• Venti •

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Salimmo sul bus di linea, praticamente vuoto tranne che per una coppietta e un anziano.
Nel tragitto nessuno di noi tre parlò, soprattutto Rodrigo, che decise di restare nell'ultima fila di posti del bus, con il cappuccio della felpa calato e un paio di occhiali da sole per nascondersi il viso, per evitare di essere riconosciuto da eventuali tifosi.
A volte mi domandavo come fosse essere famosi.
Sempre sotto i riflettori, non riescono a fare nulla che sono già finiti sui giornali. Amati da molti, certo, ma deve essere anche dura ignorare e reprimere quel senso di disprezzo verso chi giudica, punta il dito e critica.
Per non parlare che non possono andare in giro, o vengono travolti da orde di tifosi scatenati, e che non possono avere una vita pseudonormale, amici, locali o cose varie, pericolo tifosi in agguato, ancora. E la famiglia, devono trascurare la famiglia per il loro lavoro...
Non deve essere davvero così semplice essere famosi.
Meglio essere poveri comuni mortali, sempre nel nostro essere, come me, almeno a giudicare sono solo quelle venti persone che ho in classe insieme, non due milioni, come magari i VIP.
Avvolta tra quei pensieri non mi accorsi nemmeno che Edo aveva prenotato la fermata.
"E tu ora che fai?" sussurrai a Rodrigo.
"Scenderò tra tre fermate, poi la farò a piedi. Anzi, credo che chiamerò Paulo, mi darà un passaggio." rispose, sussurrando anche lui.
"Paulo? Paulo Dybala?! " esclamò mio fratello meravigliato, mantenendo però un tono di voce basso.
"No, ma va? Paulo Coelho? Certo che è Dybala, Edo!" risposi io in modo evidente, accennando un sorrisetto.
"Fico! - affermò - Anche io voglio un passaggio da Dybala una volta nella vita."
Io sorrisi.
"Anche io ne vorrei di cose nella vita, caro mio. - replicai accennando un sorriso. Era vero: molte cose vorrei nella vita; un padre, ad esempio - Dai, ora dammi la mano, siamo giunti alla fermata."
"Chiamatemi quando siete in casa, mocciosetti." ci raccomandò in tono scherzoso Rodrigo.
"Sarà fatto, moscerino." risposi sorridendo, e alzando una mano per salutarlo.
Scesimo e percorremmo quei pochi metri che ci separavano da casa.
Appena entrati, vidi le luci spente. Mia madre era probabilmente a letto, distrutta dalla giornata di lavoro.
Era capitato un paio di volte che avesse detto "vi aspetto in piedi", ma poi si era addormentata stanchissima.
La capivo, in fondo, quella vita era dura anche per lei. Anzi, soprattutto per lei.
Mentre presi il telefono per chiamare Rodrigo, invitai Edo a mettere il pigiama, poi gli feci lavare i denti, nonostante stesse praticamente dormendo in piedi, e andò a letto, quindi gli rimboccai le coperte.
"Dormi bene, campione." gli dissi dandogli il bacio della buonanotte sulla fronte, che lui ricambiò sulla mia guancia.
"Buonanotte Giuls."
Uscii dalla stanza e chiusi la porta, quindi mi rifugiai nella mia e telefonai l'uruguaiano.
"Guerriera, - rispose subito - siete a casa?"
"Sì, da dieci minuti. Edo è appena andato a letto. Tu dove sei?"
"Io? Sono appena sceso dal bus. Sto aspettando Paulo, poi mi faccio portare a casa."
"Gli dirai perché sei venuto via prima? Gli dirai di me ed Edo?" domandai.
Lui sospirò.
"Non lo so Giuls, non so niente. Non so mai che fare. Ma non possiamo fare sempre tutto di nascosto, senza far sapere nulla, prima o poi dovrà saltare fuori..." mormorò cercando una soluzione che potesse andar bene anche a me.
"Ti prenderanno per pazzo. - dissi convinta - Se mi dovessero conoscere, ti chiederebbero come fai ad essere amico di una ragazza così strana, così diversa come me."
"Giuls, quante volte te lo devo dire? Se dovessero conoscerti, sapranno anche la tua situazione famigliare, emotiva e tutto quel che gli va dietro. E poi, qualsiasi cosa accada, te l'ho già ripetuto: i giudizi degli altri sono inutili. Non devi preoccuparti di ciò che possono pensare gli altri, basta che tu sia felice."
Sospirò, come per cercare un modo per dirmi quanto volesse aiutarmi.
"Giuls, allora te lo chiedo adesso: tu sei felice di avermi conosciuto, di stare con me?"
"Certo che lo sono." la risposta arrivò in modo automatico, senza nemmeno averci pensato.
"E siccome fa bene essere felici, spiattelleresti al mondo intero di essere felice?"
"Certo che lo farei. Farei tutto pur di non perdere un'amicizia d'oro come la tua." ribattei e involontariamente, mentre pronunciavo quelle parole, sorrisi. E potei immaginare il suo sorriso dall'altro capo del telefono.
Ad un certo punto sentii una voce con un forte accento argentino dire:
"Hola? Con chi parli?"
"È Paulo, devo andare. Quanto ai ragazzi, - sussurrò - vedo cosa posso fare, ma non posso tenere nascosto a lungo. A presto guerriera."
"A presto Rodri."
La telefonata terminò, e d'improvviso sentii un vuoto allo stomaco.
Non ci pensai, e lasciai il telefono sul letto mentre misi il pigiama. Sgattaiolai in bagno senza far rumore per evitare di svegliare qualcuno e mi lavai i denti, poi tornai in camera mia.
Quando presi il telefono in mano per appoggiarlo sul comodino e infilarmi nel letto, vidi un nuovo messaggio. Era di Sofia.
Bellissima com'è andata allo stadio?
Le risposi subito.
È stato stupendo, la prima volta che ci vediamo ti faccio vedere le foto e i video.
La risposta non tardò ad arrivare.
È meglio se fai conoscenza con la squadra e mi fai conoscere qualche bel fusto di juventino.
Sofia, sempre la solita.
Le mandai un'emojy e poi misi il telefono in silenzioso sul comodino, quindi mi coricai e mi tirai le coperte fin sul naso.
E ritornò lo strano senso alla bocca dello stomaco, un senso piacevole, che non riuscii ad identificare.
Il mio pensiero, prima di addormentarmi, andò a Rodrigo, ai suoi modi di fare con me e alla sua grande gentilezza. Mi domandai per quale stupido motivo mi mettessi a pensare a lui prima di dormire.
Solo in quel momento associai il senso piacevole allo stomaco a lui, senza un vero motivo.
O, forse, un motivo c'era, al quale però rifiutavo di credere completamente: il fatto che iniziassi a vedere Rodrigo in modo diverso, in un modo che mi provocava i brividi dietro la schiena, il senso allo stomaco, un sorriso sul volto ogni volta che lo vedevo e un lieve rossore alle guance quando mi sorrideva rassicurante.
Standogli insieme, avevo iniziato a capire cosa volesse dire amare. E forse, la causa della mia felicità durante quel periodo era proprio lui. Forse mi stavo davvero innamorando.

𝐆𝐔𝐄𝐑𝐑𝐈𝐄𝐑𝐎 || Rodrigo Bentancur Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora