Capitolo 4

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$Alexander$

La questione delicata che devo andare a trattare é sempre la solita.
Pensavano di fregarmi e poi si ritrovavano con un pugno di mosche in mano.

Scendo le scale che portano al seminterrato, provando a sciogliere la tensione che, Coraline, mi ha scatenato.

I passi lunghi e ben distesi, dove il pantalone gessato tira leggermente su i muscoli tonici delle gambe, accompagnano il mio arrivo, che si annuncia dal rumore che emette la suola delle mie scarpe in vernice, solo e sempre italiane.
Delle piccole scale in legno, portano al luogo della perdizione. Un luogo in cui la fede non ha più nessun valore religioso. Dove sprecare preghiere é dare aria alla bocca.
Suppliche e invocazioni nulle e purtroppo per loro, vane.

Il buio mi circonda, come ogni volta. Come in ogni posto. Me lo porto dietro come un mantello.
La piccola lampadina che pende da un filo elettrico, penzola solitaria ad emanare una lieve luce fioca, che puzza di tetro e mi accende la voglia.

Non mi definirei pazzo, benché qualcuno abbia avuto il buonsenso di farmelo presente.
Neanche sadico. Predico solo ciò che é giusto.
Io offro opportunità, e in cambio esigo totale rispetto. Ti do in mano una via di uscita, ma é un baratto.
Io a te, e tu a me.
Dico bene? Ovvio che dico bene.

Scendo con assoluta flemma e una boria che mi contraddistingue, l'ultimo scalino che scricchiola, e...zac!
Il poveretto emette un singulto, giungendo alle mie orecchie come il cantico degli usignoli.

Osservo prima Dominick, con la sua posa impeccabile. Il completo nero che fascia il suo corpo massiccio, dove tiene le mani giunte davanti senza fare nessun movimento.
Lo faccio io per lui. Avanzo verso il poveretto, e finalmente sposto lo sguardo su di lui.
Seduto su una sedia di legno e paglia. Legato.
Le gambe tremano in su e giù, come le labbra che fanno uscire rivoli di saliva, per il pianto che gli ha gonfiato gli occhi verde oliva.

«Signor Vlokov.» Mi nomina con un tono che cade come tutti, in un piagnucolio sofferto.
Lo zigomo destro già tumefatto su cui spicca orgoglioso, un livido bluastro.

Lo fisso, come si fissa la spazzatura su i marciapiedi fetidi.
Con lo stesso disgusto.
«Shh...» Inutile parlare, meglio restare in silenzio, che il mio nome non é tra i santi.

«Non le ho fatto niente. Lo giuro.» Giuro, giuro, giuro. E non sanno neanche che significato abbia tale parola. La usano come se fosse la parolina magica.
Ma chi sono io? La fata turchina? No!

Lo accerchio, camminando attorno alla sedia dove trema ancora.
Sicuramente da un momento all'altro si farà la pipì addosso, e dovrà pulire il pavimento con la lingua.
Ecco cosa dovrebbe farci con quella, anziché sprecarla per parlare.
«Vede, Bowler...So che le mie ragazze non mi mentono mai.» Sono sempre pacato e cristallino, quando parlo con questi uomini con il cervello sottovuoto.

«Mi deve credere, Signor Vlokov.» Beh...potrei forse, se non avessi le prove schiaccianti.
Ovviamente il pisciasotto qui presente non può saperlo. Eppure un uomo stimato come lui, dovrebbe sapere che i soggetti come noi, non lasciano mai le cose al caso.

Una risata briosa, lascia le mie labbra che dicono tanti peccati, quanti ne commetto.
Ma sono sempre stato sincero. Onesto con gli altri e un po' meno con me stesso.
Conosco però il rispetto e la lealtà.
«Ripetere il mio cognome, non aiuterà la sua posizione.» Gli faccio notare che il mio cognome, sulle sue labbra putride e quel tono infangato dalla paura, mi urtano i timpani sensibili.

Noto Dominick che sogghigna sotto i baffi che non ha, e gli rivolgo uno sguardo complice.
Oh amico, noi ci capiamo subito.
«Cosa posso fare? Qualsiasi cosa. Lei chieda e farò tutto.» Tutto? Sul serio?

Sono sempre così quando sono sul punto di morte.
Bestie che divengono docili e mansuete.
Zerbini.
Ti pulirebbero anche la merda dal culo.
Ti farebbero anche un gran pompino.

Resto alle sue spalle, che si scuotono in spasmi. Il suo respiro avanza. Diventa affannato. Il suo cuore corre come un treno a cui non esiste freno.
Puzza di letale paura.
Tic...toc...l'ora si avvicina.
Mi abbasso lento.
Sfioro il suo orecchio che vibra come il resto del corpo, tra poco esanime.
«Cosa poteva fare...cioè tenere le mani al suo posto. Le telecamere non mentono e di conseguenza neanche la signorina Patricia. Le auguro buona vita, Bowler.» Ed é cosí che lo spedisco nell'altra vita, con un taglio netto alla gola con il coltellino svizzero, dove la punta brilla e si sporca di sangue carminio.
L'unico colore che domina sopra gli altri.

«Sai cosa fare Dominick.» Informo il mio braccio destro con voce risoluta. Occultare il cadavere. Occultare il marcio della società.

Il suo cenno di assenso, mentre pulisco la lama dal sangue dello schifoso, fa si che possa lasciare il seminterrato.
Mi avvio verso il primo piano, prendendo l'ascensore in vetro.
La musica sensuale, investe il mio udito, anche da dentro questa scatola.
Le ragazze stanno provando il numero per stasera.
Il trillo armonico, annuncia fiero che sono arrivato al piano.
Saluto i ragazzi al bar, che stanno rifornendo gli scaffali in plexiglas, salendo le scale a mezzaluna nere, per inoltrarmi dietro le quinte.

Le ragazze si stanno preparando alle loro toelette personali, e tra i mille corpi perfetti, che mi salutano fin troppo calorosamente, scorgo Patricia.

Mi fermo dietro di lei, che mi osserva con un occhio aperto e l'altro socchiuso, dove si sta applicando un ombretto oro, dallo specchio rettangolare.
I miei palmi bollenti, cozzano sulle sue spalle fragili e fredde.
Posa con un gesto arreso il pennellino ed esala un sospiro.
So bene che si ricorda le mie mani sul suo corpo. Sa bene che probabilmente non la toccheranno più con quell'avidità.

«Ho sistemato il caso. Penso che tu adesso sia felice.» Le sussurro intenso, sfiorandole con le labbra il profilo del collo, dove rabbrividisce di piacere e si lascia cullare da un ansimo.

«Grazie, signor Vlokov.» Amo quando pronunciano il mio cognome con stima.
Le mie ragazze. No le fecce dell'umanità.

«Non voglio più vedere i tuoi ex amanti, circolare nel mio casinò.» Questa é l'ultima frase che le fa perdere un battito, e tornare impassibile sul volto prima accaldato.
Ha capito che sapevo che Bowler, era un suo vecchio amante.
Io so sempre tutto.

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