6. Un segreto da custodire

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Per tutta la settimana successiva, vissi nella costante attesa di quei dieci minuti nella sala ricreativa. Non credo che gli altri facessero diversamente da me, certo, ma io forse avevo più motivo di loro, perché aspettavo che Wyn mi rivelasse ciò che non era riuscito a dirmi la volta precedente.

Nel frattempo, misi in pratica i suoi consigli: risposi a tutte le domande che sapevo, arrivai ai primi posti in tutte le gare di scherma, tiro al bersaglio, lotta libera, corsa, ecc... e diedi il mio meglio nelle prove di simulazione. In tal modo, ottenni una media giornaliera di trenta giorni abbonati all'addestramento, e feci ottenere ai miei compagni una media quotidiana di tre anni aggiuntivi.

Incominciavo a credere che fossero solo cifre apparenti, per metterci paura e per spronarci, e questo mi faceva star meglio.

Le simulazioni occupano la gran parte delle nostre giornate. Sono gli unici momenti in cui ci è consentito usare il thoraken. Anzi, io ho l'impressione che esse servano proprio per farci arrivare ad una completa consapevolezza d'utilizzo di questo strumento mostruosamente magnifico.

Le prove sono individuali. Forse, perché gli endar, sebbene si comportino come un corpo unico fatto di tanti automi legati l'uno all'altro come fratelli siamesi, in realtà spingono all'individualismo. Infatti, la storiella che ci raccontano per convincerci che facciamo tutti parte di una grande famiglia è solo falsa apparenza: ognuno di noi, sotto sotto, si sente solo, abbandonato a sé stesso. Ed è così, che gli endar vogliono che ci sentiamo, perché in questo modo siamo più vulnerabili.

La prima volta che entrai nella sala della simulazione, mi parve di essere tornato all'Accademia, e sentii una nostalgia così forte che mi si fermò il respiro.

Le stesse barre luminose verde rancido, lo stesso pavimento ad alveare, le stesse pareti divisorie semi-opacizzate ai lati di ogni celletta esagonale per delimitare le postazioni, lo stesso sbracciarsi quasi ridicolo dei loro occupanti...

L'unica cosa che cambia è il soffitto a cupola, che qui è rivestito di una patina nera e lucida, mentre all'Accademia era un planetario.

Ma la differenza vera è un'altra: in Accademia, gli studenti manovravano leve e comandi, qui, invece, gli affiliati uccidono avversari invisibili.

Appena entrato nella prima celletta libera a disposizione, mi accorsi che il thoraken si illuminava come non aveva mai fatto prima. Ogni parte di quell'aggeggio sembrava prendere vita. Compresi che, fino a quel momento, un terzo delle sue funzionalità erano rimaste addormentate. In seguito, mi dissero che il thoraken ha due modalità: Attacco e Riposo. Fino a quel momento, lo avevo visto solo a riposo. E, in attacco, mi fece paura: sembrava un essere dalla volontà propria che, invece di obbedire ai miei comandi, avrebbe esercitato controllo su di me.

In effetti, non mi sbagliavo di molto.

Non ci avevano dato alcuna direttiva su come usare al meglio i nostri thoraken. Molti ragazzi apparivano traumatizzati da quel braccio elettronico: erano paralizzati dall'eccesso di informazioni che esso gli inculcava in testa, senza mostrare pietà per le loro menti umane, incapaci di calcolare migliaia di dati al secondo.

All'inizio, anch'io ne fui sopraffatto. Ma non per la quantità di informazioni. Piuttosto, per la qualità: il thoraken è spietato, senza scrupoli, crudele. É una fredda macchina calcolatrice priva di umanità.

Passa i miei avversari ai raggi x, evidenzia i loro punti deboli, mi suggerisce dove colpirli non già per metterli fuori combattimento, ma per ucciderli.

La sua precisione è micidiale. Uccidere è la soluzione definitiva, la più razionale, la più saggia.

Quando mi resi conto che il thoraken mi avrebbe accompagnato da lì al resto della vita, mi sentii male fisicamente.

Triplania - L'Oblio  [primo volume]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora