Capitolo 24

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$Alexander$

Dicono che gli spari meno dolorosi, siano quelli che ti colpiscono in pieno, e muori di botto.
Non é così.
Il sangue cremisi ricopre il pavimento di cemento dove giace il Serbo.
Otto colpi andati bene.
Otto per otto domande.

"Cosa cercano da lei?" Pressione e durezza.
Tutti cacciamo fuori i segreti, quando siamo alle strette. Tutti farebbero carte false per salvarsi. Anche tradire il proprio capo.

Il lamentio convulso, lo fece parlare.
"Myers dato soldi a Larson, per vendere lei." La rabbia grondava e straripava dalle iridi, mentre il sangue ribolliva odio e devastazione.
Gridavo silenzioso per cercare di non perdere il filo, e rimanere concentrato.

"Vendere, dove? E per cosa?" Gli sibilai come un ago pungente sul volto, sfigurato dal dolore.

"Prostituzione. Dove, non so." Ah un gran bel peccato, Stoja.

"Ripeto la domanda. Dove?" Sbraitai furente, colpendolo a pieno con il mio respiro, quanto un vento gelido della mia dolce Russia.

Nona pallottola.
"N...Non so..io non so." Inutile. Tutti siamo inutili, eppure ci crediamo indispensabili.
Come siamo pietosi.
Ci convinciamo e crogioliamo in questa convinzione.
Certi di essere potenti. Invincibili. Immortali.

"Ora lancia la carta, Guzmán." Non siamo eterni. Non siamo indistruttibili.

"Fallo, o sarò io a farlo per te." Ti affidi al destino, e non sai che lui é infame.
Preghi nel momento del bisogno, e non sai neanche cosa voglia dire farlo.
Getti in pasto la tua vita, per chi non si preoccupa della tua.
Ti vendi e consenti ad altri di persuaderti.
Ti promettono, non mantengono.

"S...si...si." Perpetua la sua litania. Dolce melodia quella che ora mi concedi.
Ti stai affidando a me.
Ti sei lasciato persuadere.

Gira veloce il tamburo. La canna é pronta sulla tempia che pulsa. Il pianto é codardo.
Basta un cenno di assenso.
La carta volteggia felice nell'aria.
L'ansia crepita.
Chiudi le palpebre.
Stoja avrei dovuto avvisarti, all'inizio del mio film, che l'ufficiale...
Sparo.
Muore.

Ma chi é morto il secondo successivo, é stato il mio organo.
L'urlo oltraggiato e pregno di paura ruggisce come un eco straziante, sovrastando il rumore dello sparo.
La puzza di metallo mi invade, e appena volto le iridi, mi basta poco per individuare il mio corallo con le pupille dilatate, fuggire via dal mostro che sono.

«Occupati di lui.» Grido a Dominick maledicendomi, mentre salgo in fretta le scale di legno, dove uno scalino scricchiola pesantemente, per rincorrere, Coraline.

«Coraline.» La inseguo come un segugio, ad ogni scalino che supera alla velocità della luce.

«Coraline.» Strepito con quanto più fiato mi sia rimasto.
Perché? Perché?
Maledetto. Che tu sia maledetto, Vlokov!
Brucerò un giorno probabilmente, tra le spire roventi degli inferi.

Ma appena la vedo sgusciare in camera, non le do il tempo di tentare di richiuderla, poiché porto un palmo sopra l'asse di legno e con uno slancio possente del braccio la spalanco e richiudo con un tonfo che echeggia tra il nostro silenzio affannante. Opprimente.
Ostruisce le arterie.

La fisso arretrare, mentre non riesce a guardarmi se non con disgusto, e le labbra piegate all'ingiù in una smorfia sdegnata.

Corro verso Coraline, che mi osserva ancora con le pupille dilatate, mentre si attacca al muro dietro di lei, e porta i palmi in avanti come protezione
«Cora...» La mia voce viene spezzata dal suo urlo sgolato, che le contrae le corde vocali, mettendo più in evidenza le fossette del collo.

«Non toccarmi.» Striscia lontano sul pavimento, come un lombrico che vuole proteggersi.

«Ho dovuto farlo.» Voglio convincere anche me stesso, che non avevo alternative migliori di questa.
Mi sto ingannando da solo.
Provo ad avvicinarmi ma la sua voce ancora una volta é un tuono che mi elettrizza sul posto.

«Ti ho detto di non toccarmi. Non avvicinarti.» Mi grida contro con voce stenocardica, che sembra rimbombarle nel petto, e punto le iridi verso i suoi palmi che tremano in preda allo spavento.
I suoi occhi restano bassi, verso i suoi piedi sporchi e nudi.

La fronte si corruga in linee nette, e le labbra si serrano tra loro.
«Andremo a Buenos Aires, finché non troveremo un posto tranquillo dove stabilirvi, alloggeremo in hotel.» La informo ossuto, e la sento ridere di amarezza e schifo.

«Metteranno a soqquadro il mondo per trovarti.» Stringo le mani in due pugni talmente forti da sentire le vene tendersi e gonfiarsi oltre lo strato di pelle.
La vena sul collo pompa frenetica.
Sono un concentrato di rabbia e ira, contro me stesso.

«Dobbiamo andarcene.» Il suo silenzio mi atterrisce.

«Dovevo capirlo che sei un assassino. Credevo che la prima volta le macchie sulla tua camicia fossero di sangue, perché fossi tu ferito. E invece sei un assassino.» Rialza di botto la testa, e le iridi nocciola mi sparano contro la pallottola che si é ficcato in testa quella feccia, dove il suo nocciola mi inquina l'anima di un dolore che mi lacera.

«Io non vengo da nessuna parte. Sei un assassino.» Rimbrotta ancora più astiosa.
Mi rinfocolo nel sentirla gridarmi contro che sono un assassino. Lo sono, ma il mondo fuori non è molto meglio di me. Certe volte si può essere assassini anche solo con le parole. Con i gesti. Non solo con le pallottole.

Le giungo di fronte e nel suo smarrimento la scuoto forte per le spalle, mentre la rabbia scaturisce in fiamme dalle mie pupille, e il suo dibattersi mi sgretola.
«Ascoltami molto attentamente, ho dovuto farlo, Coraline. Sei in pericolo.» Devo farla ragionare in fretta. Il mio tono afflitto a tratti aggressivo forse servirà.

«Da chi? Per cosa? Hai appena ucciso un uomo, e con te non sarei in pericolo?» Storce ogni tratto del volto, con un timbro che si sfalda e liquefae ad ogni parola, che consegue un respiro spesso.

«Se avessi voluto ti avrei già uccisa, e non é ciò che voglio. Sto cercando di proteggerti. Lo sai che nel sonno si é inermi? Eri traumatizzata. Indifesa. Scossa. Queste mani.» alzo i palmi per mostrarle le mani che hanno ucciso persone, purtroppo.

«Sono le stesse che ti hanno toccata. Fatta godere. Cullata nel sonno. E ho rifiutato di prendermi la tua verginità, nonostante tu ti sia offerta volontariamente a me. Quindi stai zitta e tieni a bada quella lingua per una buona volta.» Ecco, Coraline. Sono un mostro. Sono spietato. Ma che fossi dannato e messo al rogo in questo istante, se dovessi venir meno alla promessa.
Che mi strappassero il cuore, per impedirmi di sentire un tuffo ogni volta, che mi sommerge e non mi lascia tornare in superficie per respirare.

«Dovrai tagliarmela, per farmi stare zitta.» Inveisce minacciosa, innalzando fiera la testa, e riconosco la Coraline combattiva, che mi ha fatto perdere l'unico gioco a cui non ho mai giocato.
Questo é pericoloso. Dicevano che era il gioco più bello del mondo. E a me le cose belle non piacevano.

«Oh fidati, mio bellissimo corallo. Ho modi molto più efficaci e oscuri, per tenerla a freno.»

Alexander Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora