11 - l'assistente

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Hogwarts
Dormitorio femminile di Grifondoro
14 novembre 1996, ore 3,25 A.M.

La stanza gira convulsamente.
Fatico a metterla a fuoco.
Le pietre dei sotterranei mi si stringono intorno al corpo.
Mi sento soffocare.
Nubi di polvere si alzano dalle enormi librerie, vorticando su ogni cosa.
Il grande volume che ho appoggiato sulla scrivania è completamente celato al mio sguardo.
Non riesco a vedere, a leggere.
Il pulviscolo mi si infiltra sotto le palpebre.
Nella bocca.
I miei occhi lacrimano per lo sforzo.
Mentre tento invano di scorgere almeno qualche parola di questo dannato libro.
Che diventa sempre più grosso.
Sempre più pesante.
La sua voce in lontananza mi dice cose che non riesco a capire.
Nelle orecchie avverto un ronzio. Prolungato, acuto.
Che annienta ogni altro rumore intorno.
Devo finire le pozioni.
Devo leggere.
E portare gli ingredienti a Severus.
Ma non ci riesco.
E lui si infurierà.
Mi sbatterà fuori.
Ponendo fine per sempre a questa assurda situazione.
A questa magnifica situazione.
Nella quale vivo da settimane.
Di colpo sento la scapola bruciare.
Come se qualcuno l'avesse ustionata.
Mi sento scuotere violentemente.
Mi giro con lentezza.
Pronta ad affrontare il suo sguardo pieno di rabbia che mi intima di andarmene e di non tornare mai più.
Tengo gli occhi chiusi per un attimo.
Ho paura di aprirli.
Temo il suo sguardo come si teme l'arrivo di un pugno sullo zigomo.
Li apro di scatto.

- "Hermione... Hermione calmati!"

Ginny mi sta in piedi davanti.
Con il suo pigiama grigio coperto di nuvolette bianche e l'enorme G cucita sul petto da Molly.
Mi scruta con quei suoi grandi occhi castani velati di preoccupazione.
Mi tiro a sedere sul letto.
Sono tutta sudata.
Ma ho freddo, un freddo profondo, che mi si ripercuote fin dentro alle viscere.

- "Scusa Herm, ma farfugliavi cose strane. Ti contorcevi nel letto.
Ho pensato che avessi un incubo, così ti ho svegliata."

Resto ferma un istante.
Un incubo.
È solo un incubo.
Mi porto una mano alla fronte, lasciandomi scappare un sorriso.

- "Grazie Ginny! Si, era un incubo..."

La mia amica dai capelli rossi si siede sul copriletto al mio fianco.
Incrocia le mani sulle ginocchia, con lo sguardo particolarmente concentrato su ogni movimento delle dita.

- "Hermione, scusami se te lo dico. Di solito mi faccio gli affari miei e lascio agli altri la libertà di decidere della loro vita...
Ma forse questo lavoro con Piton ti sta mettendo alla prova un po' troppo."

La guardo negli occhi, quegli occhi intelligenti e limpidi che hanno trovato a stento il coraggio di abbandonarle le mani.

- "Parlavo di lui?"

Lo chiedo quasi con timore.
Ginny annuisce in silenzio.
Poi continua.

- "Farfugliavi qualcosa sugli ingredienti che non riuscivi a leggere.
Dicevi che ti avrebbe cacciata."

Mi lascio cadere sul cuscino ancora intriso del mio sudore.
Abbandono il mio sguardo a vagare per un istante sulle tende color porpora del baldacchino.

- "Sì, lavorare con lui non è facile!
Però, per la prima volta, sento di fare qualcosa che davvero mi interessa.
Voglio continuare.
Voglio imparare tutto quello che può insegnarmi.
So che Harry e Ron non capiscono.
Ma è quello che voglio fare, Ginny!"

Le lancio uno sguardo d'intesa, superando i miei ricci scompigliati che si ostinano a non arrendersi alla forza di gravità.
Ginny non parla, accenna un gesto del capo.
Poi sparisce sotto l'ingorgo delle sue coperte, nel letto proprio accanto al mio.

Sono tre settimane che rientro nei dormitori quando ormai è notte.
Tre settimane che passo ogni sera nei sotterranei, a preparare pozioni accanto a Severus Piton.
Tre settimane che osservo ogni suo movimento, intriso di un'eleganza che sa farmi tremare il respiro.
Lo guardo attentamente sminuzzare ingredienti, tradurre vecchie formule, rimestare nei calderoni con la grazia degna di una ballerina classica.
Sono tre settimane che sopporto in silenzio le sue frasi taglienti, la sua voce gelata, il suo sarcasmo pungente e gli accenti di fastidio che solcano il suo volto ogni volta che incrocia il mio sguardo.
All'inizio è stato un incubo.
Mi sentivo una stupida incapace.
Qualsiasi cosa lui mi chiedesse, io non sapevo rispondere.
Vagavo per il laboratorio credendomi un'imbecille.
E più i giorni andavano avanti, più la certezza che di lì a poco mi avrebbe cacciata in malo modo si faceva più insistente.
Poi, improvvisamente, tutto è cambiato.
Dapprima mi ha fatto rimestare una pozione al suo posto.
Dandomi indicazioni precise.
Ogni tanto mi osservava di soppiatto con gli occhi glaciali che facevano capolino dalle pagine di una pergamena.
Ho seguito il compito con tutta l'attenzione possibile.
Esattamente nel modo che mi era stato detto.
E lui non mi ha mai fermata.
Mai rimproverata.
Si è limitato a guardarmi.
A fine serata ha preso la pozione.
Senza dire una parola.
L'ha versata in un'ampolla, l'ha tappata, ci ha scritto sopra il nome e l'ha inserita nello scaffale delle sue scorte personali.
Quella sera mi sono sentita in paradiso.
Poi i giorni sono passati, e dal rimestare pozioni sono passata dapprima a sminuzzare gli ingredienti che lui mi forniva, poi a leggere le formule io stessa, a prendere autonomamente il necessario dalla sua dispensa privata e a portarglielo sul piano di lavoro.
Alla fine della seconda settimana mi sono trovata a lavorare con lui, fianco a fianco.
Due calderoni, due pozioni diverse che ribollivano stancamente sul fuoco, due progetti indipendenti da portare a termine contemporaneamente.
E alla fine, senza nemmeno controllare con disgusto il liquido verdastro frutto delle mie tre ore di lavoro, aveva etichettato e archiviato la pozione creata interamente da me.
Quella sera mi è mancato il fiato.
Quando lui mi ha detto semplicemente un "a domani" sussurrato di fretta.
Senza più specificare l'orario, la necessità della puntualità e l'eterna raccomandazione di non farlo pentire di avermi dato questa possibilità.
Senza nemmeno rendermene conto sono diventata la sua assistente.
Qualcuno di cui lui, in un modo tutto suo di dimostrarlo, fondamentalmente si fida.
E finalmente mi sento in pace con me stessa.
Sto facendo qualcosa di importante.
Abbiamo creato insieme antiche pozioni cicatrizzanti, sconosciute pozioni per rimpolpare l'aura magica compromessa, e pozioni dimenticate che aiutano a non provare dolore.
E più creiamo pozioni, più mi rendo conto di qual è la realtà.
Le sue essenze improvvise, quando apro la porta e trovo il laboratorio vuoto.
E mi scopro sola, in compagnia di un biglietto, solcato dalla sua grafia elegante, che recita sempre la stessa frase.

Ho avuto un imprevisto. Questa sera non potrò lavorare. Ci vediamo domani.
S.P.

E, come al solito, ho messo insieme i pezzi.
È quello che faccio da tutta la vita.
Ho collegato le immancabili occhiaie delle mattine successive alle sue assenze, con la preparazione per non sentire dolore.
Ho collegato quelle stesse assenze con la bottiglia di whisky incendiario che trovo ridotta della metà.
E ho capito.
Severus Piton nasconde un segreto terribile.
E temo di sapere qual è.
Lo immagino in una fortezza lontana, al cospetto del male.
Lo vedo costretto ad osservare impotente l'orrore.
Lo vedo nei panni della spia, con il viso celato dalla maschera argentea dei mangiamorte.
E mi sento straziare l'anima nel saperlo in pericolo.
Perché non può essere uno di loro.
Un uomo con la sua cultura, la sua intelligenza, il suo fascino nascosto, non può essere malvagio.
Non riesco nemmeno a pensarlo.
Perché, assurdamente, quell'uomo cinico, scorbutico e viscido, quel mago ostile e sfuggente, quegli occhi di ghiaccio nero e quella voce gelata, alla fine, sono riusciti a farmi innamorare.

Storia di un amore e di un segretoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora