28 - il principe mezzo sangue

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Hogwarts
Sala grande
2 dicembre 1996, ore 13,30 P.M.

Sento un ultimo rivolo di sangue colarmi sulla mano.
Ho il terrore che non sia mio.
Che appartenga a qualcuno a cui non ho consentito di vedere una nuova alba.
E mi faccio schifo.
Ancora una volta.
È quasi pomeriggio.
Varco la soglia di un castello che prova invano ad infondermi un minimo di tranquillità.
E ti immagino in preda al terrore.
Quello stesso terrore che hai cercato di nascondermi ieri sera, quando ho dovuto assecondare il bruciore sul mio braccio.
E la mia eterna condanna.
Supero il portone di noce della sala grande.
So di trovarti qui.
In mezzo alla gente.
Per provare a sfuggire ad una solitudine massacrante.
Ho bisogno di farti vedere che, ancora una volta, il male non è riuscito a farmi soccombere.
Così come non ci sono riuscito io.
Che ho portato a casa i brandelli di un cuore che hai fatto tornare a battere.
Dopo tanto tempo.
Senza una ragione facilmente spiegabile.
Lascio vagare lo sguardo su una massa di gioventù, intenta con tutte le sue forze a non accorgersi di nulla.
Ti vedo subito.
Perché non potrei non farlo.
Perché i miei occhi sono abituati all'orrore.
E tu brilli di una luce accecante.
Sei in piedi.
Davanti ad Albus.
Le mani strette in due pugni che provano a regalarti un minimo di coraggio.
E io so cosa stai facendo.
Gli stai chiedendo di darti una speranza.
Di raccontarti la storia del mio ritorno.
Quello che solo lui ha potuto guardare ogni volta.
Malgrado i pronostici mi abbiano sempre visto come perdente indiscusso.
Osservo i suoi occhi liquidi trafiggerti lo sguardo.
Poi li osservo spostarsi nel mio.
Sorride.
E tu sciogli le mani.
La tua schiena si rilassa.
Si abbandona ad una felicità che pensavi perduta.
Ti volti.
Fai saettare il tuo sguardo limpido nel mio.
Che di limpido invece non ha più niente.
Resti immobile un istante.
Socchiudi le labbra.
Come se volessi convincerti che sono reale.
Qui, in piedi davanti a te.
E non una delle mille visioni che hai avuto in questa tua prima notte d'inferno.
Sorridi.
Fai un passo.
Abbassi la testa.
Ti porti una mano alla bocca.
Cerchi di trattenere una risata.
Non ci riesci.
E allora ridi.
Ti prendi la testa con le mani.
Ti porti i capelli dietro alle orecchie.
E corri.
Verso di me.
Anche se sai che non potresti farlo.
Che una scuola inconsapevole ti guarda.
Che poi guarda me.
E forse capisce.
E non ti imposta.
Mi raggiungi.
Ti fermi ad un passo dal mio corpo.
Dal mio mantello immobile.
Su cui un nero eterno nasconde le ultime macchie di sangue innocente.
Mi guardi.
Ti tormenti le mani per un istante.
I tuoi occhi mi implorano.
Mi superi.
Vuoi che ti segua.
E io lo faccio.
Abbandonando la sala grande ad uno stupore camuffato a stento.
Raggiungi le scale.
Sali un gradino.
Poi ti fermi.
Scendi di nuovo.
Mi guardi.
Ancora.
Vedo una tua mano saettare nell'aria.
Mi colpisci la guancia.
Con una forza intrisa di paura.
Un rumore secco invade le arcate di un corridoio deserto.
Resto fermo.
La mia pelle brucia.
E i tuoi occhi sono pieni di lacrime.
Sollevi la mano.
Un'altra volta.
Fai per colpirmi ancora.
Ti blocco.
Ti afferro il polso.
Osservo la paura abbandonare lentamente il tuo sguardo.
Quella che ha deturpato la tua anima vergine, in una notte che non potrai dimenticare.
Ti prendo le guance tra le dita.
Le stringo.
E ti bacio.
Lo faccio fuori dal nostro nascondiglio sepolto nelle tenebre.
In balia di un mondo che potrebbe girare l'angolo.
E scoprirci così.
E non me ne importa niente.
Tu piangi.
Tra le mie braccia ancora sporche di un sangue reso invisibile dall'ombra che mi porto addosso.
Singhiozzi.
Lasciando scivolare via il terrore.
Mischiando le tue lacrime all'orrore ancora intriso sulla mia casacca nera.
E io ti accarezzo i capelli.
Perché non sono capace di consolarti.
Se non con la mia presenza immobile.
Perdonami Hermione.
Per non essere capace di un calore che possa farti dimenticare la paura.
E per restare fermo.
Senza sapere cosa fare.
Perché non ho mai dovuto farlo.
Ho sempre dovuto fingermi un uomo senz'anima.
E probabilmente è tutto ciò che ormai sono capace di fare.
Perché stento a trovarla, una maledetta anima.
Dopo questa notte, ancora un po' di più.
E allora ti prendo la mano.
Senza parlare.
Perché non sono mai stato bravo in questo.
Come d'altronde non sono mai stato bravo in tutto il resto.
E non so relazionarmi con il terrore.
Se non per infliggerne ancora.
Ti trascino verso il nostro rifugio.
Dove forse riuscirò a concedermi qualcosa in più di una muta carezza.
Superiamo le scale.
Tu resti in silenzio.
Con i denti a martoriarti le unghie.
Raggiungiamo la porta della mia aula sepolta nel buio.
La superiamo.
Poi quella del mio studio.
Superiamo anche quella.
Ci addentriamo in una stanza che porta impresso il tuo sgomento.
Miriadi di schegge di vetro, taglienti come lame, invadono il pavimento di pietra.
Il mio mantello giace immobile sul bracciolo della poltrona di pelle logora.
Mi guardi con gli occhi stanchi.
Due occhi in cui una battaglia tra una felicità inconfessabile e una richiesta di scuse si sta consumando lentamente.
Io ti accarezzo la guancia.
Ti prendo tra le braccia.
Ti stringo fino quasi a farti male.
Un ultimo tremore sordo abbandona il tuo corpo.
Ti allontani.
Mi sorridi.
Mi passi una mano tra i capelli.
Mi baci le labbra.
E io lascio che la tua dolcezza cancelli il mio disgusto.
La mia impotenza.
E forse anche parte della mia colpa.
Mi concedo il perdono di un attimo, per provare a difenderti dalla mia vita satura di ingiustizie.
La tua bocca è calda.
Morbida.
E sicura.
Così diametralmente opposta a tutto ciò che mi sono lasciato alle spalle.
Poco meno di un'ora fa.
È un bacio lungo.
Lento.
E silenzioso.
E io ti ringrazio per questo.
Perché non saprei cosa dire.
Che parole usare per provare a scusarmi per l'uomo che sono.
E per averti concesso di amarmi.

Ti allontani dopo un tempo che vorrei imprigionare tra le dita.
Per non lasciarlo scorrere.
Per immortalarci così.
Pieni di una gioia senza parole, rinata da una notte di morte.
Mi sorridi.
Mi accarezzi la guancia.
Ancora.
E nei tuoi occhi vedo nascere una scintilla di vittoria.
Non capisco.
Stringo le palpebre.
Ti studio.
Tu ridi.
Poi la tua voce spezzata si infrange sulle pietre della stanza.

-    "Ben tornato, mio principe mezzo sangue!"

Storia di un amore e di un segretoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora