42. Siete senza cuore

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La sala dove era stata data la festa in onore dell'elezione del successore di Yvnhal appariva immensa.

Era dedicata ai ricevimenti e alle cerimonie di corte, e vi venivano dati i tradizionali balli cerimoniali.

Come tutti gli edifici di Edresia, era più estesa in larghezza che in altezza. Era completamente rotonda, ed aveva un soffitto sferico affrescato dai migliori pittori del pianeta. Il soggetto scelto era una volta celeste, alla cui base si intravedevano i tetti delle case edresiane, e, più si dirigeva il proprio sguardo verso il centro della volta, più ci si addentrava nell'immenso territorio imperiale: il colore rossastro del cielo edresiano si andava sfumando nel nero dello Spazio, con le sue costellazioni e i suoi corpi celesti. Qui trovavano posto le raffigurazioni di tutti i pianeti dell'impero, a partire da Amaria. Zadok lasciò spaziare il suo sguardo su per quell'immensità e, per l'ennesima volta, alla vista dello Spazio, si sentì smarrito. Si fece forte in lui la sensazione di vuoto che da qualche tempo non voleva più abbandonarlo. Nel vedere il pianeta in cui aveva vissuto in una vita precedente, Amaria, sentì che gli ritornava in bocca il gusto dolce dei ricordi dimenticati.

Abbassò gli occhi di scatto, e ritornò con i piedi per terra appena vide l'orlo del suo mantello nero nascondergli quasi interamente il corpo, fino alla punta degli stivali. L'impressione che il proprio corpo fosse stato inghiottito da quel mantello gli fece quasi paura. Con un gesto di furiosa rabbia, si gettò un lembo del mantello sulle spalle, liberandosi le braccia. Indossava la tipica divisa degli endar: ogni capo era nero come la notte.

Entrando, si era reso conto che nessun altro uomo nella sala, tranne i suoi compagni endar, era vestito di nero. E non che il nero fosse vietato, ma era evidente che l'associazione di quel colore all'Ordine Marziale degli Endar era troppo forte perché la gente si chiudesse di propria volontà un abito nero addosso. Ma a lui, Zadok, non era stata lasciata quella scelta.

Con capelli neri, mantello nero, tuta nera, pantaloni neri, stivali neri, guanti neri, l'unico punto non nero del suo corpo era il volto, fatta eccezione solo per le due code di capelli colorate in rosso e in blu.

Invidiava i colori accesi dei vestiti danzanti per la sala. Ammirò i lunghi capelli rossi di Jayden, i suoi occhi verde-grigio, il suo abito bianco come la neve con decorazioni verde smeraldo.

Lei era la chiave per scoprire cosa gli stava accadendo: lei sapeva chi era. Lei poteva rivelargli ciò che Zadok desiderava con tutto sé stesso sapere. Quei ricordi vaghi, ma forti, frammentari ma significativi, odiati ma piacevoli... Zadok aveva il timore che quei ricordi volessero dirgli qualcosa, qualcosa di straordinario, qualcosa che non poteva più ignorare. Aveva bisogno di conoscere quel segreto il prima possibile, per rientrare in possesso della propria mente e della propria identità che ora gli erano derubate da un uomo al tempo stesso estraneo e familiare che vantava sul suo corpo un diritto di possesso più antico del suo.

Aveva deciso che avrebbe parlato con Jayden, anche se in quel modo si esponeva al rischio che Yvnhal scoprisse la sua crisi di identità.

Aveva tentato più volte di parlarle in privato, ma non ci era mai riuscito: Jayden lo ignorava il più possibile.

Zadok sperava che Yvnhal sarebbe stato troppo concentrato sulla cerimonia, per tenere d'occhio lui: era durante quella cerimonia che sarebbe stato annunciato per la prima volta il successore di Yvnhal come Capitano Supremo degli endar e Yvnhal, pertanto, avrebbe avuto ben altro a cui pensare, che non all'ortodossia di Zadok della quale, peraltro, non dubitava.

Zadok si diresse con disinvoltura a fianco di Jayden. Senza guardarla, come se stesse parlando di tutt'altro argomento, le disse sottovoce:

«Jayden, mi concedete il prossimo ballo?».

Triplania - L'Oblio  [primo volume]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora