10 - la maledizione

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Hogwarts
Ufficio di Albus Silente
14 novembre 1996, ore 2,15 A.M.

Albus comincia ad intuire la presenza della morte nel suo vecchio corpo stanco.
Ormai è palese.
Sa che la maledizione dell'anello si sta espandendo ad un ritmo inarrestabile.
Malgrado i miei fallimentari tentativi per tenere a bada un male silenzioso.
Malgrado i suoi stessi sforzi per contrastarla.
Ormai sta cominciando a capire che è tutto inutile.
Anche se non vuole ammetterlo.
E un nuovo piano sta prendendo piede nel suo cervello.
Io lo vedo.
Anche se mi intimo di non chiedergli nulla.
Perché non può che essere una nuova follia.
E preferisco rimanere nell'acqua calma del dubbio.
Piuttosto che affrontare un'altra tempesta.
Almeno ancora un po'.
Anche se adesso non c'è più tempo.
Questa dannata profezia che ci soffia sul collo mi rende denso il sangue nelle vene, mi impedisce di pensare.
Lei, e gli occhi della Granger che continuano a luccicarmi nella mente.

Albus si alza dalla sua scrivania.
Si dirige verso gli scaffali impolverati.
Estrae la pergamena ingiallita dal tempo e dall'incuria.
La srotola lentamente sul tavolo.
Si sistema gli occhiali a mezza luna sul naso adunco, comincia a rileggerla per l'ennesima volta.
E questo non è un buon segno.
Perché spesso, quando si legge qualcosa che si conosce bene, si comincia a tralasciare i particolari.
Scotoma, viene chiamato.
Ovvero la tendenza degli occhi a percepire quello che la mente sceglie di vedere.
Quello che è abituata a vedere.
E questo è un problema.
Perché abbiamo fretta.
La visione di Sibilla parla chiaro.
A cavallo tra il 1996 e il 1997 il simbolo verrà rivelato.

Quando gli occhi saranno asciutti, quando l'anima sarà libera, quando il cuore tornerà a battere, il simbolo apparirà nel posto più improbabile, nel più inaspettato di tutti.

Parte di quelle righe vecchie di secoli continua a martoriarmi le tempie.
Silente, in un impeto di follia, mi ha addirittura confessato di essere arrivato a pensare che queste parole profetizzassero la sua morte e la sua rinascita.
In uno dei suoi egocentrici funambolismi di immaginazione.
Gli occhi asciutti del trapasso, l'anima che si libera sopra il suo corpo mortale.
E poi la rinascita.
Il cuore che torna a battere.
Per un attimo ha addirittura creduto che l'anello di Orvoloson Gaunt fosse stato mandato a lui apposta perché potesse morire.
E poi rinascere.
Così da poter riconoscere il simbolo nel posto più improbabile, al di là della vita degli uomini.
Mi ha messo a parte di questa assurdità solo alcune settimane fa.
Ed io mi sono trattenuto a stento dallo scoppiargli a ridere in faccia.
Poi mi sono ricordato di non esserne più capace, di ridere.
E mi sono limitato a rivolgergli uno sguardo schifato.
Che a lui deve essere bastato per giungere alla conclusione che, probabilmente, quell'interpretazione fosse troppo assurda anche per un mondo pieno di bacchette magiche, popolato da draghi e tenuto in bilico da una profezia impolverata.
Supportata, per sbaglio o per fortuna, dalle parole di una veggente stralunata.
No, è qualcos'altro.
E Albus, malgrado il suo egocentrismo malato, non c'entra niente.
È qualcosa di più semplice.
O di ancora più assurdo.
Non lo so.
Ma lui ha bisogno di occhi nuovi, di un cervello fresco e di un'intelligenza affilata.
E quindi, ovviamente, mi ha mandato a chiamare.

-    "Severus, ragazzo mio.
Ho bisogno che tu legga questo.
Dei tuoi occhi attenti, della tua intelligenza superiore alla media e del tuo intuito!"

Come sempre mi il benvenuto cercando di blandirmi.
Probabilmente per evitare di rendere ancora più nero il mio umore già perennemente sul confine del baratro.
E non ci riesce.
Non ci riesce mai.
Perché sono stufo di questo studio pieno di oggetti inutili, e di nuove teorie una volta più inverosimili.
Gli rivolgo il mio sguardo nero e quasi privo di vita.
Lo stesso di cui, nonostante tutto, Albus si è sempre fidato.
Anche se non so bene il perché.
Forse sa di avermi chiesto l'impossibile.
Sa di avermi schiacciato in un'esistenza ingiusta.
Di avermi costretto a macchiarmi di colpe che non sono mai più riuscito a dimenticare.
Sono sicuro che ogni tanto ha anche pensato che non avrei retto.
Che sarei rimasto ucciso in una delle
missioni assurde che mi ha affibbiato.
O che mi sarei tolto la vita io stesso, affogato dal disgusto per l'uomo che sono diventato.
Ma evidentemente sono riuscito a sorprenderlo ogni volta, tornando puntualmente alle prime luci dell'alba, dopo notti piene di tormento.
E malgrado io mi sforzi di odiarlo per tutto questo, continuo a non riuscirci.
Forse per un senso di giustizia troppo sedimentato.
Lo stesso che vorrei mandare a farsi fottere più di una volta, senza mai riuscirci.
La giustizia intesa semplicemente come rifiuto del male.
E io di male ne ho fatto tanto.
E ne ho visto fare ancora di più.
E probabilmente sto pagando per questo.
In fin dei conti è giusto che io paghi per questo.
In ogni mio giorno al cospetto del male. Costretto ad affrontare cose che mi stanno logorando, nel corpo e nell'anima.
Nemmeno troppo lentamente.

-    "Mi hai fatto chiamare, preside?"

Cerco di riportare la mia mente in questa stanza importunata dalla luce lanosa della luna.
La mia voce è un sibilo velenoso, si intrufola tra le pietre, soffoca melliflua ogni cosa intorno.
E sa togliere il calore dall'anima.
Ma Albus sa cosa nasconde la mia maschera.
Sa cosa c'è sotto.
E non cerca più di strapparmela, nemmeno quando siamo soli.
Forse ha capito che questo personaggio gelato è diventato una corazza.
La mia corazza.
Per poter continuare a sopravvivere.
Maledetto vecchio pazzo!

-    "Ho bisogno di un tuo parere, Severus."

Me lo dice senza spostare lo sguardo dalle mie iridi prive di vita.

-    "Dovresti prendere questa profezia, portarla con te. Leggerla, interpretarla. Dirmi cosa ne pensi..."

Per la prima volta sento la sua voce troppo stanca.
Troppo vecchia.

-    "Non l'hai mai affidata a nessuno, Albus. Cosa è cambiato adesso?"

Glielo chiedo perché non sono uno stupido.
Ed è giusto che lui continui a tenerlo ben impresso nella sua mente troppo fervida.
Perché io so che sta morendo.
E forse dovrebbe ammetterlo anche lui.
Così come dovrebbe ammettere che la maledizione lo sta rendendo di giorno in giorno meno lucido.
Lo sta divorando.
E questo è pericoloso.
Perché questa situazione è già abbastanza critica così, senza il bisogno di uno dei maghi più potenti del mondo che comincia a perdere colpi.
E che si ostina a fare di testa sua.
Vorrei solo che accettasse quelle dannate pozioni che continuo a propinargli.
Perché deve rendersi conto di non essere eterno.
Ma anche di essere ancora indispensabile.
E quegli intrugli maleodoranti potrebbero aiutarlo.
Lo sa anche lui.
Anche se ovviamente non vuole ammetterlo.

Mi guarda con i suoi occhi azzurri.
Ha capito.
Mi rivolge un sorriso paterno.
A me e all'ombra scura che mi portò appiccicata addosso.

-    "Accetterò le tue pozioni, Severus. Ma adesso voglio che tu legga questa.
Non ci sarò per sempre, ragazzo mio.
Io e te lo sappiamo.
E tutto questo toccherà a te.
Ti sto solo chiedendo di portarti avanti con i lavori."

Dannato vecchio pazzo!
Possibile che riesca a trovare dell'ironia in tutto?
Riesce a trovarla persino in me.
E il che è tutto dire.

-    "Farò come vuoi. Dammi la pergamena. Comincerò a studiarla questa sera."

Glielo sputo in faccia velocemente, come sempre.
Faccio per voltarmi, cercando una via di fuga verso i miei agognati sotterranei, senza concedergli il lusso di ottenere la minima soddisfazione.
Di colpirmi con la sua ilarità malsana e anacronistica.

-    "Aspetta Severus. Prendi anche la mia trascrizione delle parole di Sibilla... e la pergamena elfica citata dalla profezia.
Confrontale!
Trova i nessi.
Trova i significati nascosti.
Trova quel dannato simbolo!
Traduci quella stramaledetta scrittura.
Non abbiamo più tempo!"

Faccio un passo verso il centro della stanza.
Afferro il piccolo quaderno che il preside mi porge.
Lo infilo insieme alla pergamena in una tasca del mantello.
Poi soppeso tra le dita la carta lisa dell'antichissimo testo elfico.
Lascio che il mio sguardo vaghi per un istante sui simboli incomprensibili, solcati da un'eleganza sottile.
Lo arrotolo con cautela.
Lo faccio sparire in un altro anfratto nascosto.
Prima di voltarmi, superare la piccola porta di legno e sparire nell'oscurità delle scale.
Verso il mio mondo umido.
Popolato di fantasmi.
Di incubi.
E illuminato dallo sguardo limpido di una ragazzina.

Nota dell'autrice: in questo capitolo ho cominciato a piegare leggermente gli avvenimenti a mio vantaggio.
Ho cominciato a concedermi qualche licenza sulla linea del tempo.
Piccoli mutamenti che continueranno durante la storia.
Ci tenevo solamente a specificarlo.
Come sempre ringrazio tutti voi che continuate a seguire la mia storia con interesse, regalandomi una gioia immensa.
Alla prossima puntata...

Storia di un amore e di un segretoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora