29 *Basta. Vuoi essere la mia ragazza?*

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Nel momento in cui varco l'entrata arcuata della sala da pranzo vengo investita da un senso di inadeguatezza e di disagio allarmante.
Mi trovo davanti a un vano molto lussuoso con il pavimento in parquet e le pareti color panna con l'eccezione di una, la quale è interamente fatta di vetro, donandoci una stupenda visuale del giardino curato, colorato qua e là da fiori autunnali di diversi pigmenti come ciclamini, viole del pensiero e dalie.

Questo posto è diverso dai luoghi che frequento, forse un po' troppo.

Poi la mia attenzione viene catturata dal brilluccichio proveniente dal lampadario di cristallo che domina la sala. Sotto di essa si erge un tavolo in vetro da dodici posti, le cui estremità opposte sono apparecchiate da dei servizi che sembrano essere di porcellana.

Aspetta. Perché sono così lontane tra loro?

«C'è qualcosa che non va? Sei silenziosa.» domanda Josh al mio fianco facendomi ricordare della sua presenza.

Sì, proprio così, mi sono scordata per un secondo della sua esistenza. Da non credere.

«Credo ci sia stato un problema, perché le postazioni sono troppo lontane.» Mi limito ad affermare mentre inizio ad afferrare le posate all'estremità che dà le spalle al bellissimo giardino, per poi posarle di fianco all'altra estremità.

«In realtà quelle sono le solite postazioni...» sento il moro borbottare.

Non mi ha detto che non posso cambiarli, quindi ciò significa che posso continuare, o no?

«Mi mette una tristezza stare lontano un miglio dalle persone in tavola. Sono abituata ad averle di fianco o difronte.» dico mentre mi giro per guardare la sua reazione.

Lui si limita ad alzare gli occhi per poi fare un mezzo sorriso, quasi a darmi l'okay.

Ottimo. Mi volto verso la tavola. Ora posso continuare tranquillamente, solo che sorge un problema: ci sono troppe posate e io ovviamente non so in quale posizione si dovrebbero trovare.

Pensa Scarlett, pensa, l'avrai già visto nei film milioni di volte, basta solo ricordarsi.

«Ti serve una mano?» mi chiede Josh da dietro e riesco a scorgere il divertimento nella sua voce. Che ha da rallegrarsi? È una cosa seria.

«No, posso farlo da sola.» rispondo cocciutamente, anche se abbiamo capito entrambi che in realtà mi serve aiuto.

Sparo a caso mettendo il coltello e i tre cucchiai di diverse dimensioni al lato destro del piatto immaginario che devo ancora portare, mentre le tre forchette nel lato opposto. Poi mi porto le dita al mento e inizio ad accarezzare la barba lunga che non ho.

«Non so perché, ma mi sembra sbagliato...» ragiono a voce alta, mentre fisso le posate alla ricerca di un suggerimento dal signore.

«E ci credo, hai occupato quasi due posti allineando tutte le posate» mi prende in giro Josh.

Poi si avvicina a me da dietro. Allunga il braccio per afferrarmi le mani e guidare i miei movimenti

«Questi sono il cucchiaino e la forchetta del dessert, perciò vanno posizionati in alto, mentre qui...» inizia a spiegarmi a lato del volto.

In questo momento non riesco proprio a seguire la sua voce a causa del nostro contatto e della sua voce. So che non sta cercando di usare una voce sensuale, ma cavolo, è riuscito a fare sembrare sexy anche una lezione di galateo.

«Hai capito?» conclude svegliandomi.

«Eh?» domando.

«Eh?» chiede lui allontanandosi lentamente da me.

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