Capitolo 2: Nuovi incontri

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Tra le tante cose che si possono fare tenendosi per mano, correre è tra le più difficili.

Sincronizzare il passo tanto quanto i cuori, tenere la presa senza che diventi un traino o un freno, guardarsi negli occhi senza perder di vista il cammino. Eppure Ryo e Claudia lo facevano, con gioia, esuberanza e dedizione.

Il sussurro delle onde a carezzare i timpani, la brezza fresca a solleticare i capelli, la sabbia umida ad accogliere i piedi che si alternavano leggeri. C'era tutta l'adolescenza in quella corsa in riva al mare, nei sorrisi, nella gioia e libertà, nei pensieri e timori chiusi con veemenza fuori la porta della mente.

Si fermarono in prossimità degli scogli e passeggiarono gli ultimi metri fino a sedersi. Lo sguardo rivolto al tramonto che tingeva il mare, Ryo lasciò che il respiro prendesse il ritmo dei suoi pensieri. "Avremo altri giorni così?" Chiese più a sé stesso che a alla ragazza al suo fianco, che comunque non mancò di rispondergli. Come aveva sempre fatto.

"Finché saremo insieme..." Mormorò stringendo la sua mano per difendersi dall'invasione di immagini tristi che la gravità del momento operava nei confronti dei suoi pensieri. "Fino a quando..."

***

Ryo si svegliò con la testa e il cuore pieni della sua ragazza smarrita e lo stomaco vuoto e borbottante. I primi flaccidi raggi di un sole timido filtravano nella stanza devastata che si soffermò a esaminare a mente lucida: era circondato dai segni del tempo passato... ma non c'era polvere. Ripensò alla giornata precedente e si rese conto che non ce n'era nemmeno per le strade che aveva percorso o al suolo quando lo aveva toccato.

Si riscosse, si attivò e guardò fuori con occhi diversi da quelli del giorno prima. Cominciò a notare i dettagli: non c'erano auto per le strade, non c'erano cadaveri, oggetti, né altro che facesse pensare a un mondo travolto nel mezzo della sua vita quotidiana. Quella che osservava era una città smantellata più che degradata lentamente. Un set in disuso.

Il cervello si mise in moto e si sentì carico, pronto al punto giusto per trovare una soluzione all'enigma che stava vivendo. Carico... ma affamato: aveva rigenerato le energie mentali, ma si era accesa la spia che indicava le sue riserve di carburante. L'esigenza di quella mattina era necessariamente quella di riempire lo stomaco prima che la fame che provava iniziasse a diventare un ulteriore ostacolo. Tutto sarebbe dovuto passare per l'esplorazione e a quella si dedicò: strade su strade, alla ricerca di indizi e informazioni. Alla ricerca di Claudia, prima di tutto. La grande assenza impossibile da colmare, il vuoto che gli appesantiva il cuore. Ma l'unica figura vivente che aveva visto era quella che gli era sfuggita il giorno prima.

Si fermò in una grande piazza. Una palma imponente si ergeva al centro, assalita da rampicanti e piante infestanti che reclamavano il territorio. Ne percorse il perimetro ottagonale fino a trovare una delle indicazioni del nome ancora leggibile in uno degli angoli: Piazza Vanvitelli. Non ricordava una grande piazza con quel nome nella sua città e sentì di non trovarsi a Roma. Una sensazione confermata pochi passi più avanti, da una grande bacheca in vetro, vuota ma con l'indicazione della città ancora impressa nella parte bassa: comune di Napoli. Napoli. Come c'era finito lì?!

Debole e stanco, si mise a sedere su un muretto e rimase lì a ragionare su quell'informazione, a fissare la piazza deserta e ascoltare il silenzio. Fece dondolare le gambe e prese a stuzzicare con un piede il traliccio di una pianta rampicante, la stessa che vedeva avvolgere il tronco della palma e che striava le pareti dei palazzi.

La stessa.

Osservò a fondo e si rese conto che non erano gli alberi ad essere cresciuti fuori controllo, né l'erba a sollevarsi alta nelle aiuole. Era piuttosto quella stessa pianta infestante a crescere ovunque e bramare di impossessarsi di ogni cosa. Con quella nuova consapevolezza negli occhi, si rimise in cammino, procedendo piano e attento, studiando ogni dettaglio.

Ma si bloccò quasi subito: un fruscio frettoloso si muoveva tra i cespugli dell'aiuola al centro della piazza.

***

Con un brivido a graffiargli la pelle, fece un passo indietro senza distogliere lo sguardo dalla fonte del rumore. Osservò le foglie danzare e scuotersi, il primo segnale di attività colto da quella mattina, solo il secondo da quando era lì, spinto dalla voglia di correre a vedere di che si trattasse ma terrorizzato dall'idea di scoprirlo.

Amico o nemico? L'unico incontro avuto, quello del giorno precedente, si era chiuso ancor prima di iniziare, con la fuga della figura misteriosa. E proprio quel punto poteva indicare una situazione di pericolo costante che aveva spinto la fuga.

Che cosa doveva aspettarsi?

Senza nemmeno rendersene conto, fece un passo in avanti. Poi un altro e un altro ancora. Attese, ascoltò e osservò. Poi la sorpresa, il colpo e il salto all'indietro: da qualche parte alla sua sinistra arrivò un tonfo sordo, potente e vibrante, seguito da un altro paio in rapida successione che si sfilacciarono nell'aria come ogni suono di quel maledetto luogo. In tutta risposta, una figura non più grande di un cane saltò fuori dai cespugli e corse nella direzione opposta. In evidente fuga. Veloce, troppo rapida per poterne percepire i dettagli nel frullare di colori, zampe e coda.

A colpo d'occhio l'avrebbe definito un grosso uccello, ma se lo fosse stato sarebbe scappato volando e non correndo. Decise di imitarlo, in ogni caso, e corse nella medesima direzione, lasciandosi alle spalle i colpi che proseguivano lenti ma costanti.

***

Corse per qualche centinaia di metri, fino a quando i polmoni ressero allo sforzo: qualcosa in quel luogo lo appesantiva e gli impediva di sostenere sforzi prolungati. Era forse quel gelo che si sollevava minaccioso dal suolo?

Si fermò e si piegò fino a poggiare le mani sulle cosce irrigidite dalla breve corsa, una sensazione alla quale non era abituato, lui che correva abitualmente e faceva almeno una partita a tennis a settimana. Ma non si era fermato nel posto ideale per riposare, troppo esposto al centro di un crocevia di ampie strade, non con quei suoni che riverberavano nell'aria e sembravano protendersi fino a lui. Si guardò intorno per scegliere la direzione in cui muoversi, alla ricerca di un riparo anche temporaneo... e lo vide.

Era lontano, almeno a un centinaio di metri in fondo alla strada che saliva alla sua destra, ma era enorme e minaccioso. Un essere alto almeno tre metri che arrivava a coprire tutto il piano terra di un palazzo. Aveva zampe possenti e coda robusta, una testa enorme e piena di denti, braccine piccole che non bastavano a mitigare l'impatto di quella vista. Sembrava un tirannosauro, ma non era come quelli che era abituato a vedere nei film. Nossignore, questo aveva una folta peluria attorno al collo, quasi una criniera, che si estendeva fino alle zampe anteriori, e una colorazione meno piatta e banale.

Rimase immobile. Almeno fino a quando una voce non lo riscosse. "Non restare lì!" Sussurrò qualcuno. "Corri!!!" E non se lo fece ripetere due volte. 

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