Capitolo 18: Salvataggio

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"Devo dirti un segreto." La voce morbida e accorta, comodamente adagiata sotto un sorriso complice.

Dario sospirò. "OK, sentiamo."

Claudia si indispettì. "Così? Senza curiosità, mistero, anticipazione..."

Il suo ragazzo mise in pausa il gioco, posò il pad sul divano e si voltò verso di lei. "Sono tutt'orecchi!" Le disse.

"Molto spontaneo, complimenti!"

"Dai!"

Lei scoppiò a ridere. "Su, ti prendevo in giro!" Ruotò verso di lui, le gambe incrociate sul divano, le mani che gesticolavano eccitate. "Gliel'ho fatta pagare! È fuori!"

Dario sbarrò gli occhi, stupito dal tono quanto dal contenuto: per un attimo stentò a riconoscere la sua ragazza dietro la luce perversa e soddisfatta che le brillava nello sguardo, poi ricordò i mesi a lamentarsi delle battute, delle frecciate, dei dispettucci e dei continui soprusi che aveva subito da parte di Matilde, la sua compagna di classe ricca e snob. La sua espressione restò titubante, ma le sorrise a sua volta e la incoraggiò a continuare. "OK, raccontami tutto!"

"Allora", iniziò senza perdere la carica di entusiasmo, "ci ho pensato a lungo, perché a lungo mi ha masticato l'anima", gli disse con quell'espressione che le piaceva tanto usare in quel periodo, "ho ragionato, pianificato e poi agito."

"Tu? Pianificato?" Il sorriso di Dario si fece più largo, poi più incerto: quella pianificazione nasceva da un sentimento che lo preoccupava. "Cosa è successo?"

"Ha cambiato classe. L'ho fatta fuori!" Di nuovo quel termine, l'idea che l'avversaria dovesse abbandonare il campo per il proprio bene. Un'idea sottolineata da un sorriso compiaciuto e venato di maligno. "Come una partita a scacchi lenta e ragionata. Mossa dopo mossa, l'ho portata a scegliere di cambiare sezione."

Dario la guardò smarrito. "Ma a te non piacciono gli scacchi..." fu l'unica cosa che riuscì a dire.

***

Un passo dopo l'altro. Dario si mosse rapido alle spalle di Epona, attento a mantenere la distanza giusta per fargli capire che lo stava seguendo, ma con il margine necessario a poter agire in caso di pericolo. Gli altri erano poco più dietro. Era stato lui a dir loro di non avvicinarsi troppo, ma continuavano a perdere terreno, come frenati dal timore di impiegare troppo tempo in quell'assurdo capriccio del ragazzo ed essere colti dal tramonto quando non ancora pronti a governarlo.

"Manca molto, Epona?" Chiese Dario al cavallo, con l'ingenua e stupida convinzione che potesse rispondergli e l'amico a quattro zampe in qualche modo lo fece, perché rallentò, si voltò e scrollò la testa con un borbottio. Erano al culmine di una collina ormai e scalarla era stata dura con l'aria densa e stantia di quel mondo. Da lì Dario poteva osservare la zona, le colline a perdita d'occhio, qualche paesello a incoronare un paio di esse, filari di cipressi. Sospirò, ancora ferito da quei colori smorti che facevano il paio con i suoni sfrangiati.

"Che si vede?" Chiese Michele alle sue spalle.

"Colline." Rispose allargando le braccia. Ma vide Epona curvare verso destra e dirigersi verso una macchia di vegetazione più scura. Troppo lontano per capire se fossero cespugli o alberi.

"Sto diventando miope?" Si chiese stringendo gli occhi per vedere meglio, per concentrare lo sguardo su quella che gli sembrava la loro destinazione.

E nel mentre perse il cavallo.

"Ma che diav..." Mormorò tra i denti, le braccia sollevate, le mani incrociate dietro la nuca. Si guardò intorno perplesso e immobile.

"Que pasa?" Urlò la voce di Tara alle sue spalle, tra il preoccupato e il divertito.

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