Capitolo 3: Placare la fame

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"Sembrano comete..." Sussurrò Claudia, gli occhi grandi spalancati ad accogliere la poca luce della notte stellata. "Se le colori di immaginazione, sembrano comete."

Serviva una buona dose di fantasia per farlo, per celare la realtà di uno stormo di aerei da combattimento che sorvolava le loro teste, ma lei l'aveva. E ne andava fiera.

"Pensi che colpiranno questa notte?" Le chiese Ryo, trascinandola al suolo freddo della realtà. "Pensi che..."

"Sssh" lo fermò lei, adagiandogli un dito sulle labbra aride di paura. Erano stesi sul tetto della villetta di lui e guardavano il cielo. Lo facevano da qualche giorno, da quando la situazione aveva preso "quella brutta piega", da quando quella giostra aveva iniziato a girare minacciosa. Ma Claudia aveva i suoi momenti di rifiuto, quelle parentesi in cui faceva un passo indietro e si rinchiudeva nel suo mondo di fantasia. "Giochiamo ai sogni", gli disse. Era il suo gioco preferito: fingere che quello che vedeva fosse qualcos'altro, possibilmente splendido e luccicante. "Vedi, quelle sono comete che arrivano in massa."

"Come la stella cometa che annunciò la nascita di Gesù", le rispose stando al gioco.

"Come quella." Annuì sorridendo. "E forse sono tante perché stanno nascendo tante persone speciali."
"Ce ne sarebbe bisogno..."

***

Ryo riaprì gli occhi che le ombre già si allungavano, spinte da un sole che si accasciava verso il tramonto. Si era appisolato senza neanche rendersene conto, nascosto dietro il bancone del primo negozio in cui era riuscito ad entrare.
Quel sonnellino imprevisto era la conferma di quanto trovarsi lì, in quella strana e deserta Napoli, influisse in modo anomalo sulle sue energie fisiche. Con l'aggravante della fame, ormai un bisogno impellente da soddisfare.

Non sentiva più i passi minacciosi del dinosauro e si alzò in piedi scrutando dietro il bancone. Lì, adagiata sul ripiano in marmo, trovò la prima sorpresa positiva delle ventiquattro ore di permanenza in quel posto. Cibo. Strisce di carne essiccata spuntavano da un cartoccio improvvisato sul quale era disegnato a mano un cerchio rosso. Non si soffermò a riflettere su norme d'igiene e possibili minacce, doveva correre il rischio e nutrirsi prima di crollare al suolo privo di energie.

Le mangiò vorace, rallentato solo dalla consistenza che lo obbligava a masticare con decisione, mentre si guardava intorno. Poche cose riempivano la stanzetta squadrata di quel negozio: il bancone dietro il quale si era nascosto e poi addormentato, scaffali alle sue spalle, altri vuoti sul lato opposto del negozio, un frigo con la porta a vetri lesionata. Quel posto aveva tutta l'aria di un bar, abbandonato e svuotato da tempo di ogni bene presente al suo interno. Ancora una volta si stupì di come tutto fosse "vuoto", come se qualcuno fosse passato a prendere quel che potesse essergli utile.

Uscì in strada. Ascoltò: nulla. Né i passi pesanti dell'animale che aveva visto, né tantomeno la presenza amica che l'aveva scosso dal suo torpore spingendolo a scappare. Quest'ultima, soprattutto, apriva nuovi scenari nella situazione surreale in cui si trovava.

Si mise in cammino e si accorse di non essere troppo distante dalla piazza in cui si era ritrovato il giorno precedente dopo l'esplosione e vi fece ritorno sperando di scovare qualche indizio.

***

Nel ripercorrere alcune delle strade del giorno precedente, non potè non cogliere conferme della sensazione nata in lui quella mattina: una città smantellata e poi travolta da quella pianta infestante.

Con quel filtro nella testa e negli occhi, fece i primi passi nella piazza in cui era arrivato e la scrutò con occhi nuovi alla ricerca di indizi: perché era arrivato proprio lì? Doveva esserci una spiegazione a quel primo mistero che aveva inaugurato la fiera dell'incomprensibile delle ultime ventiquattr'ore. Attraversò la strada deserta, accompagnato dall'immancabile eco spettrale dei suoi passi, raggiunse il luogo dove si era ritrovato il giorno prima e si guardò attorno. Niente di diverso attirò la sua attenzione, se non sulla parete del palazzo alle sue spalle: una mezzaluna, una Luna crescente, tra i tanti graffiti che segnavano il muro, con una freccia disegnata frettolosamente al di sotto. Ne seguì la direzione, guardò a terra, e trovò una ulteriore mezzaluna, più grande ma uguale e scura, proprio sotto i suoi piedi... dove il giorno precedente si era ritrovato.

Osservò entrambe, quella a parete e la versione extralarge al suolo, e capì perché le aveva notate tra gli altri graffiti che segnavano la città: erano "recenti". Successive a tutto il resto, almeno, perché mancavano di quella patina di obsoleto che rivestiva gli altri graffiti della parete.

Fece qualche passo indietro, si guardò intorno. "C'è nessuno?" Disse ad alta voce, sperando di attirare l'attenzione di presenza positive e non ulteriori mostri.

Non attese risposta, ma continuò a esplorare la piazza, si spostò sul lato opposto a quello esplorato il giorno precedente e trovò la conferma del luogo in cui si trovava: un'altra bacheca, un'altra indicazione "comune di Napoli". Anche in questo caso il contenuto della bacheca mancava e sul vetro era disegnata una grande Luna piena.

Sempre più confuso, afferrò da terra alcune pietre e le lanciò tra le piante sul lato opposto della via, in punti diversi: nessuna reazione. Si fece coraggio e vi si infilò a sua volta: anche lì la vegetazione di base era sotto controllo, ma invasa dai tralicci rampicanti di quell'assurda pianta che si affannava a coprire ogni cosa. Ne saggiò la consistenza con una mano e la trovò gommosa, quasi elastica.

"Non ho mai visto una cosa del genere..." mormorò inoltrandosi tra le fratte, tra sentieri e aiuole, fino a raggiungere quella specie di scultura rossa e blu che aveva già notato il giorno precedente. Quello che dalla parte opposta della piazza non si notava era la lapide improvvisata che giaceva al suo fianco, una semplice lastra di marmo strappata chissà da dove su cui era stato inciso con un carboncino un semplice e banale nome: "Terry".

Non c'era una data a collocare temporalmente quel decesso, ma la notizia era importante: la conferma che non era solo in quella città.

***

Ryo emerse dal folto della vegetazione e ne rimase al margine, con le mani incrociate dietro il collo nella posa che adottava ogni volta che era soprappensiero. Se l'aver smarrito Claudia era un dramma che gli lacerava il cuore, ogni altro dettaglio di quella situazione conficcava dolorosi aculei nella sua mente confusa. Ancora una volta rimase immobile ad ascoltare il silenzio opprimente che lo circondava. Ma di nuovo si trovò al cospetto della necessità di trovare un rifugio per la notte, con il Sole che si adagiava pigramente verso l'orizzonte.

Non aveva idea di come raggiungere la tana improvvisata della notte precedente, ma non fece lo schizzinoso e si infilò nella prima finestra a piano terra che cedette alla sua spinta incerta. Era una vecchia palazzina che avrebbe necessitato di una ristrutturazione, sulla cui parete spiccava un preciso cerchio tracciato a mano. Si issò all'interno, perlustrò e si ritagliò un riparo tra il mobilio vuoto. Trascinò una poltrona a favore della finestra aperta e rimase a fissare la Luna ormai piena che emergeva con prepotente decisione nel cielo che sfumava nel nero della notte, lasciandosi andare alla deriva nel mare del sonno.

Ma non arrivò a immergersi in esso, perché fu travolto da un'ondata di luce bianca, accecante e prepotente. Un'esplosione non dissimile da quella che l'aveva travolto poco più di un giorno prima. Strinse gli occhi con disperata energia, serrò le mani sui braccioli della poltrona, col cuore che batteva forte e segnava il ritmo delle immagini sconclusionate e dissennate che si alternavano furiose nella sua mente: un carro trainato da un cavallo e colmo di paglia; un elmo, sporco di sangue, che rotolava su una strada deserta; un tatuaggio, tondo e scuro, sulla pelle candida di una spalla; e tante altre, fin troppo rapide per essere assimilate e comprese.

Il mondo smise di girare e ancora una volta si ritrovò le mani vuote, ma questa volta ciò che lo circondava era vivo e pieno: rumore di una strada in lontananza, passi e vociare poco distante. Aprì gli occhi e scoprì di essere in una stradina poco illuminata che poteva essere uscita da un film su Jack lo Squartatore. 

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