... tu sei il suo modello da seguire, sei determinata e tanto basta. Lui è piccolo, ma non troppo, e quindi capisce tutto quel che gli succede attorno. Ma anche lui, come tuo padre, confida in te."
Sospirai facendo di no con la testa, non capendo.
"Come fa Edoardo a vedere un modello in me se non so mai come reagire a certe situazioni?"
"Non siamo invincibili, Giuls. Nessuno lo è. Abbiamo certe debolezze che ci rendono umani, che ci rendono imperfetti. Nessuno è perfetto, ma c'è chi si avvicina alla perfezione. Tu devi solo... credere un po' di più in te stessa, essere più sicura di te."
"Ho attacchi di panico. - dissi dal nulla - Mi manca il respiro, sento la testa girare e il cervello scoppiare, penso di non riuscire più a vivere. È... da poco che mi succede ma... non penso che finirà presto."
"Dovresti consultare qualcuno. - intervenne Sofia - Qualcuno di competente."
"No. Mi basta sapere che c'è qualcuno al mio fianco."
Quando mi fissavo su una cosa, era difficile farmi cambiare opinione. Sofia lo sapeva bene.
"Come vuoi. Ma sappi che non puoi andare avanti così. - mi ammonì - Questi sono i nostri anni più belli, devi viverli con spensieratezza, senza preoccuparti di quel che dicono gli altri. Passa più tempo che puoi con chi ami davvero e lascia perdere gli altri."
Annuii.
"Non so cosa farei senza di te, Sofi."
"E io senza di te, Giuls." replicò sorridendo.
Mi alzai dal divano, ormai un po' più tranquilla. Avevo bisogno di sfogo, finalmente mi ero decisa a dire tutto a qualcuno.
"Tra poco si sveglierà mio fratello. - dissi - Tu se vuoi restare..."
"Nah, credo che andrò a casa. Mia madre si era già preoccupata abbastanza per avermi vista piombare in strada con la bici ancora in pigiama." commentò.
Finalmente sorrisi.
"Grazie. Per tutto."
Lei allontanò la questione con una mano. Stava per uscire, quando si voltò e mi guardò, con una strana luce negli occhi. Mi preparai mentalmente alla cazzata.
"Quando dirai al tuo amichetto uruguaiano di farti conoscere alla squadra? Io sto aspettando."
Risi scuotendo il capo. Era inamovibile da quella storia.
"Non volevo che Rodrigo lo dicesse ai ragazzi. - spiegai - Ho pensato che magari, se tutti sapessero di me, si sarebbe scoperto anche fuori dal campo, i giornalisti e tutto il pubblico, e alcune persone magari mi avrebbero obbligata ad allontanarmi da Rodrigo."
"Capisco." sussurrò.
"Però, dopo ciò che mi hai detto tu e che mi ha detto Rodri... penso che forse sia meglio conoscere i ragazzi."
La bocca di Sofia si allargò in un sorriso.
"Allora di' a tutti che se c'è qualcuno libero hai una migliore amica gnocca che è tristemente single e aperta a nuove conoscenze."
Sorrisi.
"Sarà fatto."
Alzò una mano in segno di saluto, quindi uscì dalla porta e mi affacciai alla finestra; la guardai partire e allontanarsi da casa.
Sorrisi, le sue parole mi avevano fatto sentire meglio e in un certo senso mi stavano cambiando.
Credo che forse sarebbe stato meglio fare un colpo di telefono a Rodrigo.
Non riuscii a farlo però, perché Edoardo scese le scale assonnato.
"Ehi, ciao campione."
Lui mi salutò con la mano.
"Hai sonno ancora, vero?"
Lui annuì.
"Ora ti preparo la colazione."
Feci scaldare del latte e poi lo posai sul tavolo insieme a dei biscotti.
"Dormito bene?"
"Dopo essere stati allo stadio sì." rispose.
Sorrisi involontariamente.
"Mamma è dalla nonna. Non sta molto bene." spiegai mostrandogli il biglietto lasciato.
Lui lo lesse e mi guardò con quei suoi ingenui occhioni marroni, che mostravano sfumature di apprensione.
"Dici che anche lei vada a trovare papà?" domandò.
La sua domanda detta senza troppi giri di parole mi colpì in pieno petto e mi mozzò il respiro.
"Io... non lo so." risposi.
Lui finì la colazione e senza fretta spreparai il tavolo.
"Tu hai domani la partita?" chiesi a Edoardo.
"Sì, alle 16.00."
"Allora stamattina sei libero. - dissi - Passiamo una mattina diversa, che dici? Su, vai a vestirti. Sii piuttosto... elegante."
Lui mi guardò interrogativo, ma obbedì e salì in camera. Mi domandai se fosse la cosa giusta da fare.
Salii anche io e mi misi un paio di pantaloni eleganti, quindi indossai una camicia e sopra un maglione. Già così ero molto elegante per i miei standard, di solito indosso i jeans e le felpe.
Quando anche mio fratello fu pronto - camicia e jeans, niente di particolare - uscimmo a bordo della bicicletta.
Edoardo si attaccò a me e da dietro lo sentii chiedere:
"Dove andiamo?"
Temporeggiai un po' prima di rispondere.
"A trovare papà."
Era da un po' che non andavamo, e in un periodo per me più difficile rispetto al solito, mi sentii in dovere di mostrare a mio padre un po' dei miei aspetti, positivi e negativi.
Arrivammo al cimitero ed entrai. Conoscevo a memoria la strada che conduceva alla sua tomba.
Arrivati lì, ci fermammo a guardare la foto. Vedendolo ancora giovane, spostai lo sguardo su Edoardo.
Erano così simili.
Chiusi gli occhi e iniziai a parlare a bassa voce, dando vita a tutto quel che avevo dentro.
"Papà. Quanto tempo. - sussurrai - Ho un po'di novità. Ieri siamo stati allo stadio, ci hanno invitato. Quanto vorrei che ci fossi stato anche tu. Mamma sente la tua mancanza più di ogni altro, credo. Abbiamo conosciuto un giocatore della Juventus, sai? Ci sta aiutando molto, stimolandoci a darci una mano l'un l'altro. Ora ho un po' di problemi. La nonna non sta bene, i miei compagni di scuola mi prendono in giro perchè non sei qui con me, ma spesso li ignoro. La verità è che mi manchi. Non so più che fare a volte, non so cosa è giusto per me o per Edo, non riesco a reagire perché mi sento debole."
Sospirai, reprimendo le lacrime che minacciavano di sgorgare.
Mio fratello, al mio fianco, non fiatava, fissava la foto immerso in chissà quali pensieri.
"Cerco di farmi forza solo ad un unico scopo: sperare che tu sia fiero di me."
Sentii uno scalpiccio intorno a noi, di scarpe a contatto con le pozzanghere. Qualcuno stava arrivando.
"Ti voglio bene papà."
Allungai la mano verso mio fratello. Lui mi guardò titubante con gli occhi colmi di lacrime, ma mi prese la mano. Lo feci avvicinare e lo abbracciai, tenendogli la mano appoggiata sulla testa, mentre lui si liberava di quel che lo torturava dentro di lui. Come me, lui piangeva poco, solo quando da piccolo si faceva male.
Almeno io cercai di trattenermi, prendendo grandi respiri.
"Lui sarebbe fiero di te, Edo. Di tutto quello che stai facendo e di quello che farai."
I singhiozzi lo scuotevano, sentivo il maglione bagnato delle sue lacrime, ma non mi importava e continuai a stringerlo forte, come se temessi che potesse scappare via da me come hanno fatto tanti.
Lo scalpiccio cessò. Una figura stava a distanza di tre metri da noi. Mi voltai a guardarlo.
"Che ci fate qui?" domandò Rodrigo, vestito in giacca e cravatta. Non ero abituata a vederlo elegante, di solito lo vedevo solo con la divisa della squadra.
"Mio padre. - sussurrai, per evitare di essere tradita alla voce rotta, mentre lui ci sorpassò e posò lo sguardo su una lapide  - E tu?"
Lui la indicò, un paio di lapidi accanto a quella di papà.
"Mia madre." sussurrò, posando i fiori su di essa, senza più dire niente.

È un capitolo un po' diverso dal solito e anche un po' più lungo, ma ad essere sincera sto raccogliendo idee per rendere questa storia un po' più interessante.
Quindi ecco qui, spero vi piaccia.

𝐆𝐔𝐄𝐑𝐑𝐈𝐄𝐑𝐎 || Rodrigo Bentancur Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora