STIGMA (pt.3)

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(50) November 6th, 2015 - Friday

Nello scenario che la maledizione della mela gli propose questa volta, Jimin stava già camminando. Il ragazzo non riusciva a cambiare rotta, a rallentare il passo, a girare la testa, ma qualcosa in lui conosceva già le fattezze di quella stanza.

Era rettangolare, non particolarmente lunga. La parete alla sua sinistra era mancante, come se un gigante se la fosse portava via per metterla sotto la gamba di un tavolo ballerino; il mondo esterno su cui faceva da finestra era di un bianco smagliante.

A contrasto con esso, Jimin era una silhouette di un blu notte pregnante, quasi viola.

Più il ragazzo avanzava, più gli saliva un senso di aspettativa. Il suo inconscio sapeva cosa lo aspettava al traguardo, ma non volle dargli indizi.

Tutto parve acquisire un senso quando un altro rumore di passi si unì al suo.

La persona che gli stava venendo incontro non aveva faccia, non aveva nome. Pareva quasi un manichino, l'allegoria di un qualche ideale, ma a Jimin non importava. Era blu, come lui.

Le sue mani lo precedettero, correndo verso quelle dello sconosciuto. Le prese tra le sue, incrociò le loro dita, lo attirò a sé. L'altro si chinò a baciarlo e Jimin dovette alzarsi sulle punte dei piedi per poterlo incontrare a metà strada.

In quel soffio che divideva la sua bocca da quello dello sconosciuto, Jimin sorrise. Un senso di serenità lo inondò da capo a piedi, il suo corpo che diventava armonia, pronto ad allacciarsi a quello del suo amante.

Il labbro inferiore gli venne strappato via, il crimine di un becco d'aquila.

L'urlo di Jimin fu un verso gutturale. Il ragazzo andò a premere una mano sulla bocca, il corpo piegato in due.

Più la toccava, più urlava. Più urlava, più sanguinava.

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Il ciondolio argentino delle chiavi dell'auto precedevano Patrick Daront. L'uomo le teneva ancora in mano, indifferente a quel loro accompagnamento musicale.

Lloyd Daront camminava subito dietro di lui, lo sguardo annoiato che divagava tra le pareti del corridoio. Non era la prima volta che gli spazi angusti del retro dell'Anathema gli ricordavano gli alberghi inglesi che gli era capitato di frequentare in passato.

La conversazione che i due fratelli stavano tenendo non doveva essere delle più brillanti, perché Patrick ne dimenticò completamente l'oggetto una volta arrivato al proprio ufficio. Entrò senza esitazioni nella stanza, gli occhi che già rovistavano ovunque.

Non fece neanche in tempo a metterci piede dentro che già lo vide: Jimin non si trovava lì.

Una volta mollate le chiavi dell'auto sulla scrivania, le mani di Daront andarono subito a ripescare il cellulare da una delle tasche della costosa giacca. Andò nella sezione delle chiamate veloci, portandosi l'aggeggio all'orecchio.

Lloyd se ne stette sullo stipite, assistendo a come l'espressione dell'altro si crucciò ancora un po' di più. Patrick non si era seduto alla sua scrivania, il che era già un brutto segno. Quell'irritazione che aveva sempre addosso in minima parte parve aumentare visibilmente, una palla di neve che rotola già da una montagna innevata.

Non chiese cosa ci fosse che non andava. Un po' perché poteva già presumerlo da sé (erano lì solo per interrogare Jimin, e Jimin non c'era. Non ci voleva un genio a fare due più due.), un po' perché aveva imparato con l'esperienza che, qualsiasi cosa lo affliggesse, era meglio lasciare Patrick nel suo brodo.

ANATHEMA (BTS FanFiction - Yoonmin)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora