4 - il mio incubo

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Castello di Hogwarts
Studio privato di Severus Piton
15 ottobre 1996, ore 4,45 A.M.

Il marchio continua a pulsare.
A bruciare sotto la mia pelle diafana.
Me ne sto abbandonato sulla poltrona, con il fuoco del camino quasi spento e un bicchiere di whisky incendiario stretto tra le mani.
Sono appena rientrato dal mio ennesimo incubo, consumato in una fortezza lontana.
L'odore del sangue continua ad invadermi le narici.
A contorcermi lo stomaco in preda alla nausea.
È ricominciato tutto, così come è finito diciassette anni fa.
Quando un ragazzino impotente, protetto da una magia antica, ha messo fine all'esistenza terrena di un mostro assassino.
Quando Lily, la mia Lily, si è frapposta tra lui e il male, garantendogli uno scudo che nessuna magia avrebbe potuto scalfire.
E così, in una notte soffocata da un marchio macabro che pulsava nel cielo, è nata la leggenda del ragazzo sopravvissuto.
Una finta profezia si è rafforzata e ha affogato il mondo nell'inganno.
Silente ha esultato quella notte.
Perché il male era stato sconfitto.
Perché il fumo che aveva gettato negli occhi del mondo si era rafforzato.
Forse ha anche versato qualche lacrima per Lily e James, forse nemmeno quella.
Non potrò mai saperlo.
So solo che lei è morta.
E che con lei sono morti anche il mio amore, la mia vita e la mia anima.
So solo che, dopo undici anni passati nascosto in un sotterraneo, mi sono ritrovato a fare da balia ad un ragazzino che porta stampato negli occhi lo sguardo di un amore perduto ed incisa sul volto l'aria di sfida della mia puerile sconfitta.
Quella assestatami alle spalle, da un rivale che adesso giace in una tomba accanto alla donna che, stupidamente, continuo ad impormi di amare.
Sì, perché forse è l'unica cosa che si ostina a tenermi vivo.
A farmi andare avanti.
Cercando una vendetta futile, assurda e meschina. Verso il male nella sua forma più pura.
Incarnato in due occhi rossi di serpente che lampeggiano nelle tenebre.
Bevo un lungo sorso di Whisky.
Lascio cadere la testa all'indietro, sullo schienale della poltrona.
L'alcol mi anestetizza la bocca per un attimo.
Poi tutto torna come prima.
Nella sua inutilità immobile.
Ho dovuto uccidere un uomo questa sera, solo poche ore fa.
Un babbano.
Non conosco il suo nome.
Ne tanto meno so perché si sia meritato quella assurda sentenza di morte.
So solo, come sempre, che la mia copertura non poteva saltare.
E allora l'ho ucciso di fretta.
Prima che i miei compagni potessero allungargli le dita addosso.
Prima che potessero torturarlo fino alla pazzia.
Per poi ucciderlo lentamente.
Molto lentamente.
In quel gioco crudele che fa vibrare di eccitazione le loro mani sudice.
E a me rimane la magra consolazione di essere riuscito a fargli credere l'impossibile.
A fargli credere di avere una via di salvezza.
Mentre i miei finti amici ridevano, nascosti dalle loro maschere argentate.
E macchiate di sangue.
Mentre mi schernivano, dicendomi di non saper resistere.
Come fanno da sempre.
Accusandomi di voler vedere gli occhi delle mie vittime abbandonarsi alla morte.
Senza sapere aspettare.
Quando mi scaglio in prima linea, con la bacchetta sguainata ed un incantesimo pronto a saettare fuori.
Implacabile.
E misericordioso.
Come faccio da che ricordo.
Donando una morte rapida e senza troppo dolore. Nell'unico modo che mi è concesso per provare pietà.
Per provare a conservare qualche parvenza di un essere umano.
Lo stesso che stento a trovare sotto il mantello putrido del mangiamorte.
Chiudo gli occhi, mi abbandono ad un buio soffocante.
Stringo una mano sulla tempia, provando a scacciare dalla mente lo sguardo di quell'uomo impotente.
Di quell'uomo implorante.
Di quell'uomo la cui unica colpa era quella di essere nato con il sangue sbagliato a scorrergli nelle vene.
Li riapro di scatto.
I fantasmi non hanno alcuna intenzione di lasciarmi in pace.
Non lo fanno mai.
Non lo faranno mai.
Scaravento il bicchiere nelle ultime braci del camino.
Il vetro si infrange in miriadi di schegge taglienti. Accende il pavimento dei riflessi delle fiaccole che penzolano stancamente dalle pareti crepate.
Un piccolo incendio divampa intrappolato tra le pietre.
E io mi trovo a domandarmi cosa diavolo resti di me.
Se è davvero questa la giustizia.
Massacrare persone innocenti in nome di una causa superiore.
E non trovo la risposta.
Così, come non l'ho mai trovata.
Mi alzo dalla poltrona.
Prendo la bottiglia di whisky.
Ne bevo una lunga sorsata.
Forse l'alcol annebbierà per un attimo i ricordi.
Forse mi concederà un momento di pace.
Bevo ancora.
Un sorso più lungo.
Sento il liquore bruciare nella gola.
Scendere nello stomaco.
Bruciare anche quello.
Ingoio una nuova sorsata.
Una lunghissima sorsata.
Provando ad ingoiare anche il mio disgusto.
Chiudo gli occhi ancora una volta.
Mi appoggio con una mano alla cornice del camino.
La pietra gelida tormenta per un attimo la mia pelle sottile.
Un brivido mi scende nella schiena.
Importuna ogni vertebra.
Lambendomi le ossa.
E scaricando a terra una scossa che spero possa finalmente uccidermi.
E porre fine a tutto questo schifo.
In un recidivo tentativo di esprimere un desiderio che non verrà esaudito.
Come nessuno lo è stato mai.
Senza capire perché mi ostino a sperare ancora.
Improvvisamente uno sguardo nitido mi appare in mezzo all'oscurità.
Ma sono occhi diversi.
Non gli occhi di una delle mie vittime.
Non gli occhi verdi che mi mozzano il fiato e che fanno a brandelli da anni il poco che mi resta del cuore.
No, sono occhi vivi.
Troppo vivi.
Due enormi occhi color nocciola che mi fissano con aria di sfida, seminascosti sotto una cascata di ricci indisciplinati.
Sono gli occhi di una ragazzina che mi ha chiesto quello che a nessuno è mai importato.
L'unica cosa di me di cui poter andare ancora fiero. Per cui provare una pallida scintilla di orgoglio.
Il mio sapere.
La mia cultura quasi sconfinata. Prorompente. E del tutto inutile.
Mi ha chiesto di diventare il suo maestro.
Sono settimane che mi implora.
Alla fine di ogni lezione, nascosta negli angoli dei corridoi.
Che mi segue ovunque.
Con lo sguardo velato da quella bramosia di sapere che, tanti anni fa, ha ottenebrato i miei occhi. Portandomi sulla via del male.
All'inizio mi era sembrata snervante, insopportabile. Lei e la sua maledetta voglia di primeggiare. Di sapere sempre più degli altri.
Poi di colpo mi ci sono riconosciuto. Ho capito la sua dannata necessità.
E più tento di eludere le sue domande, più mi viene voglia di fornirle le risposte.
Perché il desiderio di sapere va nutrito, e va nutrito nel modo giusto.
Quella ragazza è testarda, coraggiosa e caparbia.
Troverà le risposte comunque. Che sia io a fornirgliele o meno.
Le cercherà ovunque, bramandole sempre di più.
Riconosco così tanto di me stesso in quella stupida ragazzina.
Più intelligente degli altri, più ambiziosa degli altri, più taciturna degli altri.
E nascosta da una maschera.
Oh sì!
Perché io riconosco una maschera quando ne vedo una.
Conosco gli occhi di chi è costretto ad indossarla.
Hanno dentro una luce diversa. Una luce pericolosa e affascinate.
Ed Hermione Granger ha quella luce nello sguardo. Potente, accecante. E insidiosa.
La testa comincia a farmi male.
Dannazione!
Sento l'alcol mischiarsi al sangue nelle vene.
La testa mi gira per un attimo.
Mi appoggio al tavolo.
Cercando di mantenere l'equilibrio.
L'immagine della Granger continua a martellarmi le tempie.
Insopportabile, dannatissima Grifondoro!
Sento uno stupido senso di colpa risalirmi dalle viscere.
Come se non bastassero quelli che già mi tormentano le notti. E i giorni.
Maledizione!
Mi detesto. Perché so già cosa farò domani.
Mi lascerò assuefare da quella sua curiosità urticante.
E alla fine le darò una possibilità.
Se qualcuno lo avesse fatto con me tanti anni fa, a quest'ora, la mia vita avrebbe potuto essere diversa.
E quella ragazzina si trova sul limitare di una scelta pericolosa.
Andrà a cercare la conoscenza là dove potrà trovarla.
All'inizio proverà ad opporsi a quel fascino perverso. Si ribellerà con le tracce di una giustizia di comodo che qualcuno le ha inculcato con noncuranza.
E poi, alla fine, cederà.
Ed è troppo pericoloso.
Perché è una strada sulla quale non è consentita la via del ritorno.
E io lo so.
E allora andrò a scoprire cosa nasconde sotto la maschera.
Quella della studentessa modello, dell'amica fedele e della ragazzina timida.
No, Hermione Granger non è una ragazzina timida.
È un donna che ha dentro molto di più.
E io voglio sapere cos'è.

Storia di un amore e di un segretoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora