LIE (pt.3)

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(3) November 1st, 2015 - Sunday

"Park Jimin."

Cazzo.

Il suo nome era stato scandito con lentezza, la "r" ben arcuata sulla lingua. Il timbro maschile della voce che lo aveva chiamato sarebbe stato profondo se una trentina di anni passati a fumare non l'avessero inaridito. Almeno così l'identità dell'uomo alle sue spalle era inconfondibile.

I piedi di Jimin si inchiodarono al pavimento, le unghie conficcate nei palmi delle mani, la postura immediatamente sull'attenti.

L'entrata del salone principale dell'Anathema era proprio lì, a pochi passi da lui, ma all'improvviso gli parve irraggiungibile. Si ritrovò prigioniero di quella zona del corridoio, troppo lontana per essere raggiunta dalle luci della pista, ma troppo lontana anche dall'ingresso della discoteca. Jimin aveva come l'impressione che se si fosse dato molto poco dignitosamente alla fuga verso una direzione o l'altra, avrebbe preso contro un'invisibile parete di plexiglass.

Il signor Daront.

Niente di meno che il fondatore e proprietario dell'Anathema.

Cazzo.

Cazzo, davvero.

Solitamente, quando qualcuno scopriva che Jimin lo incontrava quasi periodicamente per motivi di lavoro, gli veniva chiesto spesso che aspetto avesse l'uomo in questione. Lui si limitava a dire che potevano fidarsi delle decine di foto che le pagine dei giornali locali si ritrovavano a mettere in prima pagina.

Così come sulla carta, anche dal vivo il signor Daront appariva come una persona di malafede. Gli si sarebbero dati una cinquantina d'anni, ma Jimin sapeva che l'uomo era ancora nella fascia dei quaranta. In realtà sarebbe stato curioso di vedere una sua foto da giovane, ma aveva come l'impressione che l'uomo apparisse come un adulto già da allora; torchiato uguale, anche se non propriamente grosso. Forse con un taglio di capelli più corto, senza brizzolatura. Quella perenne espressione brusca a metà tra l'arrogante e l'annoiato doveva averla di sicuro fin dalla tenera età, altrimenti non gli si sarebbe stampata in faccia a quel modo.

E Jimin era il primo a dire di non giudicare un libro dalla copertina, ma in questo caso trovava che ne rappresentasse molto bene il contenuto.

Solo una cosa positiva si poteva dire di quell'uomo, anche se Jimin non poteva certo immaginarsela. Era un proprietario coi fiocchi.

Al contrario di quello che si poteva pensare, il signor Daront non passava tutto il suo tempo in qualche località vacanziera a sperperare i suoi guadagni. No.

L'Anathema era il suo gioiellino. La sua fonte di guadagno. Era il locale che aveva sempre desiderato frequentare da adolescente ma che non era mai stato aperto.

Aveva deciso tutto lui lì dentro, dall'arredamento kitch alla scelta del personale. Era lui che si metteva alla scrivania a pensare a come realizzare gli eventi, era lui che complottava sempre nuove strategie per richiamare più gente.

L'Anathema non doveva essere solo una discoteca, doveva essere molto di più.

Per questo, per studiare la sua clientela in cerca di nuove idee, Daront era sempre presente quando il locale era aperto al pubblico. Non lo si vedeva praticamente mai perché girava al largo dalle sale focose gremite di gente, luci e rumore. Preferiva supervisionare tutto dall'alto, affiancato da un qualche onnipresente socio in affari. Erano soliti camminare per i corridoi laterali meno frequentati o si chiudevano nel suo ufficio in compagnia di un mazzo di carte ed un vassoio di drink preparati dallo stesso barman che si era beccato la denuncia la settimana prima.

Daront si era sempre limitato a manovrare i giochi dall'alto, dando una sbirciatina alle telecamere di sicurezza per controllare quando le ragazze immagine avrebbero preso posizione sul palco. Solo in quel caso Daront e i suoi soci si sarebbero disturbati per assistere allo spettacolo di persona.

ANATHEMA (BTS FanFiction - Yoonmin)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora