Capitolo 2

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{ Coraline }

Dicono che il meteo non é mai esatto, perché anche se fuori splende il sole, nel mio corpo si sta imbattendo una bufera.
Sento il gelo ricoprirmi, si spalma sul mio corpo come un manto freddo.
Il ghiaccio mi intorpidisce gli arti. Non riesco a muoverli.
Una sensazione di blocco. Quello che mi impedisce di respirare. Annaspo. Sono in affanno. Non riesco a sollevare le palpebre. Mi dimeno, ma non so se lo faccio sul serio.
Grido, ma so per certo che non emetto una sillaba dalle labbra screpolate, che restano serrate.
Le immagino viola, bluastre, sul precipizio di una morte.

"Svegliati." Me lo impongo nel mio essere. Un'essere forte e disgraziatamente fragile.

"Apri gli occhi." Mi convinco di farlo, ma sembra così complicato che vorrei piangere, ma le lacrime non mi bagnerebbero.

Poi il mio corpo subisce un fremito, uno scatto come un raptus e finalmente spalanco le iridi stanche, che vedono solo il buio.
L'oscurità mi investe. É nera come le mie pupille, e forse non vedo più.

Ma nel momento che provo ad alzarmi, sento che qualcosa frena il mio intento.
Lo strattonamento, mi causa dolore e un suono forte e agghiacciante di cinghie, che mi bloccano le caviglie e i polsi.

Riesco ad inghiottire una bile, con la saliva che mi impasta la bocca, ma non riesco a parlare perché ho anche un bavaglio legato che mi comprime le labbra.

Cerco di muoverle e tirare fuori i denti per scostarla, ma sembro un pesce che non riesce nel suo intento.
La disperazione mi investe come un treno che non ti avverte del suo arrivo, sfrecciando sulle rotaie.
Il senso di gelo, si fa più prepotente.
Ancor di più quando volto appena il viso, e le mie iridi si pietrificano nel notare una figura nell'ombra della stanza, o perlomeno credo che lo sia, seduto su una sedia.
Una finestrella lancia uno spicchio di luce, dove fiocchi di polvere come polline, svolazzano nell'aria stantia, e riporto le iridi verso la figura.
La schiena incurvata in avanti. Le gambe spalancate, i gomiti puntellati sulle ginocchia, mentre le mani sono congiunte in una preghiera.

Vorrei dirgli chi é.
Cosa ci faccio qui.
E non riesco a vedere il suo volto, mentre la paura mi attanaglia le viscere che si contorcono come un ammasso di vermi nel mio stomaco.

Riesco a respirare solo dalle narici, mentre l'uomo che mi osserva come un falco fa con una preda, sembra imbalsamato.
Non muove un muscolo. Sembra che non respiri neanche. Le mani ancora congiunte, e poi lo vedo.
Noto il suo volto piegarsi appena, lateralmente, quasi a studiarmi.
Le narici ritraggono l'ossigeno che stavo per rigettare fuori, e mantengo un'apnea.
Le lezioni di nuoto sono servite, o almeno adesso me ne rendo paurosamente conto.

Spero che non si sia accorto che sono sveglia.
Ma lo sa bene. Il rumore delle cinghie mi ha tradito anche senza muovermi.

Osservo le sue dita sciogliersi, lente.
Sono lunghe, esprimono forza anche solo ad osservarle, e tremo di nuovo.
Indifesa, inerme su un letto. Bloccata e alla mercé di un uomo, senza un valido motivo.

Si alza placidamente dalla sedia, come a farmi intendere la sua stazza.
È alto almeno venti centimetri più di me, che arrivo al metro e settanta.
Le spalle ampie strette in una t-shirt grigio antracite, e lo so solo perché si sta avvicinando e tutto in me si smuove come onde anomale.

Ho una voragine nel petto che duole, perché non so le intenzioni di questo tizio losco.
Sembra un soggetto poco raccomandabile.
L'addome evidenziato dalla maglia attillata, lascia intuire quanto sia possente e delineato. Posso vederne i pettorali allenati.
Le gambe lunghe e toniche, inguantate in un jeans nero, da cui le ginocchia spuntano fuori, mostrando una lieve peluria e il colore caldo della sua pelle.

Sono così concentrata sul suo pomo d'Adamo che non si muove, da non rendermi conto, che è ad un passo da me.
Che in quell'istante, frazione di secondo, mi ha affiancata, per guardarmi dall'alto.

Provo a deglutire la saliva che galleggia nella mia bocca e reprimo la paurosa che è in me, per sollevare lo sguardo e incontrare a poco le labbra carnose serrate in una linea fredda e asettica.
Il naso dritto, fino a scontrarmi con due occhi nordici e ibernanti, che basterebbero a ricoprirmi ancor di più di gelida fragilità.

Il puntino piccolo, nero come catrame, si sofferma dentro i miei, per scivolare giù senza il mio consenso.
Lo sento ghiacciare il mio collo, i seni floridi e i capezzoli turgidi per il freddo, sotto la maglietta, e sono conscia di avere solo la mia brasiliana di pizzo addosso, dove si soffermano quegli occhi.

Troppo a lungo. Analizzano.
Vorrei dibattermi, e lo faccio nel momento che avverto il suo pollice, posarsi in una carezza sporca, sul mio interno coscia.
Impreco attraverso la stoffa che non filtra le mie parole, e strattono talmente forte le cinghie da farmi male e inarcare la schiena.

Noto un muscolo del suo zigomo vibrare, e con violenza il suo palmo si schiaccia contro il mio sterno, per ributtarmi giù e trafiggermi con gli occhi in una minaccia che mi atterrisce.

«Stoyat' na meste!» Tuona come un fulmine che squarcia il cielo, in una lingua che non conosco.

Ritento di nuovo a muovermi, ma il suo palmo sale e pesa come uno strapiombo, verso la spaccatura dei seni, per giungere al collo e attorniarlo come un collare, con così tanta forza che i suoi polpastrelli mi lasceranno segni, come tutta la situazione surreale.

Ringhio a denti stretti per il dolore, mentre si abbassa sul mio viso.
Cerco di essere temeraria, ma le sue labbra che si poggiano sul mio lobo, mi fanno accapponare la pelle di una sensazione mai provata.
«Stai ferma.» Ripete nella mia lingua, con un sussurro ringhiato basso e caldo.
Un contrasto che stona.

Sospiro attraverso le narici, osservandolo di tralice e finalmente le sue dita si poggiano delicate sulla stoffa.
Credo che mi toglierà la benda, invece sfrega con reverenza il pollice sulle mie labbra, come a disegnarne i contorni.
E se non avessi questo fazzoletto, glielo morderei fino a masticare il suo dito sotto i denti.

«Sovershennyy.» Sospira con un'altra parola sconosciuta, e finalmente con uno strattone mi libera le labbra dalla benda, che si staccano a fatica tra loro.

Boccheggio per ritrovare il respiro, e finalmente posso parlare.
«Che cazz...» Non riesco a finire che il suo palmo si schiaffa contro le mie labbra, ributtandomi nel baratro della disperazione.

«Almeno che tu non l'abbia ficcato in gola, ti conviene ritentare in un'altra maniera.» M'intima grezzo, con una frase sconcia e riprovevole.

«Hmmm.» Strepito con le labbra pressate, mentre un sorriso lento si fa strada sul suo volto.
I denti perlacei, sono quelli di uno squalo, ma non coinvolgono gli occhi che rimangono impassibili.

Leva lentamente la mano, e so che se voglio risposte, dovrò essere cortese.
Cortese mentre sono imprigionata, e mezza nuda?
Che cazzo!

«Chi sei? Cosa vuoi? Dove sono? Liber...» Signore Dio, aiutami. Prego mentalmente, poiché il suo palmo mi copre di nuovo le labbra, e vorrei piangere di frustrazione, ma non posso mostrarmi debole.

«Chi sono, non ti deve interessare. Dove sei, ancora meno. E cosa voglia...Coraline...» Accarezza il mio nome sulla lingua, come se mi conoscesse, e temo di sapere chi diavolo sia. Mi sarei ricordata un volto come il suo.
Bello da uccidere e anche freddo da ammazzare.

Si abbassa di nuovo su di me, e questa volta la sua lingua mi succhia il lobo, portandomi a rabbrividire.
«Voglio tante cose...e tu me le darai tutte.» Soffia bollente di promesse sporche, mentre un singulto nasce senza avvisarmi.

«P...pecc...chè?» Riesco a biascicare tra le fessure delle sue dita lunghe e calde, e ride di nuovo con un verso rovente e bagnato.

Un altro singhiozzo scuote il mio corpo, e purtroppo una lacrima oscilla sotto la rima cigliare che prude.
«Te lo dirò quando ne avrò voglia. Ti libererò quando ne avrò voglia...» Forse ho una speranza.
«Solo dalle cinghie in cuoio. Ora mi appartieni.» Sega le mie speranze, e il mio respiro mentre si volta e richiude con un tonfo assordante la porta, lasciandomi morire tra gli spasmi di un pianto e zero risposte.

Zero su dove sono.
Da quanto sono qui.
Mi stanno cercando?
E perché?
Io non appartengo a nessuno, se non a me stessa.

Alexander Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora