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Non devo farci molto caso.
Lui è così, non gli ho fatto nulla eppure non gli piaccio.
Ho cercato di esser cortese ma ho solo ricevuto rifiuti.
È una brutta sensazione, senti il cuore che si fa tanto piccolo, come se sottili aghi venissero conficcati al suo interno.
E la domanda che non mi abbandona e a cui non so rispondere è: sono sbagliata io?
Mi sento continuamente a disagio con me stessa e con gli altri.
Da ciò deriva la mia insicurezza.

- Ma sei sorda?!?- sento che qualcuno mi sta strattonando il braccio. Mi giro. I suoi occhi mi scrutano e mi fanno sentire male. Abbasso lo sguardo perché provo vergogna, per qualche motivo, provo vergogna.

Mi avvicina una mano al viso e io d'istinto mi sposto.

La sua mano si appoggia alla mia guancia. Le sue dita scorrono da sotto il mio occhio, e lentamente come seta accarezzano la mia pelle, in un ritmo lento.
- Non devi piangere- mi dice con un tono di rimprovero.

Ciò che è rimasto del mio orgoglio mi fa allontanare, non ha il diritto di trattarmi in questo modo e cambiare personalità a suo piacimento.

Due minuti fa non mi vuole al suo fianco e ora mi rincorre, si avvicina, mi asciuga le lacrime.

- Puoi lasciarmi in pace per favore ?- uso il tono più gentile possibile.

- Cosa?-  mi chiede perplesso, gira su se stesso, si morde una parte del labbro inferiore e mi si pianta davanti.

- Ti ho appena trattato male, e tu mi chiedi con cordialità di lasciarti stare, perché sei così?-

Se non fosse che un pochino lo conosco, penserei che sia sincero, che i suoi occhi siano davvero preoccupati, ma ho imparato che è un bravo attore che interpreta molteplici personaggi.

Non lo guardo perché ho paura che potrei cedere al suo giochetto. So già che perderei.

Lo oltrepasso.

Mi stringe forte la mano e mi trascina così finché  arriviamo alla sua moto.

- Cosa pensi di ottenere cosi? Non ti è bastato ciò che hai fatto prima...ah fammi indovinare: mi vuoi fare credere di essere bravo e buono solo per prendermi in giro e umigliarmi una volta di più. Te lo chiedo per favore, mi puoi lasciare in pace? Voglio andare a casa- dico senza più forze. Non urlo, non parlo con rabbia, ho capito che è inutile.

Sono già pronta a sentire le sue repliche e invece mi sorprende.

- OK, ma a una condizione-  dal tono non sembro avere grandi alternative
- Quale?-  chiedo
- Ti porto io a casa-
- No- 

Cambio direzione e non ho il tempo di fare il primo passo che mi trattiene.

- Non ti lascio andare se non ti porto IO a casa- sottolinea quel io in modo eccessivo.

Sono stanca di oppormi. Faccio sì con la testa, mi alza di colpo e mi posiziona sulla moto. Almeno mi ha  evitato  di chiederglielo.

Dovranno passare solo 20 minuti e sarò a casa.

Sfreccia in modo esagerato, con tutte le forze che ho nelle mani mi trattengo alle piccole maniglie ai lati del posto passeggero, maniglie che quella notte non avevo visto e di cui lui non mi aveva avvisato.

A un certo punto inchioda. Semaforo rosso. Scivolo addosso a lui. L'impatto con il suo corpo mi riscalda, e mi fa piacere questa vicinanza. Ma non deve essere così.

Si gira verso me e sul suo volto appare un ghigno di soddisfazione.
Mi prende le mani, che scompaiono nelle sue.
Mi fa circondare il suo busto con le mie braccia e parte.

La velocità con cui viaggia mi costringe a rimanere in quella posizione. Sono per lo meno sollevata che il viaggio sarà molto più breve.

Ma vedo oltrepassare la mia casa e non ho il tempo per reagire, per urlargli.

Sento la rabbia montare, vorrei tirargli un pugno, non mi ascolta, fa sempre di testa sua. Mi sento carica come una molla, l'adrenalina tiene prigioniero il mio corpo.

E allo stesso tempo sento come se un peso mi venisse tolto, come se fossi più leggera.

Non so dire se sia la velocità a cui viaggiamo, la rabbia o il fatto che sono con lui.

È strano  come una persona possa crearti emozioni contrastanti nel giro di pochi minuti.

I capelli mi accarezzano la pelle, volano preda del vento.

La moto si ferma.

È calmo, come se non avesse fatto nulla. Si toglie il casco, mi solleva.

- Vieni con me in un posto?- me lo chiede come quando un bambino domanda ai sui genitori di andare al parco, fa gli occhietti dolci, si mordicchia il labbro.
- Vorrei tornare a casa- gli parlo ma giro la faccia.
Tutto mi sarei aspettata ma non delle scuse.
- Scusa- dice con un filo di voce e a disagio
- Mi hai preso per un panchibol che tiri qua e là? perché prima sei arrabbiato e poi invece normale? prima non mi saluti neanche e poi mi sequestri. Non ti ho fatto niente di male- finalmente tiro fuori quello che avevo.

- Mi accompagni allora?-
Mi ripete come se non avessi detto una parola prima, mi sento tremendamente ignorata.
- Se vuoi che venga mi devi poi lasciare in pace- il mio suona come un ricatto.

Sbuffa sonoramente. Si scosta e rimette il mio casco a posto.
- Va bene ma...- si ferma e non va avanti. Sono quasi soddisfatta di essere riuscita a convincerlo, ma resta il fatto che non posso stargli ancora così vicino e permettergli di farsi beffe di me. Non avrei dovuto accettare la sua proposta.

- Lascia stare, non voglio andare da nessuna parte, ora ti chiedo che sia tu a non disturbarmi. Lo capisci per una buona volta?- mentre gli dico queste parole lo guardo dritto negli occhi, voglio che capisca per una volta.

Serra i pugni, assottiglia lo sguardo, sta per sbottare e sono cosciente di averlo spinto io a questa reazione.

- Sei stata più che chiara...beh peccato, questo vorrà dire che dovrò trovare un'altra ragazzina stupida da prendere in giro- urla.

Freddo. Cattivo.

Meglio così, rende più facile il mio fuggire. I piedi scattano, le lacrime scendono ma so di aver fatto la cosa giusta per una volta.

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E siamo tornati punto e a capo.
Sembrava che Tommaso volesse farla sentire meglio, ma a nessuno piace essere trattato male e lui inevitabilmente finisce con il ferirla.

Ma anche nel suo cuore gelido qualcosa sta cambiando, solo che non lo ammette e non lo dice con le parole ma con i  fatti...un po' confuse??
Arriverà la spiegazione. Baci
🌸🌸

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