Capitolo 1: Un luogo misterioso

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L'ultima cosa che ricordava era il bianco. Puro, esplosivo, accecante.

Aveva serrato gli occhi, aveva stretto la dita attorno alla mano di Claudia, aveva aspettato che finisse lo tsunami di luce. Istanti possenti come ore, che pure erano passati lasciando la realtà immobile e muta. E vuota.

Poco per volta il bianco si era macchiato di grigi, di sagome che emergevano delicate diventando forme conosciute. Un albero, un muro, un cespuglio. Dettagli di una realtà che si riempiva... ma tradiva una immensa, incommensurabile mancanza: aprì la mano destra e la trovò smarrita e vuota.

Claudia non c'era più.

***

Seduto a terra, sfinito, sfibrato e smarrito, Ryo rimase a lungo immobile. Era caduto, come travolto da un'onda, e non si sentiva pronto a rialzarsi e affrontare la realtà dei fatti: erano stati attaccati e bombe erano esplose, ma il mondo che conosceva non era stato distrutto. Era piuttosto svanito. E poi cambiato.

Si guardò intorno e non riconobbe nulla del luogo in cui era con Claudia quando gli ordigni erano piovuti dal cielo. Non era la sua città, non c'era la sua gente, non c'era nulla di riconoscibile. Non c'era, soprattutto, la sua ragazza.

Era ai margini di un piazzale, alle sue spalle si ergeva un grosso edificio squadrato e grigio con un enorme portone centrale e una serie di ordinate finestre rettangolari disposte su più piani; davanti a lui una strada desolata e poi uno spiazzo. Aiuole e piante fuori controllo lo rendevano quasi un piccolo bosco selvaggio. In mezzo, sepolto tra quell'esplosione di verde, si intravedeva una specie di monumento a forma di W, rosso e blu, e oltre spuntava ciò che sembrava il cadavere di un vecchio stadio. Ogni dettaglio di quel luogo tradiva abbandono e morte, come se nulla calcasse il suolo di quella piazza da molto tempo.

Si alzò in piedi, timoroso e cauto. Nel farlo toccò con una mano il pavimento e lo trovò freddo, quasi ghiacciato. Morto. Fece dei primi passi che echeggiarono ampi e sfilacciati, come se mossi nelle spaziose navate di una algida cattedrale. 

"Che diav..." Iniziò a dire, ma si fermò perché anche il suono della sua voce produsse lo stesso innaturale riverbero.

Si mosse piano e incerto. Come in un sogno... o forse un incubo.

***

Ryo si mosse cauto per tutta la lunghezza dell'edificio squadrato, costeggiando la parete coperta di scritte e disegni disordinati. Era ancora stordito e confuso, ma doveva forzarsi e muoversi per raggiungere l'angolo e sbirciare la strada che vedeva sparire oltre. Alla ricerca di Claudia, anche se dentro di sé sentiva che non l'avrebbe trovata, che qualunque cosa fosse ad averlo condotto lì, l'aveva anche strappato alla ragazza che teneva per mano. A quel punto la prima necessità era una e una soltanto: capire la natura del luogo in cui si trovava e i suoi eventuali pericoli. Subito dopo avrebbe affrontato la seconda, in prospettiva ben più seria. Dove avrebbe passato la notte?

L'ombra di un pallido Sole si avviava minacciosa verso l'orizzonte e Ryo stimò di non avere più di un paio d'ore di luce a disposizione per trovare un rifugio sicuro, un luogo dove mettere a dormire i pensieri sperando che si svegliassero più attivi e lucidi all'indomani.

Si sporse oltre l'angolo del muro imbrattato e scrostato, ma nulla di ciò che vide fu in grado di instillare gocce di speranza nel suo cuore agitato: la stessa desertica desolazione, lo stesso triste grigiore, la stessa sensazione di abbandono. E poi c'era quel freddo. Quello che aveva percepito toccando il suolo e che ora faceva scivolare dita ghiacciate lungo le sue gambe.

Decise di dare un'occhiata a un altro paio di strade prima di alzare una momentanea bandiera bianca e scegliere un edificio a caso in cui infiltrarsi per passare la notte. E ne percorse due, tre, poi quattro. Stupito, smarrito, preoccupato e agitato, passando sotto caverne di alberi abbracciati, saltando buche ampie e profonde come crateri sfrangiati e irregolari, superando edifici che sembravano mangiati dal tempo, con finestre divelte o sfondate che lo guardavano cieche e buie, insegne di antichi negozi che pendevano a brandelli, desolanti e stanche. I brividi che provava non erano solo di freddo, ma procedette ugualmente, fino a paralizzarsi all'ennesima svolta: una sagoma scura se ne stava rannicchiata e immobile dall'altra parte dell'ampio piazzale.
Per un attimo rimase immobile a fissarla, incapace di scorgerne i tratti con la luce del Sole calante che l'inglobava dalle spalle, poi azzardò un richiamo, un semplice "Ehi!!!" che echeggiò sfibrato e spettrale nel silenzio di quella città abbandonata.

In un attimo, la sagoma si mosse è sparì dietro un muro.

***

Provò a inseguirla, strappando tonfi dolenti che rimbalzarono stanchi da una parte all'altra della piazza. Provò, ma non riuscì.

La figura misteriosa si rivelò più rapida e sicura di Ryo nel passare da una strada all'altra e la perse di vista nel giro di tre svolte. Continuò inutilmente a cercarla per un'altra ventina di minuti, poi si arrese all'evidenza dell'arrivo imminente del tramonto e della notte. Si guardò intorno lì dov'era e scelse un palazzo diroccato con una delle finestre a piano terra mancanti: una via d'ingresso agevole in un posto come un altro. Avrebbe dedicato la giornata successiva alla scelta di un luogo da usare come propria base. Una tana in quel posto sconosciuto che sperava di dover tenere solo provvisoriamente.

All'interno vecchi mobili lo accoglievano mentre passava da una stanza all'altra. Alla fine trovò ciò che cercava: una poltrona su cui appollaiarsi in attesa del giorno. La spostò spalle al muro in una posizione che gli permetteva di controllare la finestra aperta, per sentirsi più protetto. Si addormentò lì, stringendo un lembo della maglietta con Baby Groot che Claudia gli aveva regalato, guardando fuori, fissando la strada, il cielo scuro e il volto familiare di una Luna quasi piena.

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