Capitolo 25

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$ Alexander $

Sembra finalmente che alla mia ultima frase, o meglio allusione sessuale, abbia deciso di tacere.
Sento lo stomaco maciullato da lamiere invisibili, e troppo poco tempo a disposizione.

Giro per la stanza di Coraline, che si è accasciata sul letto a sedere, ormai sfinita.
Ormai sa cosa sono.
Non mi curo se è persa in qualche pensiero, con la testa tra le mani che tremano ancora, o se cerca solo di evitarmi.
Pesco un borsone, per gettarlo sul letto, e inizio a buttarci dentro tutti gli abiti, scarpe, che mi capitano a tiro, e qualche biancheria.
Non ho tempo per fare una cazzo di selezione, e dal momento che sembra non collaborare, farò come cazzo dico io.

Estraggo il telefono, per far partire la chiamata, tenendolo incastrato tra la spalla innalzata e l'orecchio, mentre getto ancora dei prodotti sul lavello del bagno, dentro un beauty.

-Hai sistemato?- Taglio di netto affannato, la domanda che pongo a Dominick.

Lo sento sospirare anche lui, stanco della situazione.
-Come sempre. Alex...- Si sospende un secondo, e il suo tono sembra un'ammonimento per cui ora non ho tempo, e forse neanche un grammo di voglia.
Cosa potrebbe dirmi?
Smettila di essere come sei?
E come puoi smettere di esserlo?
La mia intera esistenza è stata creata su macerie, e niente può più ricompattare, e anche se fosse rimarrebbero i segni profondi delle crepe.
Sono tante. Forse addirittura troppe.

-Preparami due carte d'identità false, e due passaporti.- Chiudo di botto la chiamata, conscio di essere capace solo di dare ordini.

«Perché non mi lasci, semplicemente andare?» Mi blocco di scatto, come se qualcuno avesse gridato: un, due, tre, ferma!
Anche il respiro si blocca. I muscoli. L'espressione del volto, a sentire la sua voce avvilita.

«Perché?» Ribadisce con più enfasi, quasi perforando le pareti della stanza, mentre passa come artigli le dita tra le ciocche.

«Perché ti stanno cercando. Porca puttana, Coraline!» Non ho più voglia di fingermi dolce. I nervi si accavallano come piante arrampicanti, e stringono molto più del cobra.

Il suo volto fa una lieve torsione verso di me, e so che devo darmi una ripulita.
Dovrei di più all'interno, ma ciò non è possibile.
«Tu non credi, che esiga delle spiegazioni? Un uomo mi ha rapita, cazzo! Mi ha puntato una pistola contro, l'ho visto morire davanti ai miei occhi, e sei solo capace di dire: ti stanno cercando.» Imita il mio tono di voce grossolano, ma più massiccio è il suo, che esce fuori impetuoso e accusatorio.

Si alza dal letto, per giungermi di fronte, e sfilarmi irruente, la maglia che tengo tra le mani, per gettarla sgraziata a terra. E il suono che emette è come una frusta sferzata contro.
«Chi mi cerca?» Lenta e dosata riformula la domanda, e sento le sue iridi, cercare le mie che tentano di sgusciare via.

Socchiudo le palpebre, rivivendo le scene della promessa.
"Facciamo questa messa in scena, ma proteggila. È l'unica cosa che mi è rimasta."
Le parole di Larson sono impresse come lettere incise sopra una pietra. Io stesso sono una pietra, ma con lei...divento un terreno fertile dove può crescere qualcosa di cui non sono capace a gestire.

Riapro lentamente gli occhi, e sgraziatamente trovo i suoi che mi fissano leziosi.
«Ti ho promesso che ti dirò tutto, e ho intenzione di farlo. Ma ora non c'è tempo.» Il mio tono si addolcisce, che più dolce è il mio pollice che le crea dolci cerchi concentrici sullo zigomo, dove si lascia andare.
Sento un suo palmo vibrare, e poggiarsi sul torace, dove gli schizzi si stanno permeando sulla camicia.
Lo struscia come a voler eliminare quelle macchie, per poi farlo salire sulla mia guancia che carezza gentilmente.
Un contatto visivo così profondo, che mi scombussola.
Non stacca la connessione, neanche per un singolo istante, e perdo il baricentro.

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