18.

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Smettila di cercare la
felicità nello stesso
posto in cui
l'hai persa.

Sto facendo avanti e indietro sul pianerottolo di casa sua.
Sono sincera, ho paura a entrare, scontrarmi con lui, soffrire ancor di più.
Vorrei tanto sapere cosa ha in serbo per me oggi.
Mi brontolerà per come mi vesto? Per il mio aspetto fisico? Per come ho bevuto il caffè oggi?
È esilarante.

Faccio un respiro profondo chiudendo gli occhi e dopo aver pregato tutti i santi, in un momento di stordimento, pigio il campanello di casa Brooks.
Stringo i denti appena sento dei passi avvicinarsi alla porta, ma non è Liam ad aprirmi.
Richard tentenna sulla soglia sorpreso nel vedermi.

«Ciao, come mai la tua visita?» chiede baldanzoso, per poi bere un sorso di birra dalla bottiglia che tiene nella mano destra. Sento una nota di speranza nella sua voce, ma non capisco il perché.

Sto per rispondere quando odo la sua voce inconfondibile da dietro le spalle di Ric. «È con me», gongola con disprezzo il ragazzo dagli occhi glaciali.
Noto Richard serrare la mascella a tale parole.

«È tutta tua tranquillo», ironizza con un accenno di crudeltà, dopodiché farmi spazio per raggiungerlo. Non mi guarda nemmeno quando gli sorrido.

Ma che hanno tutti in questo periodo?

«Sveglia, non ho tutto il giorno»,
Liam sprizza acidità da tutti i pori come al solito. Senza aspettarmi, si indirizza verso camera sua.

«Beh, allora ciao», sussurro timidamente verso Richard, mentre rimango imbambolata nel mio posto.

«Sì, ci si vede», parla deglutendo un altro sorso di birra, come se non volesse prestare attenzione a me.

Storco la bocca non contenta, ma mi limito lo stesso a salire al piano superiore per andare da quel cafone.

Le scale sono in legno, colorate di bianco, come la maggior parte della casa. È uno stile abbastanza classico che non si addice di certo a questi bad boys. Poi arrivi in camera di Liam dove sembra un posto a parte, visto che dominano solo colori scuri.

«Sei in ritardo», sentenzia quest'ultimo, una volta che mi affaccio nella sua stanza. È a sedere sulla sua sedia di pelle girevole, con una pallina da tennis che fa continuamente rimbalzare nella sua mano sinistra. L'altro braccio è appoggiato sulla scrivania, anch'essa nera, in una posizione alquanto scomoda.

Controllo l'orologio che tengo al polso annoiata. «Sono le quattro e dieci», affermo, sbadiglio senza farlo apposta, questo accenno sembra dargli parecchio fastidio.

Anche se muovo un dito non va bene.

«Infatti ti ho detto di venire alle quattro, non alla quattro e dieci», sbuffa.

Stabilisco di non rispondere, mentre arrivo verso la scrivania per aprire il mio zaino e prendere il materiale per questa benedetta ricerca che ci hanno affibbiato.

«Vedo che non sei migliorata con la calligrafia», ride in modo scontroso, dopo che ha osservato i miei appunti scritti in modo arruffato. Subito dopo lancia quella maledetta pallina dall'altra parte della stanza creando un rumore raccapricciante.
Mi siedo nella sedia accanto alla sua alzando gli occhi al cielo.

Prova a fermarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora