XXVII

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La situazione sembrò migliorare tra Jimin e Suga, almeno in apparenza; il negromante infatti smise di rispondergli male o trattarlo con sufficienza, ma le cose positive finirono lì, infatti, nonostante avessero fatto sesso, Suga rimase distante, non permettendo a Jimin di invadere il suo spazio personale.

Anche la notte stessa in cui erano stati insieme, una volta a casa, il negromante lo chiuse fuori dalla porta della camera da letto, Jimin rimase in piedi ad osservarla inebetito per ore.

All'inizio cercò di capire, molte volte Namjoon gli aveva spiegato che per gli umani era diverso, erano diffidenti e tenevano le persone che non conoscevano lontane, ma Jimin e Suga non erano più sconosciuti, avevano anche avuto un rapporto, il licantropo non riusciva ad immaginare un contatto più profondo di quello, eppure a parte quelle poche coccole ricevute quella notte in macchina, Suga non l'aveva sfiorato più, nemmeno per sbaglio.

Questa cosa iniziò ad andare stretta a Jimin, non che pretendesse una relazione vera e propria, ma, non avendo la presenza rassicurante di Namjoon vicino, abbracci e coccole erano assolutamente necessari per il benessere psicofisico dello Skoll.

Non riusciva ad immaginare una vita così, non capiva come Suga potesse sopravvivere senza alcun contatto umano, fisico, non nel senso carnale del termine, il licantropo era così abituato a abbracci, carezze, tenersi per mano con i compagni del branco che non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile che qualcuno si riducesse così distante dagli altri per difesa; Jimin si trovò a ripensare a quanto adorava quando i cuccioli gli mordicchiavano le orecchie o appoggiavano la testa sul ventre per poi addormentarsi tranquilli, chiuse gli occhi e sospirò.

Al solo pensarci gli occhi di Jimin si inumidirono, la fisicità del branco gli mancava come l'aria, l'unico periodo in cui non aveva avuto affetto era quello buio, quello con il precedente Alfa, dove l'unico contatto fisico permesso era quello per lottare o ammazzare qualcuno.

Lo Skoll inspirò forte, tornando con lo sguardo su Suga, era seduto sulle sedie alte dell'isola della cucina, le mani affusolate reggevano un libro enorme con in copertina una foto di un uomo in armatura, il titolo 'I Grandi Cavalieri del Passato', l'aveva comprato apposta perché aveva l'idea che lo spirito che aveva preso le bambine potesse essere un antico combattente evocato nel loro mondo.

Jimin si alzò e gli si parò di fronte, l'isola a dividerli, Suga non si mosse, completamente immerso nella lettura, il licantropo inspirò per prendere coraggio.

-Penso che domani tornerò dal branco.- annunciò Jimin nel silenzio, mordendosi il labbro, guardandolo dritto in viso, Suga alzò entrambe le sopracciglia per poi ricambiare lo sguardo, confuso.

-Nam ti ha ordinato di tornare?- domandò cauto il negromante, appoggiando il libro sul mobile.

-No.- disse piatto Jimin, Suga lo guardò cercando di capire cosa si celasse in quella dichiarazione e nel viso abbattuto dello Skoll, ma le elucubrazioni non si dilungarono di molto, Jimin riprese a parlare -Io non posso farcela così Suga, io sono abituato al contatto umano non posso farcela senza e tu, be' tu sei l'opposto. Io non sto così tanti giorni senza abbracciare qualcuno da anni, da quando stavo in gabbia e sto così male ora che se chiudo gli occhi le riesco a vedere ancora, le sbarre. Che a pensarci bene pure lì avevo più fisicità che ora, dato che mi usavano come prostituto o attore in film porno.- confessò con la voce tremante per poi buttare fuori tutta l'aria dai polmoni -Io devo tornare nel branco, non sto bene così.- farfugliò, abbracciandosi stretto, iniziando a percepire un peso al petto causato dai brutti ricordi che iniziarono a lambirgli la mente, il negromante rimase in silenzio non sapendo cosa dire, guardò quanto Jimin si stesse rimpicciolendo nell'ambiente a causa del suo malessere, Suga si umettò le labbra aprì e chiuse la bocca più volte, senza riuscire a formulare nessuna frase; Jimin, che non perse nemmeno un secondo dei pallidi tentativi del negromante di reagire, annuì, per poi dirigersi verso la porta, deluso, non sapeva nemmeno lui cosa si aspettasse ma di certo non di ridurlo come un pesce palla.

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