Cap.1

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In tutta la mia vita ho avuto innumerevoli occasioni per rendermi conto che la normalità non fa proprio per me. La mia vera natura mi pareva qualcosa di così estraneo dal resto del mondo che ero finito per provare nient'altro se non disgusto per me stesso.

È difficile essere una creatura soprannaturale in un mondo di soli umani e quello era stato il mio mondo per tutta la vita: io, strana creatura che portava al lento logoramento e distruzione di qualsiasi cosa la circondasse, e il mondo fatto di persone normali con vite e problemi normali.

Mia madre da bambino mi consolava spesso. Lei non era come me, aveva avuto questa stupenda fortuna di nascere senza il Dono. Mi tappava le orecchie quando piangevo dolorante perché il mio udito era troppo sensibile; altre volte mi scaldava le mani che, gelide e incapaci di autoregolare la propria temperatura, perdevano di sensibilità.

E asciugava le mie lacrime quando la vedevo stesa su quello che sarebbe stato  il suo letto di morte. Piangevo perché sapevo che fosse colpa mia: gli Originali, imparai col tempo, emanano radiazioni che possono essere nocive per gli esseri umani dopo una lunga esposizione, e lei non mi lasciava mai.

Così imparai, imparai a bloccare completamente ogni mio potere; sapevo usarli è ovvio, mi veniva tutto così schifosamente facile, ma dovevo controllarmi e col tempo le radiazioni da me emanate diminuirono e le mie mani smisero di congelare ogni inverno.

Mio malgrado è impossibile intrappolare l'oceano in una bottiglia di vetro, prima o poi si crepa, e io sapevo che sarebbe successo prima o poi.

Devo ammettere che provai non poco sollievo nello scoprire l'esistenza di altre creature oltre agli Originali. Ora che ci penso mi sembra così sciocco da parte mia aver pensato di essere l'unico ma, devo ammettere, che l'idea non mi avesse mai sfiorato.

Aiutare Scott mi dava sollievo, riconoscevo in lui il mio passato tormento e non poche volte avevo pensato, in questi anni, di rivelargli la verità. Ma come spieghi al tuo migliore amico che gli hai sempre mentito, che non sei un umano, come hai sempre sostenuto con fermezza, e che se volessi potrei sterminare Beacon Hills?

Allora decisi di continuare a mentire, non sapevo se mai gli avrei rivelato la verità e sinceramente non ci ho mai neppure pensato. Volevo che le nostre vite continuassero così com'erano.
Era un pensiero stupido e infantile, dovevo immaginare che niente sarebbe rimasto come prima appena caddi in quella splendida tentazione che Marcus rappresentava

Appena un mese prima era arrivato a scuola un gruppo di ragazzi. A detta dei professori si erano appena trasferiti da Washington. Si trattava di un gruppo solitario, preferivano starsene sulle loro e a mala pena parlavano con gli altri studenti.

Non che gli altri studenti sembrassero interessati a conoscere ragazzi che, secondo voci di corridoio, erano terribilmente avvezzi a risse e scorribande, spesso persino ubriachi. Ma soprattutto tutti si tenevano lontani da Marcus, una sorta di capobanda che sbatteva contro gli armadietti chiunque lo infastidisse piú del dovuto.

Quella mattina ero appena arrivato agli armadietti per prendere un libro di biologia che mi sarebbe servito per la lezione successiva. Quel giorno ero particolarmente stanco e giù di corda senza un apparente motivo, probabilmente il tempo uggioso stava influenzando in modo negativo il mio metabolismo.

Quest'anno il lucchetto dell'armadietto era particolarmente rognoso, faticava ad aprirsi e spesso finivo per dover forzare il ferro ricurvo che rimaneva incastrato e proprio non voleva farmi prendere i libri.

Anche quella volta il lucchetto decise di non volerne sapere di aprirsi. Mi leccai le labbra infastidito e infilai in bocca le chiavi del luccetto mentre con entrambe le mani iniziai a tirare per cercare di sbloccarlo.

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