Capitolo 22

8.2K 362 57
                                    



$Alexander$

Da piccoli quante volte vi hanno detto, le vostre madri: "Questo gioco é pericoloso, non si fa"?
Scommetto, tante volte.
Io l'ho sentita molteplici volte, da bocche di mamme, che non erano certamente la mia.
A me non c'era nessuno che mi avvisasse che era pericoloso, e quella parola strana mi faceva brillare gli occhi, cimentandomi nel pericolo.
Volevo sfidare quanto fosse così pericoloso, come dicevano.
Le pistole giocattolo, divennero pistole vere, con il tempo.
Le palline di plastica, divennero pallottole di metallo.
Il dolore provocato da una pallina sparata, divenne la morte.
Un livido piccolo, provocato da quella pallina, divenne sangue scarlatto.
E scommettere e sfidare divenne il mio gioco pericoloso.
Il mio destino.
E stanotte questo miserabile, capirà quanto effettivamente é pericoloso, spericolato, avventato, talvolta proibito, scommettere con il destino.

Dominick mi sta già aspettando nel sotterraneo.
Il mio posto preferito. Quello dove posso sfoderare la mia pazzia.
Il parco giochi perfetto per il mio sadismo.

Ho lasciato la camera di Coraline, dopo essermi accertato che dormisse, e che il suo respiro dolce si regolarizzasse.
Sarei voluto rimanere a coccolarla, per tutta la notte.
Dirle che con me, nonostante ciò che sono diventato negli anni, non sarà mai in pericolo.
Il mio scopo é proteggerla, e sapere che per un fottuto attimo ho creduto di perderla, rinfocola maggiormente la voglia di tumefare la faccia del Serbo.

Leggo sulla sua carta d'identità stropicciata e mangiucchiata in più parti, il suo nome.
Guzmán Stoja.
L'uomo d'onore di Myers.
Devo fare in fretta, poiché la ricetrasmittente a microchip, infilata dentro la maglia, che Dominick ha estratto, buttandolo sul limite della strada, ci farà guadagnare poco tempo, prima che vengano a cercarla.

Strappo tra le dita, la carta d'identità in più parti, gettandoli al vento come una pioggia di coriandoli che diverranno cenere, come il suo corpo.
Il buio illumina il mio tragitto. S'impadronisce della mia anima, e come sempre la suola delle mie scarpe, riecheggia e scricchiola sugli scalini di legno, dove l'occhio di bue mette in mostra il nuovo attore/vittima di stasera.

«Benvenuto nella mia umile dimora, Stoja.» Faccio del sarcasmo, nel vederlo legato, solo alle caviglie sulla sedia di legno, poiché le sue braccia mi serviranno sciolte e libere.
Osservo i suoi occhi timorosi, tingersi di odio e le guance gonfiarsi, per poi sputare uno scaracchio di saliva, vicino alla punta delle mie scarpe.

Emetto un risolino beffeggiatore, a labbra serrate, e pesto lo scaracchio, avvicinandomi alla sua figura.
Non mentirmi Guzmàn. Non la senti questa puzza?

E glielo chiedo anche, perché mi piace giocare e prendermi gioco di loro.
«Lo senti questo odore? Dominick, tu lo senti?» Rido bellamente, mentre mi volto verso il mio amico, che sfoggia un sorriso increspato.

«Odore? Che?» Non riesce neanche a fare una cazzo di domanda, di senso compiuto.

«Di urina. La tua, Guzmán.» Affermo sardonico ma con un tono duro, che lo fa imprecare con un,

«Jebati!» Un galantissimo fanculo. Onesto, oserei dire.
Ma se io andrò a fanculo, lui ancora non sa che andrà nel regno dei morti.
A conti fatti, caro Guzmán, chi é che ci rimette, qui?
Io o te?
Pensaci bene.

«Oggi voglio divertirmi. Hai mai sentito parlare, della Roulette Russa?» Lo osservo rimanere ammutolito, e quasi risuona nella mia testa la canzoncina dei documentari, che spiegano con minuziosità che cos'è una cosa.

Prendo una sedia, che strascica sinistra e graffiata, sul cemento e mi posiziono difronte a lui.
Chino appena il busto, e come un filosofo del cazzo, incrocio le dita tra loro in una sorta di finta preghiera ricognitiva.
«La roulette Russa è un gioco d'azzardo, letale direi. Consiste nel mettere un unico proiettile all'interno della rivoltella. Ruotare il tamburo velocemente, chiudere senza guardare, e puntarla sulla propria testa, sparando. Se il colpo andrà a porto, sei morto, altrimenti resti in vita.
L'aggettivo " Russa", si narra che sia dovuto al racconto di uno scrittore russo, Mikhail Lermontov.
Si dice che il sottotenente Vulič, tuo compaesano Serbo, per dimostrare la fedeltà e la fiducia nel destino che non può cambiare, impugnò una pistola e si puntò la canna alla testa.
Pescò una carta e la lanciò in aria, e appena la carta cadde, dovette premere il grilletto.
Ora...secondo te, Stoja...l'ufficiale é morto, o no? Ti va di essere il mio attore?
Tu sarai l'ufficiale Guzmán Stoja. Io sarò lo scrittore Russo, Alexander Vlokov.» Ciak, azione. Via.

Alexander Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora