🏅16 in #dylanobrien
Sara Martin, originaria di Los Angeles, vive a New York da qualche anno. Futura ragazza in carriera fidanzata con un futuro imprenditore
Dylan O'Brien, sbruffone e arrogante pieno di se vive a Los Angeles e non é in grado di ge...
Prima di andare a cena con i suoi Tyler mi mostrò una Mercedes classe A rossa parcheggiata proprio sotto la nostra camera. Disse che era stato un pensiero che aveva avuto perché gli ero mancata durante il week-end e l'aveva comprata per dimostrarmi il suo amore nei miei confronti. Purtroppo mi stavo iniziando a rendere conto che tipo di persona fosse e il suo dispotismo mescolato agli attacchi di rabbia ogni qualvolta decidevo di prendere una decisione da sola non erano concepibili come forme d'amore, ma solo come beni che pensava mi avessero tenuta incatenata a lui, per sempre. Io lo amavo tantissimo, avevo cambiato molte delle mie abitudini e rinunciato a molte cose per lui e per il nostro amore mentre lui sembrava sugellare il nostro amore con beni materiali. A volte con una collana, altre volte con il computer. Quella fu la volta della Mercedes. Stavamo insieme da un anno e mezzo e non avevo mai avuto nessun dubbio sul nostro rapporto, ma iniziai a pensare che lui fosse sempre stato così, l'unica a cambiare ero io perché cambiai il modo di pormi nei suoi confronti cercando di ragionare come una persona libera. Quei ragionamenti mi fecero accapponare la pelle e mi fecero iniziare a far sentire un prigioniero in gabbia. O forse era solo il mio modo di vedere le cose visto il gesto violento che aveva compito qualche giorno prima. Fatto sta che ero a Los Angeles da meno di una settimana e tanto era bastato per mentire a Lea e Newt. Quelli furono i pensieri che albergavano nella mia mente mentre guidavo la classe A sulle strade illuminate da insegne al neon di Los Angeles. Arrivai di fronte a casa di Julia e Dylan, scesi di macchina avviandomi velocemente verso il viale che avrebbe portato davanti alla porta d'ingresso e suonai il campanello. "Sara, che sorpresa! Che ci fai qui?" Mi accolse Julia sorridendo "Se cerchi Lea beh è con suo fratello a fare delle commissioni, poss-" interruppi Julia con un cenno del capo mortificata di averla potuta preoccupare. "In.. realtà sono qui per.. Dylan" dissi il tutto con un tono esitante al che lei assunse un'espressione preoccupata che sembrava dire 'cosa può aver combinato adesso?' "Certo, te lo chiamo subito. Entra pure" mi fece segno di accomodarmi ed io entrai in quella casa che profumava di betulla e pioggia. Mi sedetti sul divano continuando a torturarmi le mani timorosa di quello che avrei potuto scoprire di lì a poco. Tyler aveva detto che era un inetto, che dunque non aveva concluso niente nella vita e quando gli chiesi di dirmi chi fosse la risposta fu spaventosa. "Non lo vuoi sapere". Cosa significava? C'entrava il suo carattere così scontroso? Lo avrei scoperto di lì a poco perché Dylan scese le scale velocemente rallentando alla mia vista. Serrò la mascella preoccupato. "Che ci fai qui?" Chiese incredulo. "In realtà non lo so. Sono confusa" mi alzai in piedi continuando a tremare, a muovermi sul posto e torturarmi le mani. " Non so cosa sia successo poco fa, non so perché tu conosca il mio ragazzo, non so che sta succedendo ma so che mi ha proibito di rivederti e devo capire che diavolo sta succedendo" confessai con le lacrime agli occhi. Quello che stavo affrontando era troppo persino per me e non sapevo come gestire quello che stavo provando. Dopo tanto iniziai a provare una profonda e invalidante paura. Dylan, avendomi vista profondamente scioccata, si avvicinò a me ed io indietreggiai,così lentamente con le mani in alto in segno di resa si avvicinò di nuovo mettendo le sue mani dalle lunghe dita affusolate sulle mie mani per farle smettere di tremare. Il suo tocco fu leggero e delicato e non riuscivo ad immaginare che l'antipatico e pieno di se Dylan O'Brien potesse infondere una tale sicurezza. Mi guardò negli occhi e alzò il pollice lentamente verso la mia guancia per asciugarmi le lacrime. "Non piangere ragazzina" fece un mezzo sorriso sussurrando quelle parole. "Dimmi la verità. Come vi conoscete?" Presi un profondo respiro prima di pronunciare quelle parole che avrebbero portato alla luce aspetti che non conoscevo della vita della persona che avrei dovuto presto sposare. Dylan guardò di fronte a se velocemente dopo di che si grattò la nuca. Mi voltai e notai dietro di me una ragazza dai capelli biondo-fragola con gli occhi verdi che stava sorridendo maliziosamente verso Dylan. "Dyl, tesoro, vieni di sopra?" Disse la bionda con tono malizioso arricciandosi una ciocca di capelli attorno all'indice. Rimasi imbarazzata. Julia avrebbe potuto dirmi che era impegnato e che non avrebbe potuto parlare in quel momento, forse mi aveva visto veramente scossa e pensò che fosse necessario disturbare il fratello dalle sue attività serali. "Holland torna di sopra e chiedi a Julia se può riaccompagnarti a casa" sentenziò Dylan guardandola. "Ma Dylan pensavo dovessimo divertirci un po' stasera" rispose la bionda passandosi la lingua velocemente sul labbro inferiore. "Holland" alzò gli occhi al cielo Dylan. Sembrava scocciato dal comportamento della ragazza. "Ma Dyl-" cercò di dire la ragazza. "Vai!" Dylan la congedò alzando di un tono la sua voce al che la ragazza non pote' far altro che sbuffare e salire al piano di sopra. Dylan del resto, si avviò verso le scale ed io lo osservai. Che stava facendo? "Dove vai?" Chiesi accigliata. "A mettermi una giacca. Fa freddo fuori" rispose degnandomi di un sorriso sincero. -
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Ci ritrovammo vicino al molo di Santa Monica quando si sedette sulla sabbia iniziando a parlare. "Avevo tredici anni quando conobbi Scott" iniziò il moro guardando il mare di fronte a se affondando le mani nella sabbia. "Era il mio migliore amico ed io ero il suo. Facevamo tutto insieme. Giocavamo a Lacrosse anche se io non ero un granché a giocare. Cercò di aiutarmi a migliorare ma con scarsi risultati. E' raro che sia bravo in qualcosa" cercò di sorridere cercando di sdrammatizzare anche quel momento così intimo e pieno di significato. Mi sedetti accanto a lui lentamente per farlo continuare e fu esattamente quello che fece. "Tutto era perfetto fino a quando all'età di diciassette anni iniziai ad avere dei problemi con mio padre che mi portarono ad essere sempre più disobbediente e allontanarmi dalla cosidetta 'retta via'" disse citando quelle ultime parole mimando delle virgolette con le dita. "Iniziai a bere per dimenticare i problemi che avevo a casa e Scott che era sempre stato il ragazzo perfetto della porta accanto non era d'accordo. Voleva il meglio per me, credeva nelle mie potenzialità e sapeva che una volta finiti gli studi avrei trovato lavoro presso l'azienda dei suoi genitori.. ma io non credevo a questo lieto fine perché mi ero illuso che quello che facevo fosse giusto e fosse l'unica cosa in grado di farmi stare bene oltre alle ragazze, ovviamente" si interruppe qualche secondo per guardarmi e notai che i suoi occhi erano diventati lucidi. Non riuscii a fare niente se non serrare la mascella preoccupata per come la storia sarebbe continuata. "Durante l'ultima festa del liceo io bevvi un po' più del previsto. Notai un gruppo di ragazzi che ci stavano provando con delle ragazzine che non ne volevano sapere delle loro stupide avance, quindi..." la voce gli si spezzò in gola. "Quindi partii, convinto di fare la cosa giusta e mi avventai su di loro. Sarebbe stato un suicidio. Loro erano in quattro ed io ero da solo. O almeno così credevo" lo guardai mentre alcune lacrime iniziarono a rigargli il viso. Si passò una mano tra i capelli e continuò. "Scott non era un tipo violento, era venuto in mio soccorso perché non voleva vedere il suo migliore amico massacrato di botte. Persi i sensi e quando mi risvegliai vidi le luci dell'ambulanza e della polizia. Non capii cosa stesse succedendo" Si interruppe e si girò verso di me mostrandomi la tristezza e il dolore che aveva non solo sul volto, ma anche nel cuore e capii cosa mi avrebbe detto di lì a poco. "Scott aveva battuto la testa durante quella rissa e non riuscì a sopravvivere. Il mio migliore amico morì per salvare me, uno stupido buono a nulla" Sentii un profondo senso di colpa per avergli fatto ricordare quello che aveva appena detto. Ma ancora non capivo e avrei dovuto infierire ancora una volta. "Dylan.." poggiai la mia mano delicatamente sulla sua come per infondergli forza "Mi dispiace veramente tanto per quello che hai dovuto affrontare, ma sappi che non è colpa tua. È stato un incidente, non puoi addossarti una cosa simile." Indugiai qualche istante. "Però.. non capisco ancora cosa abbia a che fare Tyler con tutto questo" pronunciai quelle parole piano, mi vergognavo di me stessa. Dopo tutto quello che mi aveva detto l'unica cosa che mi importava era ancora capire cosa avesse creato quella collisione tra i due. Mi sentii ridicola. "Ancora non capisci vero?" Sputò duro Dylan serrando la mascella e guardando di fronte a se con ancora le lacrime che gli cadevano dagli occhi. In quel momento sentii tanto il desiderio di abbracciarlo per fargli capire quanto avessi a cuore quello che mi aveva detto, ma non riuscii a muovere un muscolo. Finalmente continuò. "Scott era il gemello di Tyler ed io ho contribuito ad uccidere suo fratello"