TRENTOTTO

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L'ospedale continuava il suo frenetico via vai passando loro intorno con noncuranza. Castle si era spostato in un punto della sala di attesa più riparato e lì era rimasto, in silenzio, con Kate seduta su di lui. Non capiva se avesse effettivamente bisogno di riposarsi fisicamente o emotivamente, ma qualunque cosa fosse, a lui andava bene. Erano molto più interessanti per quei poliziotti che ancora erano in ospedale. Immaginava i commenti, sentendo dal chiacchiericcio che più di una volta avevano pronunciato sia il suo nome che quello di Kate. Avrebbe voluto in qualche modo zittirli, ma fece finta di niente, sperando che lei non li avesse sentiti, a prescindere da cosa stessero dicendo di loro. Non gli piaceva in quel momento essere argomento di conversazione, non gli piaceva che loro lo fossero, soprattutto se si trattava di colleghi di Beckett e non era pronto per le frasi trasudanti di pietà per la sua situazione, ma a quelle non sarebbe stato pronto mai.

Lasciò che si calmasse, mentre lei gli accarezzava i capelli sulla nuca, un massaggio che evidentemente faceva rilassare anche lei, oltre che procurare a lui un senso di benessere che mitigava la sua persistente agitazione. Non riusciva a non pensare che poteva non andare tutto bene e questa paura che era sempre stata latente era esplosa e si era palesata quel giorno, facendogli rendere la sua situazione ancora più insopportabile. Lui voleva proteggerla, lui doveva proteggerla, solo che non era in grado di farlo e questo lo faceva sentire terribilmente inutile. E sapeva che il suo era razionalmente un discorso assurdo, perché era lei quella esperta tra i due, era lei il poliziotto, era addestrata per tutto quello. Però i suoi sentimenti andavano oltre ogni briciolo di raziocinio, e le sue carezze, il suo respiro che diventava sempre più lento e profondo, il battito del cuore che poteva sentire a contatto con il suo corpo, non lo aiutavano a ragionare in modo corretto. Avrebbe voluto correre. Prenderla in braccio e correre via, portarla da qualsiasi parte del mondo, lontana da tutto, dove sarebbero stati solo loro due, al sicuro, per sempre. Poi sapeva che lei l'avrebbe odiato, che Beckett, la Beckett che amava, non sarebbe mai stata felice in un'altra vita, che il suo posto era a New York a fare quel lavoro dove era la migliore e lui l'amava anche per questo. Ma in fondo al suo cuore, nessuno poteva impedirgli cosa voleva veramente. Metterla sotto una campana di vetro, proteggerla da tutto e da tutti, si vedeva un po' come la Bestia che proteggeva la sua rosa. Se Kate avesse potuto leggere i suoi pensieri l'avrebbe odiato in quel momento, ne era certo. Sapeva che lei non era qualcosa di così fragile ed indifeso, però in quel momento tutto quello che sapeva razionalmente non trovava spazio nella sua mente e nei suoi desideri.

- Sicura di stare bene? Non sarebbe meglio che resti qui, almeno questa sera... - Le chiese spostandole una ciocca di capelli dal viso, attento a non farle male e mentre la sfiorò pensò che sì, la stava trattando proprio come quella rosa, per fortuna lei non poteva saperlo.

- Sto bene. Voglio solo andare a casa, fare un bagno e poi stendermi sul letto, vicino a te. - Gli diede un bacio sulla guancia prima di alzarsi eludendo un blando tentativo di Castle di tenerla ancora lì. L'avrebbe portata lui all'auto, non si doveva preoccupare, a qualcosa almeno poteva servire. Avvertì, invece, la sensazione di leggerezza nel momento in cui Kate si alzò. Ne rimase turbato, perché non si aspettava quella reazione e non riuscì a nascondere la sua sorpresa, almeno non a Kate.

- Tu, invece, sei sicuro di stare bene? - Gli chiese una volta in piedi davanti a lui, mentre lo squadrava dall'alto in basso con un ritrovato sguardo indagatore.

- Sì, sto bene. Stavo solo ripensando... a prima... Non voglio perderti Kate. - Le mentì, dicendole comunque qualcosa di assolutamente vero. Non voleva caricarla di preoccupazioni, almeno non di quelle sulla sua salute. Qualcosa si sarebbe inventato per giustificare la sua visita del giorno dopo. Era pur sempre uno scrittore, gli sarebbe venuto in mente qualcosa di plausibile. Almeno lo sperava.

- Nemmeno io. - Era decisamente seria mentre gli stringeva una mano per sottolineare quella frase. Non aveva nessuna intenzione di perderlo, di lasciarlo.

Si avviarono verso l'uscita e quando l'ascensore arrivò al loro piano dalle porte uscì il dottor Clark, decisamente sorpreso di vedere lì Castle.

- Rick! Tutto bene? Cosa ci fai qui? - Chiese all'amico preoccupato. L'aveva visto solo quella mattina e stava bene, si erano dati appuntamento per il giorno dopo e non c'era motivo che fosse lì quel pomeriggio.

- Colpa mia. - Disse Kate rassicurando il dottore, che solo in quel momento notò le condizioni e le vistose fasciature di Beckett.

- La sparatoria al Waldorf Astoria? C'eri anche tu? - Domandò preoccupato.

- Sì. È andata bene. - Annuì mostrando il braccio ferito.

- Vi lascio andare a riposare. Ne avrete bisogno entrambi. - Li stava per salutare quando richiamò Castle - Rick mi raccomando, domani... è importante.

Rispose al medico facendo solo un cenno della testa. Era sicuro che John l'avesse detto di proposito, davanti a Kate ed in quel momento era certo di odiarlo.

Beckett fece finta di nulla, almeno fino a quando non furono in auto. Si sedette nel posto passeggero immediatamente, perché Castle era stato categorico, non aveva bisogno di aiuto, era lui che doveva portare a casa lei, quindi attese che completasse quelle manovre per entrare ed uscire che ormai eseguiva con una certa velocità, tempi tecnici permettendo.

- Cosa ti ha detto Clark oggi? - Gli chiese poco dopo lasciato il parcheggio dell'ospedale.

- Niente di che... - Provò a minimizzare.

- Castle... non sei bravo a mentire. Almeno non a me. - Lo ammonì con voce severa. Rick rimase qualche istante in silenzio, poi capì che continuare a fare finta di nulla con lei sarebbe stato inutile, non avrebbe resistito a lungo e dall'espressione che stava facendo era chiaro che non voleva abbandonare il discorso fino a quando lui non gli avesse detto tutto.

- Gli ho parlato della sensibilità almeno in parte ritrovata... per lui è un buon segnale. Dice che ci sono delle possibilità. Vuole farmi domani degli esami per capire se e come procedere.

- È fantastico! - Gli disse entusiasta poggiando una mano sulla sua gamba e subito Rick si voltò a guardarla, non capendo se perché l'aveva effettivamente sentita o se lo aveva solo immaginato vedendo il gesto.

- Non vuol dire ancora niente, Kate. - Cercò di smorzare l'entusiasmo, non voleva crearle false illusioni, così come non le voleva creare a se stesso.

- Vengo con te. - Non era una richiesta, quella di Beckett era un'affermazione, una di quelle che non ammettevano repliche, ma Castle provò a farlo ugualmente.

- Sarebbe meglio che tu stessi a casa a riposare. Dovresti fare solo quello, non stare in ospedale, seduta su una sedia scomoda per qualcosa che potrebbe essere solo un buco nell'acqua.

- Non ho chiesto se vuoi che ti accompagno, Castle. Ti ho detto che vengo con te.

- Hai la testa dura Kate... - Asserì sconsolato.

- Appunto, quindi la botta che ho preso non è nulla di importante che una buona dormita non possa guarire. - Non dissero più niente fino a quando non furono a casa.

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