Capitolo 37.

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{Coraline}

Il terrore che traspare dai miei occhi, so che lo può scorgere anche lui.
La verità sbattuta in faccia. Mio padre, myers, la mia foto.
L'agitazione mi smuove lo stomaco, in uno stato di irrequietezza interna.
Mi gratto il cuoio capelluto quasi a volermelo graffiare a sangue e neanche le mani di Alexander che calde, si posano sulle mie spalle fredde, riescono a calmarmi.

《Dì qualcosa.》Disperato richiede la mia voce che forse si é persa, dissolta nell'aria di una stanza che sembra troppo piccola.

Non riesco a muovere gli occhi, che sono inchiodati tra lo scorcio delle mie gambe ad indiana.
《Coraline.》 Cazzo, so come mi chiamo. Non ho bisogno del mio nome sussurrato con tono pacato, quasi avesse paura di svegliarmi da questo incubo. Perché sono sveglia, come é vero tutto ciò.

Raccimulo la saliva che mi impasta la bocca, con uno sforzo immane e ora riesco anche ad alzare le iridi verso le sue.
Il suo ghiaccio che naviga verso le mie, come a lenire il dolore che mi pressa lo sterno.
《Hai avuto tutto questo tempo, per dirmelo. Hai aspettato per cosa? Per farmi innamorare di te?》 Lo aggredisco con tutta la frustrazione che fuoriesce a galla.
I suoi ordini. I suoi baci. I nostri corpi. Le sfide. Le risate. L'amore.

I suoi palmi pesano come piombi addosso a me ora e seppur cerco di scrollarle via di dosso, risalgono per fermarsi dietro le mie orecchie.
《No. Non avresti capito, non ti saresti fidata di me per accettare tutto.》 Cerca di farmi carpire che non voleva infliggermi dolore, ma é stato costretto.

Scuoto energicamente la testa, infastidita dalle sue mani che mi tengono ancora prigioniera. Dal suo tocco bollente che ora sembra ghiaccio quanto il suo vero colore delle iridi.
Hanno saputo bruciarmi quanto congelarmi, da quando lo conosco.

《Cora...》 Il mio nome dalle sue labbra, viene ucciso dal mio timbro che sovrasta e fracassa la quiete.

《Basta. Esci, lasciami sola.》 Sembro una bomba pronta ad esplodere. Implodo dentro e vorrei silenziare anche il ronzio dentro la testa, dove le tempie pulsano.

Toglie il suo tocco, per cercare di posarle sulle mie gambe nude che tremano.
Ma come i miei occhi si trovano vitrei ad osservare le sue mani che mi stanno per sfiorare, lo blocco di nuovo,
《Ho detto di lasciarmi sola...》 Ripeto ferrea.
《SOLA.》Ricalco il concetto, di nuovo, più perentoria che posso.

Non oso neanche sollevare lo sguardo, poiché il rumore delle vecchie doghe mi fa intendere che si é alzato.
I suoi passi fievoli, come se stesse portando sulle spalle possenti tutto il dolore che mi ha inferto.
La porta che si apre e si richiude, lasciandomi sola con l'angoscia a farmi da scenario.

******************************

Ho rimuginato per tutto il pomeriggio su cosa fosse meglio dire al ritorno di Alexander.
Sono sconsolata. Distrutta. Svuotata di qualsiasi emozione.
Vivere in una menzogna é oltraggioso, ma la verità nuda e cruda mi ha lacerata.
Sapevo che mio padre aveva iniziato a giocare, ma credevo fossero le macchinette che trovi nei bar logori, non un locale dove fanno anche spettacoli indecorosi.
Gli stessi dove ho dovuto esibirmi anche io, e a che pro? Il suo compito era difendermi, mentre mi rendo dolorosamente conto che mi ha anche denigrato. Strappata da una purezza che ha disintegrato con il suo corpo ma ancor prima con i suoi gesti e il suo sguardo.

Lo stesso che se chiudo le palpebre, mi si palesa difronte in ogni sfumatura.
Dalla più iberica a quella piena di amore.
Ha montato su un teatro solo per non dirmi niente, farmi credere che gli dovevo un mucchio di soldi, per poi venir stravolta da tutta un'altra favola più macabra.

Ho girato per tutta la piccola casa, in lungo e in largo, con la trepidazione a farmi da compagnia.
Curiosato, aspettato il suo rientro e preso piena consapevolezza.

La prendo in mano, la osservo, esamino, scandaglio. É liscia e pure letale come lui.
É la più piccola, maneggevole tra le mie dita che seppur sudate si stringono attorno.
La punto verso il vuoto, sembrerebbe così facile annullare tutto con un solo oggetto.
Nera come il catrame delle sue pupille che mi ha fatto annegare nei suoi ghiacciai Nordici.
Nera come il mio stato melanconico che serpeggia lungo il corpo che trema.

E poi la sento. La serratura, il cigolio lento della porta che si apre, quasi ad aver paura di disturbarmi.
Il primo piede far capitolino da metà uscio, metà profilo, la sua schiena ampia, seconda gamba, la porta che richiude debolmente e il secondo dopo che si gira non sono più la Coraline legata alla mercé di un cobra.
Sono io stessa un cobra.

Alexander Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora