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-Io ti chiedo scusa-

- Ti chiedo scusa, scusaaa- urla con una voce molto alta ma anche incerta. Gli occhi sono lucidi e vedo che il labbro gli trema.

Sta per piangere?

Si avvicina molto, di fronte a me cade ai miei piedi e mi chiede nuovamente scusa. La schiena inizia ad alzarsi e abbassarsi, dei singhiozzi si fanno strada in mezzo al rumore delle onde.

Mi inginocchio alla sua altezza. Gli prendo le mani, sono ghiacciate, più delle mie.

- Tommaso che fai? alzati, dai, per favore- ma noto che le mie parole non lo fanno minimamente muovere.

- Ho capito, davvero, sei dispiaciuto e accetto le tue scuse, ora però andiamo via-
Come immaginato voleva solo sentirsi dire che lo avevo perdonato. Talvolta è come un bambino, che smetterà con i capricci solo al raggiungimento del suo desiderio.

Vedo che alza il capo. Le mie idee iniziali erano corrette. Sta piangendo in modo silenzioso, ma il rossore degli occhi non mente.

Soffia una folata di vento, e mi avvicino al suo corpo e lui contemporaneamente si avvinghia al mio busto, e mi trascina verso il basso, lui si ripiega sulle ginocchia mentre sussulta sul mio corpo. È come se avesse degli spasmi.

Sono addolorata di vederlo così.

Lui vuole solo essere coccolato. Fa l'opposto, cerca di farsi odiare o allontanare ma vuole un contatto.

Forse solo in questo momento ho compreso il suo problema. Non ha mai avuto una madre che si prendesse cura di lui, nè un padre che lo consigliasse.

Mi scappa da piangere anche a me. E lo abbraccio con tanta forza, come se lui fosse l'ultima cosa a me concessa di toccare. Gli do un bacio sulla guancia, non so da dove mi sia partita questa iniziativa. Gli accarezzo i capelli e sistemo la sua testa sul mio petto. In quella notte il destino mi ha mandato una missione, dovevo salvare due anime abbandonate Moki e Tommaso.

Nulla avviene per caso, ed io aiuterò questo ragazzo.

- Ti batte forte il cuore- mi dice, dalla voce capisco che si è calmato.

- A te no? - gli chiedo.
E forse per la prima volta non ho paura di parlagli, sono sempre stata attenta alle parole da usare, perché temevo di risultare noiosa o fuori luogo, una stupida insomma.

Mi prende una mano e la appoggia al suo petto, prima si sposta la felpa.

Ed eccoli lì, lo sento, batte forte, veloce.
Io lo stringo di più. Gli accarezzo anche i capelli e poi faccio dei cerchi sulla sua schiena. Lo voglio tranquillizzare.

Mi prende dagli avambracci e mi allontana per pochi secondi.

I suoi occhi sono così spenti, senza nessuna scintilla, ma cosa posso fare io?

- Posso raccontarti una storia?-
Mi chiede.
Annuisco.
Fa scorrere le sue mani fino a toccare le mie. Le incrocia, ci gioca e poi mi spinge verso di sé, nella stessa posizione di poco fa, la sua testa è vicino al mio cuore. Mi accarezza i capelli mentre inizia a parlare.

- Avevo poco più di 5 anni, e stavo scappando per non essere picchiato...di nuovo. Ancora non capivo bene come difendermi. Mi scontrai con un adulto. Un impatto veloce, mille fogli volarono per terra ed io uno ad uno li raccolsi, mentre mi scusavo. Fra le mani mi capitò un disegno di un bambino. Era rappresentata una casa...sai come tutti i piccoli disegnano, le case a punta, gli adulti non gambe chilometriche. C'era anche una scritta, ma non sapevo leggere bene al tempo. Rimasi a fissare quel foglio.
La donna si avvicinò a me e mi chiese quale fosse la mia idea di famiglia.
Ricordo che le risposi che non ne avevo una, e non ne sapevo il significato-  si rifugia sul mio collo. Inspira forte.

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