Chapter twenty-one.

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Jeffrey's POV

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Cammino velocemente tra i corridoi degli Studios, con il mio copione nuovo di zecca nella mano sinistra ed un caffè nella destra. Incontro Greg che mi da il buongiorno ed io lo fermo chiedendole dove sia Laura. Dopo quell'incontro nel parcheggio, che mi ha destabilizzato e non poco, non vedo l'ora di incontrarla e di dirle che le devo parlare, molto, di tante cose.
Greg mi guarda e poi abbassa lo sguardo, con una strana espressione.
«Lei.. Sta male. Ha una brutta febbre ed è bloccata al letto.»
Lo guardo ed assottiglio gli occhi, non convinto.
«L'ho vista ieri e mi è sembrata molto in forma.»
Deglutisce e mi poggia una mano sulla spalla.
«Sì rimetterà presto, ne sono sicuro.»
Mi supera e se ne va, lasciandomi con ancor più domande di prima.
Sospiro e continuo a camminare. Giungo alla sala per i pasti e mi servo, sedendomi poi al tavolo con gli altri.
«Buongiorno.»
Tutti ricambiano e tornano poi a parlare fra loro. Io guardo Norman e gli faccio un cenno.
«Che si dice?»
Lui ingoia il suo boccone e poi si pulisce la bocca.
«Stavamo parlando di El, ti interessa l'argomento?»
Lo incenerisco con lo sguardo e lui ridacchia sommessamente.
Da quello scambio di sguardi in Italia, Norman non perde occasione per prendermi in giro. E si, sa anche cos'altro è successo in Italia.
E cos'è successo anche dopo l'ultima cena con il cast. Mi sono dovuto subire insulti che non stanno in cielo ed in terra.
«Le parlerai?»
Annuisco e nascondo il mio sorriso dietro il caffé.
«Sì, il prima possibile.»
«Mi dispiace così tanto per lei. L'ho sentita dopo la morte della nonna e mi è sembrata così cambiata.»
Mi giro verso Carol e bevo un sorso di caffè.
Probabilmente Laura ce l'avra a morte con me, perché sono stato l'unico a non farmi vivo per questi mesi.
È passato un bel po' di tempo e sarei stupido se non avessi messo in conto il fatto che lei potrebbe non volermi parlare più.

Alle otto e mezza ci riuniamo tutti nella sala conferenze per il solito incontro con i pezzi grossi di The Walking Dead. Direttive, tabella di marcia, normative, bla bla bla.
È tutto come l'anno scorso, con una sola differenza, che la sedia davanti a me, che doveva essere occupata da Laura, è vuota.
Mi rattristo e solo ora mi rendo conto di quanto io abbia bisogno di vederla.
Quando l'ho vista nel parcheggio, mi è successo qualcosa che non so spiegare.
È cambiato tutto, è diventato tutto come sarebbe dovuto essere fin dall'inizio.
Quello che pensavo, si è concretizzato.

Dopo l'incontro, ognuno si ritira nelle proprie cose ed io ritorno a casa.
Ho comprato una Piccola casa poco fuori Atlanta, in una zona verde circondata da alberi e natura.
Spero di trasferirmi ufficialmente qui prima di Natale, visto che ormai, a New York non ho più nessuno, salvo per i miei genitori.
Gus mi raggiungerà a settembre e rimarrà con me, visto che dopo il divorzio, ho ottenuto la completa custodia.
Sta andando tutto per il verso giusto, finalmente.

Una settiamana dopo.

È passata una settimana e Laura ancora non si vede. Greg continua a sostenere che lei stia veramete male e che la sua febbre non accenna a scendere, ma siamo tutti dubbiosi su questa spiegazione. I miei amici hanno provato a chiamarla ma non hanno ricevuto risposta. Norman e Lauren sono andati a cercarla a casa e non l'hanno trovata. Le riprese vanno molto a rilento, sia per l'atmosfera pesante che si respira negli Studios sia perché, senza El, lo staff si muove in modo scoordinato e lento.

«Greg.»
Io e Norman ci troviamo fuori per una sigaretta e fermiamo il regista che ci passa accanto con una camminata veloce.
Lui si gira e Norman gli va incontro.
«Mi vuoi dire dove cazzo sta Laura?»
L'uomo fa un grande sorriso e la sua espressione si rallegra improvvisamente.
«Mi ha chiamato un minuto fa, sta arrivando.»
Sento un'esplosione di sensazioni dentro di me e mi devo schiarire la voce visto che il respiro mi si era mozzato a metà.
«È guarita?»
Nicotero annuisce e poi riprende a camminare.
«Vado ad avvertire gli altri, saranno tutti felici di saperlo.»
Norman si gira verso di me.
«Amico, stai messo veramente male.»
Corrugo le sopracciglia.
«Che vuoi dire?»
Scuote appena la testa, ridacchiando.
«Voglio dire che sei arrossito come un peperone e che non stai nella pelle per rivererla.»
Schiocco la lingua e prendo un tiro dalla sigaretta, prima di buttarla e spegnerla sotto la mia scarpa.
In realtà è vero, ma sono restio ad ammetterlo davanti Norman. Sono appena uscito da un divorzio e voglio pur sempre andarci piano e non partire in quinta. Proprio quando sto per ribattere, sento il rumore di una moto e vedo El entrare nel parcheggio. Spegne la moto, scende e si toglie il casco. Norman le va incontro ed io mi blocco momentaneamente, proprio come una settimana fa. I capelli, più lunghi del solito, con i riflessi biondi, si muovono sotto il tocco della brezza. È vestita in modo semplice, con un vestitino estivo rosso bodeaux che si abbina alla sua pelle abbronzatissima. I due si abbracciano e io mi risveglio. Cammino lento verso di lei ed aspetto che noti la mia presenza. Quando lo fa, rimane ferma per qualche secondo e poi si avvicina lentamente. Mi guarda dal basso e senza dirmi niente, si butta fra le mie braccia, abbracciandomi forte a sè. Avvolgo il suo corpo con le mie braccia e poggio la guancia sulla sua testa. Mi viene la pelle d'oca e per una manciata di secondi rimango con un sorriso da ebete stampato in faccia.

Georgia. || With Jeffrey Dean Morgan.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora