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Appena arrivo nel campo lo vedo.

Mi ero preoccupata quando mi sono svegliata, non trovandolo disteso al mio fianco, ma fortunatamente non sta facendo altro che lanciare la palla da football il più lontano possibile da sé.

Decido di raggiungerlo. «Ehi», sorrido mentre arrivo di fianco a lui; solo adesso sembra notare la mia presenza.
Mi squadra da capo a piedi facendomi un sorriso sornione; anche se negli occhi, a differenza mia, non ha tutta quella adrenalina che aveva poco fa.
Io invece, solo al pensiero delle sue mani che mi toccano, rischio di andare in iper ventilazione.

«Non dormi ancora un po'?» sussurra lanciando un'altra palla con forza come avesse bisogno di un passatempo in più.
Sta cercando di non incrociare il mio sguardo?

«Quelle panche sono scomode», gli faccio presente affiancandolo un altro po'.
Lui di conseguenza fa due passi nella direzione opposta, facendomi saltare il cuore in gola.
«Che hai?» bisbiglio timorosa.

Finalmente si gira verso di me. «In che senso?»

Cerco le parole. «Sei... scostante.»

Si gratta il capo -segno di nervosismo- e si prende tutto il tempo per rimettere le palle nella cesta, prima di replicare.
«Ti sbagli. Forza, sono quasi le otto, devo riaccompagnarti a casa.»

Molto probabilmente in un contesto diverso mi sarei data una mossa, visto che è tardissimo e facilmente i miei sono preoccupati, ma voglio capire immediatamente che ha.

Cerca di scappare, ma io lo blocco per un polso, riportandolo nel mezzo di questo campo, ormai illuminati solo dai lampioni e dal cielo stellato. «Liam ti conosco meglio delle mie tasche.»

«No.»

«Cosa no?» domando con l'ansia che mi scorre nelle vene.

«Se mi conoscessi non ti saresti lasciata andare», mormora con voce flebile e sguardo perso. Non capisco se è dispiaciuto o semplicemente disinteressato.

«Che diavolo vuol dire? Qui non si tratta di te, sono stata io a decidere per me», alzo il tono, ma subito dopo mi rabbuio. «Ti sei pentito?»

«No, solo che...» cerca di formulare un discorso, ma invano. «... non posso Emy.»

«C-che vuol dire?» ripeto con voce tremolante.

Lui sembra in lotta se parlare o meno, ma poi si decide a farlo, ferendomi nel profondo.
«Tu mi hai lasciato perché non ti fidavi di me, giusto?» sta pretendendo una risposta che però non ho il coraggio di dargli.

Che intenzioni ha?

Lui sbuffa vedendo la mia espressione ammutolita. «Prendo come un sì il tuo silenzio», constata per poi proseguire.
«Sai all'inizio non lo capivo, mi maledicevo ogni giorno; soffrivo per paura di essere io quello che sbagliava... E pensare che facevo il possibile per farti cambiare idea, per farti capire che ero totalmente ossessionato da te.»

«Liam...» cerco di interromperlo, ma lui mi blocca con un cenno della mano.

«No, volevo delle spiegazioni? Adesso parlo io.
Fatto sta che sono stato mesi a chiedermi cosa avessi fatto di tanto terribile per farti dubitare ogni giorno di me, ma adesso ti comprendo.
Ho dovuto viverlo con i miei stessi occhi per capire quello che provavi», afferma queste frasi velenose, che mi squarciano il cuore rendendolo polvere.

«C-cosa...» mi si rompe la voce.

Mi guarda addolorato. «Ora sono io quello che non si fida di te. E credimi se ti affermo che vorrei lasciarmi tutto alle spalle e riprovarci, ma non ci riesco, perché il dolore che mi hai procurato è troppo grande.»

Prova a fermarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora