Capitolo 10

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$ Alexander $

Lascio a Dominick il compito di acciuffarlo, e portarlo nei sotterranei.
E quando mi assicuro che tutti hanno lasciato il casinò che sta dando calorosamente una buona nottata, mi appresto ad uscire.

Ovviamente i miei piani vengono messi a soqquadro dalla sua voce, che mi rincorre da dietro le spalle fasciate in una camicia bianca.

«Fermati, bastardo.» Mi strepita contro irosa, mentre sono su di giri, per il topolino che mi sta aspettando.

«Non ora, Coraline.» Le intimo grezzo, continuando a camminare a lunghe falcate.
Ma la sua voce che mi grida contro, deve farmi arrestare il passo o rischio di trascinarla dove non può e non deve entrare.
Non deve vedere. Neanche immaginare.
Nessuno sa dei sotterranei.

I suoi tacchi riecheggiano nel corridoio vuoto, finché non mi volto con una lieve torsione del busto verso di lei.
Le me iridi infuocano le sue caviglie esili, adornate da due cavigliere con i pendenti che tintinnano ad ogni passo.
Le gambe lunghe e snelle, per risalire verso l'abito che la disegna come un'opera di un'artista troppo abile perché sia vera.
Il collo elegante che deglutisce subitaneo, le labbra che schioccano tra loro, fino ai suoi occhi al vetriolo.

«Che c'è, Signor Vlokov? Ora che mi hai strappata la dignità, mi ignori?» Irriverente e con quella lingua biforcuta che vorrei vederla attorniare il mio glande, si avvicina felina e provocante.

Mi passo le dita tra i capelli, scompigliandoli in maniera frustrata.
Mi sta facendo perdere il lume, la pazienza e il tempo che ticchetta come se accanto a me ci fosse il bianconiglio con il panciotto, a dirmi: "É tardi", con la vocina fastidiosa.
«Non ti ho strappato un bel niente. Non ti ho gettata in pasto agli squali.» Ribatto graffiante, che di più lo è lei con la sua risata acida di scherno.

«Ah no?» Innalza sfacciata un sopracciglio, portandosi un palmo a reggere i fianchi.

«E tu come lo chiami, essere osservata da mille uomini allupati?» Scuote la testa con un risolino sdegnato, assumendo la posa da finta dubbiosa.

Il respiro pesante ed esasperato che si libera dalle mie narici, è il chiaro presagio che se non la smetterà di parlare, troverò subito un'alternativa molto allettante e appagante.
«Non ho tempo per queste tue crisi esistenziali, o i tuoi fottuti quiz di merda. Ho da fare, e se non la smetti...stai pur certa che chi avrà da fare...sarai te con il mio cazzo duro, spinto in gola.» L'avverto grave e buio come ciò che mi porto dentro da troppo tempo, che la luce è solo un artificio per credere di avere accesso ad un attimo di pace, che è un'illusione ottica.
Illumina la vista, ma non raggiunge l'anima.

Le sue pupille divengono elastiche, risucchiando tutto quel nocciola caldo, fino ad avvicinarsi a me con aria spavalda.
Riesce a cambiare umore, come nessun'altra.
Sembra cedere ma poi si erge in piedi sempre.
Il suo indice puntato contro, si pressa in mezzo ai pettorali. Sento l'unghia smaltata pressarsi con forza, quasi a volermi perforare la carne.
«Non so cosa tu voglia da me. Benché la minima idea del perché io ti debba dei soldi. Ma stai pur certo, Vlokov, che quando mi lascerai andare e mi sarò sdebitata, verrai sommerso dalla stessa merda in cui sto navigando io.» La voce contratta in una nota di puro astio, mi fa rimanere sbalordito.
Mai nessuna si era espressa in questa maniera, prima d'ora.
Gli occhi sembrano due pugnali roventi, mentre le sue labbra si stringono in una linea retta che le irrigidisce gli zigomi arrossati dal blush e dalla rabbia furente.
Ma ciò che mi fa storcere la bocca a me, é vedere il diamante che splende attorno al suo dito.

Apro la bocca, per darle contro.
Per riprendere il mio dominio.
Ma le sue spalle esili che si girano, mi lasciano basito e di stucco.
Osservo il suo grazioso culo, in cui un giorno avrò accesso, ondeggiare finché non scompare dietro l'angolo.

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