Capitolo 9

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$ Alexander $


Sbatte ripetute volte quelle ciglia lunghe e folte, per rivelarmi le sue iridi nocciola con pagliuzze dorate.
Ci leggo dentro cose che non nominerebbe neanche sotto tortura.
La patina di paura che si mescola all'eccitazione.
La stessa che tira il mio uccello, che vorrebbe varcare quella soglia pulita, sporcandola con ardore.

Il sapore della sua pelle dolciastro, é ancora sulla mia lingua, con il connubio del whisky, e credo di non aver mai assaggiato e desiderato qualcosa con un'intensità così feroce.
Si alimenta nelle mie viscere, trainando fuori la mia parte peggiore, per sopperire al bisogno di fotterla con colpo incessanti che la distruggerebbero.
E questo non é il mio scopo.
Sono il suo destino e contro il suo volere anche il suo guardiano.

Forse sono malato. Sicuramente deviato.
Tenerla rinchiusa in questa fortezza che puzza di denaro e sesso perverso.
Ma la mia esca é troppo suculenta, e troppo ingenua per lasciarla svolazzare libera come una farfalla.

Il respiro frettoloso e a tratti sfalsato, le gonfia magnificamente quelle colline.
Le mani chiedono di abbassarle quelle coppe in latex, per scoprire i suoi piccoli capezzoli rosei e cibarmene.
Prudono con la stessa smania che cresce dentro di me.
Sembra un'eternità che ci fissiamo in silenzio, invece é giusto qualche secondo che la fa riscuotere e premere i suoi palmi freschi contro il mio petto che scotta come una pressa.

Quel contatto mi fa stridere i denti, pigiando più forte dove la bocca del cobra si apre.
«Non lo farò mai.» Aspra e risoluta, si dibatte sotto di me.
Il contatto ha scosso anche lei, e glielo leggo nitidamente.
Il rossore é divenuto parte integrante della sua pelle di porcellana.

«Oh sí, che lo farai.» Le intimo torbido, solo per sollevarmi dal suo corpo, facendole credere che siano state la spinta delle sue mani a spostarmi.

Si tira su con uno scatto, rischiando nuovamente di cozzare contro il mio petto.
«Dammi un motivo, per cui dovrei. Uno, per cui mi tieni qui.» Strepita quasi al limite delle forze, e avverto il suo cuore battere furioso.

Mi osserva frastornata, mentre piego appena la testa lateralmente, affilando lo sguardo granitico.
«Ti ho chiaramente detto, che saprai tutto quando e come lo deciderò io.» Ribatto gelido e assertivo, mentre scuote la distesa di capelli, afflitta, abbassando appena il mento.

«Perché?» Sospira sconfitta, facendomi sentire un peso sul petto, che non posso permettere di schiacciarmi.
«Perché mi tieni qui?» Stavolta urla con strazio, che mi perfora i timpani, e le sue mani affusolate si serrano in due pugni che mi assalgono i pettorali allenati.
Sono carezze che mi dilaniano l'anima.
I pugni che mi ha dato la vita non sono quelli esterni.
Leí non li conosce. Non può sapere che quelli interni fanno più male di qualsiasi dolore fisico si possa provare.
E che il suo contatto, maledetto, é come sfiorare il petalo di un fiore e aver paura di strapparlo.

Le mie dita lunghe, afferrano i suoi polsi fragili, in una stretta morbida che cozza con il mio sguardo di ammonimento, dove le iridi si ghiacciano come una lastra impossibile da spaccare.
La sua occhiata mi lancia fulmini e saette, espirando aria dalle narici che si dilatano appena.
Vedo la vena sul suo collo pompare. I seni implodere. Il tremolio del suo mento e la piega arricciata delle sue labbra carnose.
«Perché mi devi seimila dollari, Coraline. E me li darai tutti. Fino all'ultimo ...» Mi sospendo solo per farle chiarire un voluto doppio senso che le tramortisce i tratti del volto che impallidisce.
Le mie nocche sfiorano con passione i suoi fianchi scoperti, desiderando di aggrapparmici e sbatterla sulla mia scrivania privo di qualsiasi autorevolezza. Senza controllo. Senza nessuna sosta.
Catturare la sua bocca e divorarla con spietata esigenza, che mi inonda le membra.

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