12 - Severus

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Hogwarts
Laboratorio privato di Severus Piton
16 novembre 1996, ore 9,30 P.M.

Nel laboratorio regna un ordine quasi maniacale.
Malgrado le quattro pozioni sul fuoco, i sette libri aperti e la marea di pergamene sulle quali prendo continuamente appunti, tutto sembra assolutamente perfetto.
Ed è merito suo.
Di questa ragazzina che si è intrufolata in punta di piedi nella mia solitudine.
Che adesso costituisce parte integrante della mia vita.
Sì.
E c'è voluto tempo per ammetterlo a me stesso.
Per riuscire anche solo a formulare il pensiero nella mia mente.
Ma averla accanto mi rasserena.
Mi fa sentire stranamente vivo.
Anche se non so spiegarmelo.
La fastidiosa so-tutto-io Grifondoro, nascosta nelle tenebre del mago di ghiaccio.
Ed è assurdo.
Assurdo in un modo sublime.
Amo il modo in cui tiene puliti i nostri piani di lavoro, sempre pronta, con una spugna in mano, a rendere impeccabile ogni superficie che abbia affrontato anche solo la più piccola battaglia.
Amo il suo modo di lavorare in silenzio.
Di osservarmi cercando di carpire i segreti nascosti nelle mie mani.
E, assurdamente, amo anche il suono della sua voce.
Sempre sussurrata.
Sempre rispettosa.
Sempre attenta a non urtare la mia pazienza perennemente in bilico.
All'inizio ho provato a metterla in difficoltà.
Le ho scaricato addosso la parte peggiore di me, sforzandomi di essere riprovevole.
Di essere il più fastidioso possibile.
Di far galleggiare in questa stanza tutta la mia cattiveria e il mio sarcasmo viscido.
E lei, ancora una volta, è riuscita a sorprendermi.
Ha incassato i colpi con noncuranza.
Con il sorriso sulle labbra.
Ha sopportato i miei attacchi con gli occhi sempre colmi di entusiasmo.
Per il lavoro, per il sapere e per la conoscenza che le sto regalando a suon di schiaffi emotivi.
Non si è arresa, mai.
E allora, alla fine, l'ho fatto io.
Ho cominciato ad affidarle compiti via via più difficili.
E lei non mi ha deluso.
Nemmeno una volta.
Porta a termine il suo lavoro, in silenzio.
Ripulisce il laboratorio, saluta educatamente, e va via.
Con il tempo mi sono ritrovato ad aspettare con entusiasmo l'arrivo della sera.
Ad attendere il suo arrivo, il suo ingresso nei sotterranei con i suoi jeans strappati e i suoi maglioncini discutibili.
Mi sono ritrovato pervaso da un'assurda felicità quando sta al mio fianco.
E mi sono ritrovato padrone di una nuova voglia di vivere.
Lei non fa domande.
Non mi chiede il perché di questo nuovo ruolo che le è stato affidato senza alcun permesso.
Forse perché le piace.
O forse perché ha capito che il lavoro pratico è in grado di insegnare più di un qualsiasi libro di testo, più di infinite ore di studio.
Non lo so.
So solo che le pozioni della mia scorta privata aumentano ad un ritmo vertiginoso.
Che Albus, finalmente convintosi a prendere gli intrugli che sto tentando di propinargli da mesi, può contare su una buona dose di boccette già pronte, e che io stesso non devo più preoccuparmi di dover subire una cruciatus dal mio folle, falso padrone, senza aver abbastanza pozione per riuscire ad attutire il dolore.
Ogni tanto la vedo scrutarmi con gli occhi invasi da una domanda scomoda.
La vedo torturarsi le mani, per poi desistere.
Non mi ha mai chiesto nulla.
Ha lavorato e basta.
E per questo la ringrazio in silenzio, ogni sera.
Perché non sarei capace di spiegarle a cosa serve tutto questo.
Non avrei la forza di reggere la delusione nel suo sguardo se le dicessi che, durante quelle assenze improvvise dai nostri appuntamenti, io mi ritrovo impotente, ad uccidere uomini che non hanno fatto nulla di male.
Per la prima volta in vita mia, l'idea di deludere qualcuno mi distrugge.
L'idea di poter deludere lei mi fa sentire uno schifo.
Lei che, come nessuno ha mai fatto, mi guarda con un misto di ammirazione e rispetto.
E questo mi piace più di quanto io sia disposto a dire a voce alta.
Così come mi piace lei.
Tanto da faticare ad ammetterlo.
Tanto da averne quasi paura.

E adesso mi ritrovo qui, ancora una volta, ad osservarla di nascosto mentre, con la manica della camicia, si asciuga il sudore sulla fronte, rimestando l'ennesima pozione in un calderone ammaccato.
Ansimando sull'ennesimo intruglio fumante.
Questa sera ho voluto rischiare.
Le ho affidato per intero la preparazione della pozione di Albus.
È un procedimento difficilissimo, minuzioso, che riserva una buona dose di tranelli difficilmente aggirabili.
E mi sono ripromesso di non sbottare con la mia solita ferocia, nel momento in cui tutto il liquido si riverserà sul pavimento.
Quando probabilmente commetterà un impercettibile errore.
Ma lei, come sempre, mi sta stupendo.
Si sta superando.
È quasi arrivata alla fine.
Con il viso concentrato, gli occhi socchiusi e l'attenzione alle stelle.

Di colpo alza lo sguardo.
Mi sorprende ad osservarla.
E io mi sento avvampare.
Perché sono un cretino.

- "Mi sembra di aver finito, professor Piton..."

Lo sussurra piano, con gli occhi colmi di orgoglio.
E io abbandono questo calderone che continua a ribollire stancamente, appollaiato sul mio tavolo.
Mi dirigo verso di lei.
Che continua a guardarmi.
Fottendosene del mio imbarazzo ben nascosto.
Fottendosene di tutto.
Con un misto di eccitazione e fierezza.
Sbircio all'interno del grosso pentolone di peltro, tiranno silenzioso dei suoi ultimi sforzi.
E non mi stupisco più davanti ad una pozione praticamente perfetta.
Prendo il mestolo tra le dita per un attimo.
Per dare un senso alla mia vicinanza così inutile.
Lo rigiro stancamente nel liquido color ocra scuro.
Poi mi volto.
Torno al mio posto.
E non dico una parola.
Perché non saprei cosa dire.
E perché mi sento un idiota.
Tramortito dallo sguardo di una ragazzina che fino ad una manciata di giorni fa definivo fastidiosa.
Insopportabile.
E che adesso non so come definire.
Che ho paura di definire.

- "Va bene, professore?"

La sua voce tradisce un fremito di insicurezza, adesso.
Ed io resto immobile, con gli occhi incollati alla libreria.
Incapace di voltarmi a guardarla.
Incapace di muovere un muscolo.
Sento un sospiro sfuggirle dalle labbra.

- "Professore...?"

La avverto fare un passo verso di me.
Sento il calore del suo corpo avvicinarsi alla mia schiena.

- "Professore... mi scusi! Pensavo di averla fatta bene."

Mi volto.
La guardo dritta negli occhi per un istante.
Lei sempre immobile, ad attendere una mia qualsiasi sentenza.
Io sempre tramortito dalla sua semplice presenza.
Poi, improvvisamente, la vedo girarsi di scatto, dirigersi a passo svelto verso il calderone.
Toglierlo dal fuoco e prenderne uno nuovo.

- "Nessun problema professore, ricomincio da capo. Farò più attenzione. Forse ho capito il passaggio che ho fatto male.
Non sbaglierò una seconda volta professor Piton..."

Riapre il libro alla prima pagina e fa per ricominciare.

- "Posso, professore?"

E io sono ancora immobile.
Incapace di contrastare la sua follia.
Continuo ad osservarla.
Un tempo mi sarei divertito a vederla annaspare così.
A vederla in preda alla paura.
Ma adesso no.
Adesso osservo con interesse il suo orgoglio farsi strada a gomitate tra l'insicurezza.
Osservo la sua ricerca delle perfezione ammiccare al mio interesse.

Lei resta ferma.
Aspetta che un mio gesto le indichi cosa fare.
Faccio un passo in avanti.
Le mie gambe si muovono da sole.

- "Professore, mi dispiace!"

Fa per voltarsi verso la dispensa.
Per correre a procacciarsi altri ingredienti.
Per cominciare da capo una pozione già impeccabile.
Si arresta di colpo.
Si volta.
Mi guarda.

- "Professore... ne faccio un'altra?"

Io sempre zitto.
Lei sempre immobile.
Pronta a scattare al mio più piccolo cenno.
Il fiato le si accorcia.
Corruga la fronte.

- "Professore... cosa devo far..."

- "La pozione è perfetta, Hermione...
E smettila con tutti questi 'professore'!"

Mi riscuoto.
La interrompo.
La mia voce è sempre gelida.
Sempre tagliente.
Faccio una pausa.
La guardo dritta negli occhi.
Lei mi fissa.
Sembra sorpresa.
E un accenno di sorriso comincia ad incresparle le labbra.

- "Questa non è un aula.
È il mio laboratorio privato.
Non ci sono professori qui e, a quanto vedo, non ci sono più nemmeno studentesse incapaci..."

Che diavolo mi sta succedendo?
Cosa diavolo sto facendo?
Cerco i suoi occhi che continuano a saettare sul mio viso alla ricerca di una qualsiasi parvenza di ilarità.
E non riescono a trovarla.
Perché sono un cretino.
La guardo.
Resto fermo.
Il tempo sembra scorrere con una lentezza insopportabile.
Oh vaffanculo!
Alla maschera, alla finzione... e vaffanculo anche all'orgoglio.

- "Severus, qui dentro chiamami Severus!"

Storia di un amore e di un segretoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora