Chapter eight.

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Laura's POV

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*Past.*

Le pareti della mia stanza non sono più rosse. Hanno lasciato lo spazio ad un azzurrino pallido che mi ricorda il cielo e le nuvole.

Tutti i quadri sono stati staccati e riposti in un angolo, i libri posti in vecchi scatoloni marroni, abbandonati. La mia valigia si trova al centro della stanza, la tracolla sulla schiena mi fa un po' male alla spalla.

«So che pensi il contrario, ma sono felice che tu sia tornata, anche se rimarrai per poco.»

La sua gentilezza mi destabilizza.

Mia madre alle mie spalle guarda con nostalgia la mia cameretta che ora è stata trasformata in una stanza dove vengono riposte le cose che non si usano più. I miei vestiti, i miei ricordi, tutta la mia vita rinchiusa in pochi scatoloni.

La memoria di me.

«Angela?»

Marco entra dalla porta principale della casa con uno zaino in spalla. Cammina lentamente strascinando a terra i piedi per la stanchezza. Mia madre gli va incontro per poi lasciargli un bacio sulle labbra. Sì, sono passati pochi mesi e mia madre ha portato a casa sua il suo nuovo compagno. Forse aspettava solamente che io mi levassi di torno.

«Ciao Laura.»

Ha i capelli lunghi e bianchi, è alto e magro. Porta un pizzetto tagliato meticolosamente e la sua divisa da lavoro gli conferisce un'aria da uomo d'affari. In realtà, lavora al casello dell'autostrada.

«Non rimarrò molto. Il tempo di andare al funerale, poi me ne andrò.»

Mentre Marco si toglie la giacca mi guarda curioso.

«E dove andrai?»

È un brav'uomo e sembra aver fatto riacquistare a mia madre la voglia di vivere che prima aveva perduto. È più solare, felice, gentile e premurosa. Se penso a tutto quello che mi ha fatto in questi anni, quasi non riesco a crederci. È una persona completamente diversa. Lo guardo appena, facendo una smorfia. È un brav'uomo ma mi sta sulle palle il fatto che, rispetto a me, lui sia riuscito a costruirsi una vita con mia madre.

«Non lo so.»

E sono sincera.

Non ne ho idea di dove andrò.

Forse visiterò l'Europa, farò l'artista di strada e guadagnerò i soldi che mi servono facendo ciò che amo. Ho perso il lavoro con lo studio, cos'altro potrei fare?

Ci sediamo a tavola e mangiamo silenziosamente. Mia madre e Marco parlano tranquillamente ma io non li ascolto. Penso già a come affronterò il funerale.

Non ne ho il coraggio.

Non sono abbastanza forte.

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*Present.*

Norman dopo aver poggiato velocemente la moto nel mio garage, mi saluta con un bacio sulla guancia e saluta Jeffrey con un pugno sulla spalla. Sfreccia via ed io mi ritrovo a pensare, nuovamente, cosa ci sia di così tanto importante da chiarire con Kirkman.

Jeffrey è rimasto dietro di me silenzioso e quando mi giro a guardarlo, mi accorgo che lui aveva già il suo sguardo posato su di me. Mi porto una ciocca di capello dietro l'orecchio, a disagio. Non mi abituerò mai allo sguardo di quest'uomo.

Georgia. || With Jeffrey Dean Morgan.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora