Capitolo 11

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{ Coraline }

LO ODIO!
Voglio vederlo stramazzare al suolo.
Leccare le mie impronte.
Inginocchiarsi ai miei piedi.

Non pensavo mai di poter provare un simile sentimento, così viscerale, verso un'essere umano.
Con Alexander invece è fervente.
E più lo penso più si alimenta.
Mi logoro del perché nessuno mi stia cercando, là fuori.
Evidente che per loro sono uno zero spaccato.
Non ho mai contato niente, e non conterò mai nulla per nessuno.
E l'unica che si sarebbe strappata il cuore pur di tenermi in vita, era mia madre.

Una lacrima calda e salata, scivola a discesa ripida, verso la mia pelle delicata, per picchiare tra le ginocchia strette al petto.
È stato umiliante. Imbarazzante. Contro la mia morale, ballare davanti a troppi occhi viscidi.
Mi ha calpestato la dignità. L'orgoglio.
Mi ha privato la purezza, ancor prima di strapparla con il suo corpo.
Eppure il pensiero di me e lui, sopra un letto, mi rende cedevole.
So che diventerei malleabile sotto le sue falangi lunghe.
Le immagino ovunque, dove proprio non dovrei.
Lui, che mi ha buttata come una qualunque su un palco, dove ho dovuto fingere per restare in vita.
Perché la vendetta arriverà, Alexander.

Poi penso che per lui lo sono, una qualsiasi.
So già dopo una sera che si è fatto più della metà delle ballerine.
Solo pettegolezzi che ho ascoltato con il ripudio verso il mostro dei nevai, nell'attesa che tutto cessasse il più in fretta possibile.
Non ho chiacchierato con loro.
Non so se anche loro sono stare rapite e tenute come prigioniere per settimane.
Forse neanche mi interessa saperlo.
Non mi spiego i seimila dollari.
Io non l'ho mai visto prima d'ora, e se è una scusa per tenermi, a cosa gli servo? Cosa ne sarà di me? Cosa vuole davvero da me?

Mi rannicchio di più verso la testata in ferro battuto, del letto.
È dura contro la mia schiena, ma sembra quasi che così mi posso proteggere dal dolore che sento pungermi come aghi aguzzi.
Reclino la testa contro il muro, sollevando il viso verso il soffitto buio.
Finché non vedo lentamente una luce fioca illuminarlo.
Sbatto più e più volte le ciglia, per capire se sono solo impazzita o se ciò che le mie iridi vedono, sia reale.

Purtroppo lo è. Fin troppo.
Osservo la pianta dei suoi piedi calpestare il pavimento di vetro, freddo come lo è lui.
Duro come lui. Eppure un vetro è anche fragile.
Il tuo tallone d'Achille qual'è, Vlokov?

Osservo accuratamente come una soggiogata, le dita che corrono a sganciare la cintura.
Sembra metterci una vita, mentre lascia i passanti con estrema flemma, finché non da un ultimo strattone, e la lascia cadere a terra con un tonfo pesante che ho paura possa spaccare il soffitto.
Formare crepe, le stesse che si stanno formando al mio interno.
Noto la fibbia a forma di cobra, rivolta verso di me.
Forse è un caso, forse no. Pare voglia dirmi che sono stata braccata da lui. Stretta nella sua morsa mortale.
Come non è certamente un caso che la sua camera, sia sopra la mia.
Vuole vedermi cadere. Sciogliermi. Dissolvermi. Sgretolarmi.

Le dita risalgono a sganciare i gemelli, con precisione, per poi salire verso i bottoni perlati della camicia.
Vorrei vedere davanti com'è, ma riesco a ricordare perfettamente il suo petto marmoreo. Non un filo di grasso. I quadranti ben in evidenza. Gli addominali obliqui del bacino stretto.
E il tatuaggio.
E anche quest'ultima cade a terra, scivolando dalle sue spalle ampie. Noto delle chiazze scure, e ho paura di sapere cosa siano.
Non voglio formare un simile pensiero nella mia testa.
Non ci voglio credere.
L'orrore inonda i miei occhi che divengono vitrei.
E porto un palmo freddo che trema sulle mie labbra che si sono spalancate scioccate.
Magari è pittura. Magari...non può essere.
Non può essere uno sporco assassino.
No!

Strizzo le palpebre tra loro come a darmi conforto.
Sobbalzo come se fosse in questa stanza.
Sento il battito correre a velocità supersonica.
Fracassare la gabbia toracica.
Mi ripeto che non è così.
Che le sue dita sono troppo curate per aver mietuto corpi.
Ma le chiazze sono lì. Mi fissano. Le fisso.
Il mio sangue ora è quello che si coagula.
Diventa freddo e forse morirò. Forse non sarà più capace di circolare nel corpo.
Si ridurrà in grumi, dichiarando il mio decesso.
I pantaloni calano flosci ai suoi piedi, e poco dopo so che dovrei distogliere lo sguardo.
Dovrebbe ripugnarmi.
Dovrebbe farmi schifo, il pensiero che potrebbe essere un assassino spietato.
O peggio, lo spavento che sia ferito e la voglia di soccorrerlo da ogni dolore che ho letto in quelle iridi che tormentano i miei sogni.

Le vedo sempre spogliarmi. E vorrei che le sue dannate mani fossero a coprire il mio corpo, come un manto.
Mentre invece sono sull'elastico dei boxer.
Miro la protuberanza in tiro, e quando li fa calare dolcemente giù, la salivazione si azzera.
Il battito cessa per minuti interminabili.
È un'essere stupendo.
Un mostro perfetto.
È una morte lenta per gli occhi che si riempiono di lussuria, e per l'intimità che si contrae in dolci spasmi, mentre umori caldi, scivolano dalle labbra gonfie, vogliosi di essere conservati sulla sua lingua vellutata e peccaminosa. 

Mi sento una povera malata mentale, a fissarlo inebetita. Ma non posso farne a meno.
Non riesco neanche a sbattere le ciglia, e credo di avere le pupille dilatate.
Le sue dita si chiudono una dopo l'altra, e con placidità, alla base della sua asta.
Le gambe toniche leggermente divaricate, e lo lascia scivolare nel pugno, mettendo in mostra la cappella rosea e lucida, dove noto perfettamente una gocciolina scivolare dal frenulo.
Deglutisco un fiotto di saliva pastoso, senza riuscire ad incanalare aria.
Le vie respiratorie sembrano essersi ostruite.
Ma sulla lingua che formicola, vorrei abbeverarmi di quella gocciolina.
La stessa che raccoglie sul pollice, e lo spande.

Il calore alle gambe si fa così intenso, che la voglia di toccarmi diventa una necessità.
Porto l'indice tra le pieghe coperte dalla mutandina in pizzo, e scopro di essere terribilmente bagnata.
Scosto dolcemente il cotone, passandolo sulla carne tenera.
Scivola teneramente dentro, e un ansimo sfugge dal mio controllo.
Ho paura che possa sentirlo.
Lo osservo affascinata, darsi piacere.
Da prima lento, per poi menarlo con urgenza.

Scivolo sorpresa sulle lenzuola fresche, e il medio si unisce dentro di me, donandomi un piacere mai provato.
Non mi sono mai toccata.
Non è da me.
Ma so che se mi fermo, sarò persa.
Mi sto dando piacere pensando a lui.
Ai suoi occhi. I suoi capelli sempre perfetti, mentre ora sono scompigliati.
Al mostro, che ora è solo uno splendido uomo.
Alla maschera di ghiaccio, che adesso è di puro erotismo.
Al portamento rigido, mentre adesso è fuoco che mi arde viva.

Immagino che siano sua le dita che mi stimolano il clitoride.
Dio!
Ansimo senza ritegno, mentre getta la testa all'indietro.
E quando credo di non poter più farcela, osservo sbatterlo più energicamente, e schizzare con un urlo che mi arriva muto, proprio nel punto dove ho le labbra schiuse.
Il fuoco si propaga in tutto il corpo, in scosse che mi rianimano l'anima, e nell'esatto momento che esplodo in un orgasmo, lo vedo.
I suoi occhi. Quelli maledetti.
Si abbassano fieri e pieni di passione, proprio tra i miei velati dall'appagamento, e mi lascio cadere nella vergogna, con gli occhi chiusi e le dita zuppe dei miei umori dedicati a lui.
Al cobra.

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