Prologue.

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Laura's POV

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*Present.*

«Smettetela di litigare voi due!»

Mi metto in mezzo a Norman ed Andrew, che continuano a discutere da un quarto d'ora ormai.

Il motivo? Quale cd mettere nello stereo.

Norman vuole mettere il suo cd preferito degli Anthrax, mentre Andrew continua a ripetere che per una serata del genere non è il cd adatto.

«Mettiamo un cd dei Jethro Tull e tutti contenti.»

Loro si guardando ancora, come due bambini. Sbuffano all'unisono per poi dire un "sì" scocciato.

«Sembrate due bambini.»

Mentre metto il cd nel lettore, sento che ridacchiano dietro di me, perché si sono appena accorti che hanno fatto incazzare "mamma Laura", ovvero la sottoscritta.

Rido anch'io e dopo essermi girata, riservo loro un'occhiataccia truce. Andrew si dilegua, dirigendosi verso Michael e Lauren, mentre Norman rimane al mio fianco.

«Tieni.»

Mi porge nuovamente il mio drink, ovvero un doppio bourbon.

«Grazie Norm.»

Mi sorride e poi mi fa un cenno verso la finestra, per farmi capire che ha voglia di una sigaretta e soprattutto di parlare in privato. Anche dal balcone si sente "Wind-up" che si espande dalle casse dello stereo, e sorrido soddisfatta della mia scelta.

«Vuoi?»

Mi porge il suo pacchetto ma io declino l'offerta.

«No, grazie.. me ne faccio una con il mio tabacco.»

Prendo cartina, filtro e tabacco per poi cominciare a girare la sigaretta. Norman si accende la propria e comincia a fumare muovendo la testa a tempo della musica.

«Allora? Come stai?»

Gli lancio uno sguardo veloce, per poi tornare a concentrarmi su quello che sto facendo.

«Bene, non c'è nemmeno bisogno che tu me lo chieda.»

Rimango con la testa china perché so, che se lo guardassi, si accorgerebbe immediatamente che non sto dicendo la verità.

«Balle, non sei brava a mentire.»

Cazzo Norm.

Sbuffo ed alzo gli occhi al cielo. Mi accendo a mia volta la sigaretta e rivolgo lo sguardo al mio amico.

«Norman, sto bene veramente! Sai che mia madre in realtà era solamente un fantasma che entrava ed usciva dalla mia vita senza nemmeno calcolarmi..»

Si appoggia alla balconata e sospira.

«È pur sempre stata tua madre.»

Ispiro velocemente dalla sigaretta e solo Dio sa quanto io mi stia trattenendo dal non urlare contro il mio amico.

Ma infondo, lui non ha nessuna colpa, vuole solo sapere come sto. Fosse così facile rispondere.

«Norman..»

La mia voce è come un campanello d'allarme e l'uomo accanto a me sembra coglierne il significato.

«Va bene Laura, la smetto. Ma sappi che non mi freghi. So che non stai bene, ma so anche che ora non ne vuoi parlare.»

Parla velocemente ed io in questo momento vorrei solamente ascoltare il silenzio di una notte di fine estate in Georgia. Il campanello di casa interrompe la sua parlantina.

Si gira per andarsene ma io lo prendo per un braccio, facendolo voltare. Appena incontro il suo sguardo, distolgo il mio. In questo momento non riesco a sopportare le sue iridi color ghiaccio.

«Scusa Norm, non..»

Mi interrompe abbracciandomi e stringendomi forte a sè.

Nascondo il mio viso fra i suoi capelli e ricambio l'abbraccio.

«Non ti devi scusare. Voglio solamente ricordarti che io sono qui per qualunque cosa. Non ti voglio forzare.»

Si stacca e mi guarda negli occhi. Sono talmente profondi che potrei perdermici dentro. Mi accarezza velocemente la guancia e poi si gira per rientrare.

«Vado a vedere chi è alla porta.»

Si chiude alle spalle la porta finestra, lasciandomi fuori con la mia sigaretta ed il mio bicchiere di bourbon.

Mi passo una mano tra i capelli e sospiro.

Perché mi manchi, ma'?

Non sei mai stata niente per me.

Non sei mai stata un punto di riferimento.

Ho passato più tempo sola, che in tua compagnia, nei miei primi diciassette anni di vita.

Chiudo gli occhi ed ho un flashback.

L'autobus sfreccia veloce lungo la strada, rallentando solo quando deve girare per vicoli più stretti del solito.

Il paese è deserto, salvo per alcuni uomini che si trovano fuori il bar della piazza, con un bicchiere pieno di genziana in una mano ed un giornale pronto per essere letto nell'altra. Sebbene sia già primavera, ancora fa freddo e mentre provo a mettermi comoda sul sedile del pullman, mi tiro su il cappuccio per ripararmi dagli spiragli di aria presenti un pò ovunque sul vecchio bus della Cotral. Lungo la strada incontriamo i soliti contadini che guidano i loro trattori, pronti per cominciare la stagione dell'aratro. Provo ad addormentarmi ma ormai è troppo tardi, visto che devo alzarmi per dire all'autista che la prossima è la mia fermata.

«Hai sonno eh?»

Il mio autista preferito mi sorride e mi guarda attraverso lo specchio retrovisore, sghignazzando.

«Non si nota?»

L'auto si ferma davanti casa ed io saluto Armando - o Armandino - ringraziandolo come sempre. Apro il cancelletto con la chiave e poi ripeto la stessa cosa con il portoncino di casa. Dopo essere entrata poggio lo zaino accanto alla porta e mi tolgo la giacca.

«Ma'?»

Tutto tace.

Ma certo.

Mi dirigo verso la cucina e sospiro quando scopro che, anche oggi, come tutti i giorni, devo farmi il pranzo.

Cucinare, mangiare tardi, pulire casa, studiare, lavorare, saltare la cena, studiare ancora, lavarmi ed andare al letto.

Sentire la propria madre che rientra sempre a notte fonda. Svegliarsi, trovare i soliti cinque euro sul tavolo con il solito biglietto che riciclava ogni giorno.

"Buongiorno.

Ricordati che ti voglio bene."

Era davvero così ma'?

Perché ogni volta che ho provato a stringere i rapporti con te mi hai sempre infamato, insultato o addirittura picchiato, facendomi sentire solamente un peso.

E perché ora, ora che sei morta, io sono qui a pensare a tutto quello che ho sbagliato?

So anche io che non ho colpe, ma il mio cervello è contorno, tant'è che a volte nemmeno io riesco a capirlo.

E forse, secondo te, bastavano cinque euro ogni giorno per colmare la tua figura nella mia vita.

Che cazzata.

E pensare che io non ho mai usato nemmeno un centesimo dei soldi che mi davi tu.

«Vaffanculo.»

Prendo un tiro dalla sigaretta ed in questo momento non so se piangere o ridere. Piangere per la disperazione, perché non so che cazzo fare. Ridere per sdrammatizzare sull'assurdità della situazione, perché nonostante tutte le cose che tu hai sbagliato con me, io mi ritengo ancora la colpevole per il nostro rapporto di merda.

Georgia. || With Jeffrey Dean Morgan.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora