La faccia nascosta della Luna #1

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Il Sole si alzava veloce, le ombra si accorciavano a vista d'occhio.

"Non mi ci abituerò mai" disse Michele avvicinandosi alle spalle di Tara, immobile sul bordo di un canale grigio, vagamente imbrillantinato dalla luce fioca del giorno.

"A cosa?" Chiese lei senza voltarsi. "Al freddo che ti entra nelle ossa? Al tempo che corre? Ai colori morti?" Si voltò e lo guardò negli occhi.

"Al tempo. Mi riferivo al tempo. E a tutta l'incertezza che viviamo in ogni cosa."

Lei si strinse nelle spalle e cambiò argomento. "Dormono?" Non c'era bisogno di specificare di chi parlasse, le chiacchiere riguardavano sempre gli ultimi arrivati.

"Dormono, per ora."

"E così avevi ragione."

"Sì", confermò convinto, "ma te l'avevo detto che era lui."

"Ancora non so come l'hai capito."
"La maglietta. Appena l'ho vista ti ho detto che dovevamo tenerlo d'occhio e portarlo qua."

Lei fece una smorfia. "E ci siamo ritrovati anche gli altri due."

"Meglio, abbiamo sempre bisogno di forze nuove."

Tara annuì. "Claro", disse, con la sua lingua madre che spuntava di tanto in tanto. "Claro que sì."

"Ma..?"

"Uno dei due è strano. Serve la squadra giusta per lui."

Michele non sembrava preoccupato. "La troveremo, no hay problema." Le ammiccò, fissando i canali di Venezia che si muovevano placidi, vie di comunicazione fluide e pericolose come il tempo da quelle parti. "In realtà... un problema c'è."

Lei gli sorrise. "Ce ne sono sempre, no?"

"Non mancano mai", confermò. Poi aggiunse pensieroso: "il ragazzo sa della Luna Nuova."

***

Il bianco lasciò il posto al nero.

E al freddo. Un gelo che mai aveva provato, che sembrava venire da dentro per quanto era sottile e radicato nelle ossa e nel cuore.

Aprì gli occhi su un mondo grigio, ma fu la macchia di giallo ad attirare la sua attenzione: un'auto, che sembrava venirle addosso muta e spietata.

Fece un passo indietro, cadde e si trascinò via camminando come un granchio. Ma subito si fermò, fissando l'auto gialla che, ora se ne accorgeva, era solo un disegno. Un disegno che tutti nel mondo avevano visto. Un dipinto, su un muro che si allungava a perdita d'occhio a destra e a sinistra.

Dov'era? Quell'immagine solleticava un concetto ben preciso nella sua mente, un muro che conosceva pur non avendolo mai visto direttamente.

"Il muro di Berlino..." mormorò tra sé, allarmata dal suono bizzarro della sua voce, rotto, deformato, come slabbrato. Si alzò in piedi, si guardò intorno: strade vuote, il muro, le ombre lunghe stirate dal sole morente. Ai suoi piedi un pavimento coperto di strane piante che si intrecciavano tra loro, un cerchio disegnato a terra.

"Dove diav..."

Poi, ancora una volta, bianco.

***

Caldo.

Caldo e umido. E buio. Il passaggio dal freddo di un attimo prima fu come una sauna finlandese al contrario. Fece per muoversi e i piedi rimasero impigliati tra radici e fronde che invadevano il suolo. Cadde a terra e tocco con mano quel terreno bagnato e viscido. Un attimo, poi si alzò e si mosse, solleticata dai suoni vari e minacciosi che la circondavano: foglie mosse dal vento, calpestii, passi tra la vegetazione e versi. Uccelli, sembrava. Qualcosa di simile a squittii e sibili.

Un brivido le percorse la schiena e si mosse nella direzione in cui sentiva meno presenze, in cui sentiva maggior libertà. Sullo sfondo una parete di roccia che carpiva la forte luce della Luna, la speranza di una caverna in cui intrufolarsi. Un riparo, una protezione. Un nido.

Ansimava, trascinandosi in quell'afa che mai aveva provato, facendosi largo tra rami bramosi e foglie ampie e avvolgenti, che ostacolavano ogni passo, la disorientavano a distoglievano dalla sua meta. Ma continuò a muoversi a testa china, rumorosa e per nulla scaltra, fino a raggiungere una piccola radura chiusa dalla roccia: era ai piedi della montagna, di una parete scoscesa e molto più alta di quanto le era parso da lontano. Non vedeva grotte o insenature, né possibili rifugi. Ma la notte non aiutava questa prima ispezione. Si passò una mano tra i capelli sudati che le solleticavano le spalle. Si tastò il polso, sentì l'elastico che usava abitualmente per legarsi i capelli in una coda e lo usò. Meglio, molto meglio, si disse ispirando ampiamente, cercando di rompere il fiato e spezzare quella preoccupazione che le serrava il cuore.

"Dove diavolo sono..." Mormorò con un filo di voce, abbastanza perché fosse udita da... cosa? Alle sue parole seguì un silenzio e poi passi frenetici e un verso incuriosito. Indietreggiò di qualche passo e si schiacciò contro la roccia in attesa.

***

Dalle foglie emerse un animale grosso quanto un cane di taglia medio-grande. Aveva il collo lungo, una sorta di becco semiaperto che lasciava intravedere denti aguzzi, zampe anteriori che sembravano ali e posteriori robuste che terminavano in tre dita ben attrezzate per la lotta. Artigli, la prima cosa che aveva notato con preoccupazione prima che lo sguardo salisse sulle piume colorate e quella testa che si inclinava di lato guardandola con aria interrogativa.

"Via!" Esclamò decisa, ma cercando di controllare il volume della voce, per il timore di attirare qualcosa di più grosso e pericoloso. "Vai via!"

L'animale la guardò, schioccò i denti e inclinò la testa dal lato opposto. Sembrò rimanere in ascolto per un attimo, prima di fuggire via di gran carriera.

Lei si lasciò scivolare a terra, sgonfia di energia e del tutto scarica: era arrivata al limite dopo il vortice di emozioni delle ultime... quanto era passato? Ore? La sua vecchia vita sembrava distante anni! Ansimando con gli occhi lucidi, si raggomitolò su se stessa, abbracciò le ginocchia e si lasciò andare a un pianto liberatorio.

Poi le sentì, le voci. Distanti ma in avvicinamento, quelle che probabilmente avevano spaventato il piccolo animale piumato. Cercò di ascoltare con più attenzione, di sintonizzarsi su quelle frequenze vagamente familiari: erano due, non sembravano parlare la sua lingua, ma erano decisamente umane. Rassicuranti e familiari. Attese senza muoversi, scarica e inerme, una fiammella fioca che attinge agli ultimi scampoli di ossigeno per restare accesa.

"Oh my God" disse una delle voci, una donna piuttosto giovane, emergendo dal folto della foresta, "here she is, i told you i saw someone running!"

"It's a girl", rispose la seconda voce, un'altra donna, più matura, meno inglese a giudicare dalla pronuncia zoppicante. "Bikkuri shita!" Aggiunse in una lingua diversa che forse era la sua.

I passi le si avvicinarono e finalmente ebbe il coraggio di alzare la testa e guardarle: un donnone robusto che le sorrideva e una figura esile, dai tratti orientali. Entrambe vestite di un misto di abiti moderni e pelli. Fu la più imponente delle due a fare un passo verso di lei e parlarle: "i'm Candy" le disse con tono rassicurante, "who are you?"

Aprì la bocca per rispondere, ma non ci riuscì. Deglutì, inspirò, poi si sentì dire un'unica parola, la sua unica certezza. Il suo nome.

"Claudia..."

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